LUGLIO

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🕜Giovedì 9, 13:43

«L'ho fatto nel tuo interesse, io sono tua amica.» aveva detto «Sappi che per questi problemi ci sono tanti rimedi, e tu ne hai davvero bisogno.»
Troia!
Troia e psicopatica!
Io avevo bisogno di aiuto, e lei allora?! Che nervi!
Entrai a casa e richiusi sbattendo forte il portone. Non mi interessava di fare rumore, a quel paese tutti quanti! Lanciai la borsa per terra e gli lanciai sopra la giacchetta.
«E ciao anche a te.» disse sarcastico Steven dalla cucina. Chiuse il giornale, tolse i piedi dalla sedia e sentii il suo sguardo addosso.
Lo ignorai e mi andai a scaraventare sul divano con la faccia soffocata nel cuscino. Avevo voglia di piangere. Di ammazzarla e di piangere.
«Come mai così presto? Problemi?» la sua voce comparve sopra la mia testa. Poi fece il giro, mi spostò i piedi e si sedette dall'altra parte del divano.
Come aveva potuto lei?
Come aveva potuto lui? Come poteva non fidarsi di me? 
«Micha...» disse toccandomi una spalla e avvicinandosi di più.
Erano anni che lavoravo lì, non uno, non due, erano sei maledettissimi anni! Sei anni che facevo sempre le stesse giuste cose, quelle che mi venivano richieste, con la massima onestà. Lui mi conosceva meglio di chiunque altro, si era fidato sin da subito di me perché aveva sin da subito capito di poterlo fare... Allora cosa c'era adesso che non andava? Cosa gli era preso? In sei anni era invecchiato tanto da aver preso a ragionare con le parti basse invece che con la testa?
Aveva la possibilità di distruggermi, due sole parole e avrei finito...
«Ehi... Dai, non fare così.» mormorò spostandosi e sedendosi per terra al mio fianco quando in silenzio iniziai a singhiozzare. Mi carezzò la spalla delicatamente, forse titubante.
«Se ti ostini a tenere ancora la faccia nel cuscino soffochi. Spiegami cos'è successo.» mi scostò una ciocca di capelli e la girò dietro l'orecchio.
«Sta andando tutto male.» singhiozzai girando un po' la testa «La storia della casa, la salute, Nick che non c'è mai, adesso anche il lavoro... Quale atroce peccato sto mai scontando?» parlai più a me stessa che non a Steven. Una lacrima rigò il naso e macchiò il cuscino.
«Sono solo periodi, non stai scontando niente.»
«Si chiamano periodi perché poi finiscono, questo sta durando una vita.» mi asciugai gli occhi con una mano e mi tirai sulle ginocchia.
«Sei solo nel mezzo. Tieni.» mi porse un tovagliolino che afferrai.
«Grazie... Beh, il mezzo fa schifo.»
Sospirò e si tirò su a sedere sul divano difronte a me. «Cosa è successo?”
Tirai su col naso, fintanto che trovavo la voglia di ripetere tutta quella storia da capo.
«Avevo già qualche sospetto da un po' di tempo, però poi mi dicevo sempre che era assurdo, che era una brava ragazza e in ogni caso quella a doversi guardare le spalle era lei in quanto ultima arrivata, la mia coscienza era a posto. È a posto.»
Steven mi rivolse uno sguardo confuso e aveva ragione! Era una cosa talmente assurda che a raccontarla non ci si credeva.
«Beh, fatto sta che questa tipa è arrivata al lavoro quattro mesi fa più o meno, quando il ragazzo di prima ha dato le dimissioni, e non lo avrei mai detto perché sono stata sempre gentile con lei, le ho spiegato tutto quello che c'era da spiegare, le ho insegnato quello che non sapeva e le ho parato il culo più volte quando arrivava in ritardo. E a cosa è servito? A farmi licenziare! Quella grandissima figlia di–»
«Ti hanno licenziata?!» spalancò gli occhi «Come? Perché?»
«Perché mentre io ero intenta ad aiutarla lei era intenta a far girare in giro la voce che offrivo indebitamente, chiamavo gli amici, arrivavo tardi e dulcis in fundo che prendevo soldi dalla cassa. IO! Che non una parola se e quando mi è arrivato lo stipendio in ritardo di due settimane! IO! Che sono stata messa alla cassa dopo due mesi che lavoravo lì e non era mai successo niente! IO! Che sono lì da sei anni! Contro una– Ah! Che rabbia!» sbottai furiosa.
«Ma scusa, e il direttore?»
«Ah! Quel grandissimo... Ha creduto a lei! Lei ha avuto la faccia tosta di dire queste cose davanti a me e a lui, senza neanche provare a far finta che... Che ne so, qualcosa! E lui le ha creduto!»
«Quindi ti ha licenziato? Senza neanche verificare prima?»
Scossi la testa.
«Non mi ha licenziato ufficialmente. Diciamo che mi ha messo in pausa. Come se stesse decidendo o che so io. Roba da pazzi.»
«Ma tu cos'hai detto d'avanti a tutta quella scenata?»
«Beh io... mi sono difesa ovviamente, e... beh...»
Alzò un sopracciglio ed io mi grattai la fronte incerta.
«...Ho gridato che andavano a letto insieme e che lui non stava ragionando con la testa ma con... Insomma... E che lei è...» sbuffa «Beh gliene ho dette tante, riassumere è lunga e scegliere un solo termine è affin troppo riduttivo, perciò...»
Sgranò gli occhi.
«Davvero?! Ed è vero?»
«Sì, e che ne so? L'ho buttata lì. Diciamo che le circostanze mi hanno dato l'ispirazione adatta.»
«Effettivamente verrebbe da crederlo...» ammise inclinando la testa di lato.
«E adesso però nella merda ci sto io! E non è giusto!» ricomincia a piangere nervosamente.
«No che non lo è. Perché... non lo so, non provi a tornare a casa dai tuoi per un po'? Magari potresti riacquistare un po' di sicurezza o trovare lì un giusto supporto.»
«No,» scossi la testa asciugandomi gli occhi con il tovagliolino stropicciato «si preoccuperebbero per me e poi... insomma, quando cresco se per il minimo problema corro sempre a casa dai miei? Non ho più cinque anni, devo sapermela cavare da sola.»
«È giusto, però magari, anche solo parlandoci... Fa un salto da loro domani, hai la mattinata libera, distraiti un po'.»
Scossi impercettibilmente la testa o forse avevo solo la sensazione di star facendolo.
«Non lo so... Che rabbia!» sbottai di nuovo.
Perché ne parlavo con Steven?
Mi venne in mente Nick, tanto per gettare benzina sul fuoco. Non era giusto che mi sfogassi con Steven, avevo un ragazzo con cui doverlo o poterlo fare perché di rimando lui lo faceva con me, ma dov'era lui quando serviva a me? Non c'era! Mai! Erano quattro mesi che non lo vedevo, lo sentivo a malapena per telefono sempre molto in fretta perché doveva andare.
A volte mi chiedevo se stavamo ancora insieme o ci eravamo lasciati ed io non me lo ricordavo.
Lo amavo e non volevo perderlo ma spesso era davvero difficile senza di lui, mi sentivo single e fidanzata a tratti, e non era giusto. Era il suo lavoro, la sua vita, lo capivo, però non meritavo, in fondo, qualcuno che mi stesse sempre accanto? Anche se d'altro canto, come me, dall'altra parte era solo anche lui.
«Dai, lascia correre, la verità viene sempre a galla prima o poi, vedrai che si sistemerà tutto.» sospirò Steven dandomi due pacche delicate sulle spalle. Era il massimo che sapeva fare con me.
E ciò mi fece, per qualche strano motivo, esplodere nuovamente in lacrime. Avevo qualcosa che non andava? Ero io allora il problema per cui tutti si tenevano alla larga da me o mi pugnalavano alle spalle? Perché farlo altrimenti?
«Shh... forza, su.» continuò, con le pacche.



