6. L'ufficio

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POV. ADRIAN

《Papà non serve che mi accompagni. Davvero. La mamma di Amber ci porterà entrambe alla festa, e poi mi riporterà a casa per le dieci》.

I grandi occhi verdi di mia figlia Juliet, mi fissano speranzosi,da sotto le lunghe ciglia bionde.

La somiglianza con sua madre Olimpia,è a dir poco impressionante.

Quante volte può amare una persona?!
Quante volte può restare ferita, delusa da questo sciocco sentimento?!
Sopravvalutato.
Ecco come é davvero l'amore.
L'amore vero é solo quello che si prova per i figli.
Sincero.
Puro.
Disinteressato.

Guardo ancora mia figlia che ha preso da me, oltre al vizio di cacciarsi nei guai, solo il sorriso furbo che le lascia due adorabili fossette che mi inteneriscono, e mi fanno cedere ogni volta; e lei lo sa bene.

《Voglio parlare con i genitori di Emily, per sapere se saranno presenti alla festa, e voglio parlare con la signora Elliot, posso venire a prendervi io, per ricambiare il favore》.

La vedo aprirsi in un sorriso splendente, tutta eccitata.

Ed é amore.
Come la prima volta che l'ho stretta a me.
Come tutti i giorni passati con lei.
E come tutti quelli a venire.

《Ok, basta che resti in macchina e non mi metti in imbarazzo!》

Alzo le mani in segno di difesa e faccio un faccia innocente.

《Io?! Quando mai ti ho messo in imbarazzo?! 》

Molte. Forse troppe volte.
Lo sa lei, e lo so io.
Ma è mia figlia cazzo, e già tanto se le permetto di uscire.

Mi volto per uscire dalla cucina,ma torno sui miei passi prima che possa darsela a gambe.

《Finisci i compiti prima di precipitarti a telefonare alla tua amichetta》.

Mi fa una linguaccia, con la sua aria impertinente, mentre apre il libro di matematica.

Amore.
Lei è l'amore.

Esco fuori all'aperto, il cielo oggi è terso, e rispecchia un po' il mio stato d'animo.

Mi affretto giù per la stradina infangata, calciando qualche ciottolo, pensando distrattamente a lei.

Mi metto le mani nei capelli strattonandoli appena.

Ripercorro i momenti della serata che la vedono protagonista.

Bella, da mozzare il fiato. Irresistibile, con quelle sue dannatissime gambe, troppo lunghe. Troppo perfette. Troppo tutto.

Troppo mie. Troppo nitide nella mente per non essere così.

Ma non ha dei pantaloni?!

Prendo la forca e comincio a sistemare la paglia per i cavalli, e mi sento un fottuto coglione.

Impongo, per l'ennesima volta a me stesso, di ricordare il periodo in cui l'ho persa, quello che ho sopportato.

Il dolore era una cosa fisica, capace di strisciarmi nelle budella fino a farmi contorcere e piangere come una femminuccia.

E la vedo con gli occhi colmi di lacrime.
La sento urlare e chiedermi di restare.
Ma non potevo.
Non così come si erano messe le cose tra noi.

Dolore.
Assordante.
Solo.
Cupo.
Profondo.

Sbuffo spazientito al solo pensiero. Sono un uomo adulto ora, non un fottuto ragazzino. Un uomo cazzo.

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