Capitolo VIII

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L'applauso esplose fragoroso. Courfeyrac, che come sempre doveva dimostrarsi più entusiasta di tutti gli altri, scattò in piedi ed abbracciò di foga Jehan, che in risposta sorrise imbarazzato, mentre l'altro gli accarezzava i capelli con insistenza: <<Sei un genio, Jehan! Ma certo che diventerai un ottimo poeta, nessuno ne ha mai dubitato. Quanto all'amore non preoccuparti, finché rimani qui dentro non c'è nessuno di abbastanza speciale per meritare il tuo cuore. Basta guardarsi intorno!>>

Se solo avesse saputo di essere lui la persona a cui era in qualche modo dedicata la poesia...

Grantaire invece se ne era reso conto anche troppo bene e si chiedeva come fosse possibile che tutti i fratelli fossero così rintronati da non accorgersi di tutte le occhiate che il piccolo poeta lanciava al moro, ma dopotutto se si fossero accorti di quello sarebbe stato ancora più semplice rendersi conto di lui ed Enjolras, quindi forse era meglio così. Il biondo, da parte sua, sembrava piuttosto imbarazzato dalle tematiche tanto sincere e dolci del tema del fratello e dalla prime parole non aveva staccato lo sguardo dalla gomma che aveva sul banco. Il pianista agitò una mano davanti ai suoi occhi: <<Terra chiama Apollo, rispondere prego, rispondere!>>

<<L'utente da lei chiamato, non è al momento raggiungibile, la invitiamo a riprovare più tardi>> la perfetta imitazione della segreteria telefonica fece scoppiare a ridere il bambino.

<<Ti rispondi anche da solo adesso?>>

<<Tu non accennavi a dire nulla>> ripose Grantaire, in realtà felicissimo di essere riuscito a divertire, anche se minimamente, l'amico.

Nel frattempo Feuilly e Bahorel erano rimasti davanti ai lavandini del bagno, senza una chiara intenzione di parlare. Fu il primo a decidersi, alla fine:

<<Va bene, ormai ho iniziato e adesso finisco. Io ti amo, Rel, e in un modo diverso dal semplice affetto che provo per il resto dei nostri fratelli. Non so quando tutto questo sia cominciato, quale sia stata la scintilla di partenza, forse ancora prima che il mio cervello da bambino riuscisse ad identificare la cosa. So solo che per quanto io riesca a tornare indietro nel tempo, tu ci sei sempre stato. Ricordo il me stesso bambino che ti seguiva, che si fidava, che imparava tutto da te. Tutti gli episodi della mia infanzia sono stati segnati dalla tua presenza costante e rassicurante, e appena ho avuto l'età per capire mi è bastato un secondo per comprendere che il legame fra me e te non aveva paragone con quello con Bossuet, nonostante lui avesse esattamente la mia età>>.

Il biondo aveva abbassato lo sguardo, evitando gli occhi dell'altro.

<<Bahorel...>> il minore gli pose una mano sotto il mento, facendogli sollevare la testa <<guardami, e fammi finire. Io ti amo, ti amo, ti amo, e d'ora in poi non voglio più separarmi da te>>.

Terminò il discorso con un sorriso. Aveva previsto che tutto quello sarebbe stato difficile da dire, e invece era stato così facile. Il problema è partire, poi le parole, quando quello che si prova è intenso e reale, scorrono come ruscello, veloci, sincere, quasi senza bisogno di pensare.

L'altro era rimasto immobile, appoggiato con la schiena alle azzurre piastrelle fredde dei bagni. Aveva tredici anni, non era un discorso così impossibile, ma forse proprio quello era il problema: non voleva rispondergli quei "penso la stessa cosa", "ti amo anche io, "sono d'accordo con te". Primo perché gli sembrava troppo vago e scontato. Secondo perché non sarebbe stato vero. Lui e Feuilly erano completamente diversi e l'accettazione di quello che si era creato fra loro non si era svolta nel medesimo modo.

<<Rel...>> la mano che il fratello gli passò davanti agli occhi lo riportò alla realtà, non prima di avergli ricordato quanto amasse quella mano.

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