🕗Mercoledì 15, 08:19

«Mi dispiace Michaela. Sei licenziata.»
«Che cosa?!» sbottai trattenendo il nervoso quanto più possibile.
«È mio dovere, devo tutelare il mio bar e i miei dipendenti.»
«Ma... Oh mio dio...» portai disperata una mano tra i capelli.
Non era reale, tutto quello che stava succedendo non era vero. Non poteva esserlo.
«Sulla base di cosa? Di quello che ti ha detto Helena? Solo sulle sue voci?»
«Non sono solo voci Michaela! Ho tenuto il conteggio delle entrate durante tutto questo tempo, e da quando te ne sei andata non manca più neanche un centesimo, entra tutto a perfezione! Perciò non è solo una diceria, ho valutato con i miei occhi–»
«E allora devi metterti gli occhiali Joe! Perché se vedessi bene davvero ti renderesti conto di tutto quello che sta succedendo! È lei che prende i soldi, ed è normale che ha smesso di farlo da quando me ne sono andata, così che tu potessi accusarmi esattamente così come hai fatto! Accidenti, ti facevo più sveglio, credevo che l'esperienza significasse qualcosa, credevo che tutti questi anni contassero qualcosa! Solo lei ha messo parola, lei, nuova ed ultima arrivata, ha avuto da dire, gli altri non hanno mai fiatato, ti sei chiesto perché?»
«Perché gli altri non hanno mai avuto il suo coraggio forse.»
Scossi la testa colma di delusione, di tristezza, indignazione e disgusto. Quando era diventato così? Non era il Joe che conoscevo, non avevo idea di chi fosse l'uomo che avevo d'avanti agli occhi.
«Da te questo non me lo sarei mai aspettato. Spero che un giorno te ne renderai conto. Addio.» e sul suono di queste parole amare e avvelenate me ne tornai a casa, sola e depressa.
E adesso?

Un coinquilino in affittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora