L'EREDE DI VALYRIA (pt.2)

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Dopo l’esperienza di Braavos, per Gael la ricerca di una motivazione per la sua esistenza anacronistica era diventata un’ossessione. Era questo che la tormentava, il pensiero fisso che la teneva sveglia la notte, che le impediva di ricominciare a vivere: Perché..., si chiedeva, Perché mi sono destata proprio ora dalla mia veglia? Come è possibile che io sia viva, mentre altri, più forti, più belli, migliori di me siano morti? Qual’è il triste scopo che ha risparmiato lo spegnersi della mia vita per mandarmi incontro ad un destino amaro, ancora più crudele, trasformandomi in una statua di ghiaccio? Il vecchio mi disse che vedeva le fiamme ardere in me, mi chiamavano “Bambina di fuoco”. Eppure, cosa rimane di quella ragazzina felice e spensierata? Quella non sono più io, sono cambiata, sono qualcosa di totalmente diverso. Eppure sento il richiamo del sangue, della vendetta uscirmi dalle viscere. Ma contro chi posso indirizzare tutto questo odio? Nessuno ormai è rimasto che abbia visto le glorie di Valyria, nessuno che abbia conosciuto i suoi abitanti se non per mezzo di canzoni e ballate. E io? A cosa servo? Non esiste più una Valyria da riportare al potere, la mia guerra si è conclusa. La mia veglia di sofferenza è finita, e cosa mi rimane? Questi erano i pensieri di Gael nel cuore della notte. Ad appena dieci anni di età, si era ritrovata smarrita in un mondo ostile, in cui non avrebbe mai avuto un posto.

Un tempo, sarebbe andata a chiedere consiglio al Uēpa, l’Antico, il custode dei segreti dei signori dei draghi, colui che l’avrebbe dovuta addestrare. Gael non era mai diventata un vero cavaliere, era ancora una novizia al momento del Disastro. Avrebbe dovuto sostenere la prova che l’avrebbe resa custode del segreto che svela i misteri più antichi della magia dei draghi solo pochi giorni dopo quella che era stata la fine, e lei e Dreamfire sarebbero state unite nell’eternità da un legame psicologico che gli avrebbe permesso di comunicare telepaticamente, di vedere una attraverso gli occhi dell’altra, di provare le stesse sensazioni, fossero di piacere o di dolore. Ma la bambina non era mai venuta a conoscenza di quell’ultimo segreto, e ormai era troppo tardi.

Era rimasto solo un posto che forse poteva ancora conservare parte della sapienza valyriana: il tempio dei quattro fuochi. -Iksis jēda naejot māzigon arlī lenton, Dreamfire-, sussurrò al drago, che volava alto nei celi, dandole l’illusione che non ci fosse altro che nuvole e azzurro, come se quei quattrocento anni non fossero mai passati. È tempo di tornare a casa.

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Il tempio dei quattro fuochi era stato costruito in cima ad una alta rocca, in un’isola tempestosa a dirupo sul mare, e per giungere fin lì aveva viaggiato per quasi un mese. Era irraggiungibile per chiunque, tranne che per i draghi. Era lì che i valyriani nascondevano le uova di drago, in attesa che un Signore dei draghi li svegliasse, e li tramutasse da pietra in fuoco. Purtroppo, il prezzo era alto, pochi erano in grado di pagarlo, e in ogni caso non era sicuro che un drago decidesse di rispondere al richiamo del Signore. La prova era un misto tra magia del sangue, incantesimi del fuoco e preghiere recitate in silenzio alle quattro divinità principali di Valyria, cui era dedicato il tempio: Balerion, Meraxes, Vhagar e Syrax. Esse non avevano volto, erano rappresentate solamente come quattro fuochi ardenti, le cui fiamme non si dovevano mai esaurire, ogni fiamma di un colore diverso: quella nera di Balerion, quella verde di Meraxes, quella bianca di Vhagar e quella blu di Syrax. Durante il viaggio, Gael si ritrovò spesso a chiedersi se i fuochi fossero rimasti accesi, nonostante nessuno fosse entrato nel tempio da almeno quattrocento anni. Arrivò addirittura a chiedersi se fosse ancora in piedi. La bambina ricordava bene la prova che l’aveva portata a conoscere Dreamfire, come fosse stata solo il giorno prima. Aveva sei anni e mezzo, e aveva passato tutta la sua breve vita a sognare di cavalcare un drago. Il Uēpa l’aveva portata in volo sull’isola cavalcando il suo enorme drago nero che, nonostante i timori di Gael, l’aveva lasciata salire senza innervosirsi. La bambina era persino riuscita a toccarlo, passando la manina sulle narici da cui usciva vapore caldo. Eppure, la sensazione che aveva provato durante quel primo viaggio in volo, stretta tra le braccia vecchie ma ancora forti del Uēpa, non era neanche lontanamente paragonabile a quella che anni dopo avrebbe provato sfidando l’alto azzurro dei cieli cavalcando Dreamfire. Con lei si sentiva invincibile. Ma ora quella sensazione era sparita.

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