La corsa fu incredibile, quasi senza fiato. Non riusciva a fermarsi e non ne aveva intenzione, voleva solo correre e piangere. Si sentiva come responsabile. Non doveva parlare con quel ragazzo, non doveva andare in quella scuola. Portava solo guai, solo casini su casini e appena varcò l'uscio di casa, trovò la sua dimora vuota, senza un'anima. Chiuse il portone dietro di lei, si appoggiò per un breve momento al portone e poi, con un colpo di reni, ricominciò a correre per andare verso la sua camera, il luogo più sicuro per lei. Non le interessò chiudere la porta, non le interessò stare per conto suo... alla fine, la casa era isolata e crearsi un mondo intorno a lei, solitario, non le passò neanche per la testa. Si lanciò sul letto, rimbalzando quando impattò contro di esso, abbracciò il cuscino e fece ciò che avrebbe fatto qualsiasi altra persona: pianse. Urlò, scalciò e continuò a darsi la colpa, mentre, nell'angolo della stanza, il Simpaticone e tutti gli altri della banda la guardavano senza spiccicare parola. La guardavano tristi, apatici e c'era chi si chiedesse perchè di questo suo comportamento esagerato. Lei si sentiva i loro occhi puntati sulla sua schiena e quando non ce la fece più, urlò contro di loro. Si alzò di scatto, si voltò e con sguardo arrabbiato indicò quei corpi evanescenti che nessuno poteva vedere.- ANDATE VIA! TUTTI VOI! -
Dal darsi la colpa, passò a dare la colpa a loro, a coloro che l'avevano abbandonata dopo averle messo in testa tante belle parole per poter cambiare la propria vita, per cambiare se stessa e non sembrare la strana ragazza che viveva dentro una semplice casa con un padre quasi sempre assente durante il giorno.
Ma, sull'uscio della sua stanza, con la coda dell'occhio vide una figura. Una figura che la guardava con occhi sgranati: suo padre. Si era fatto tardi e neanche se ne rese conto..
Si asciugò veloce le lacrime e, sistemandosi per bene, a sedere, sopra il letto, abbassò lo sguardo e la testa.
- ... che cos.. -
- Papà, per favore.. -
- ... Lo stai rifacendo, vero? -
Lei, per risposta, alzò le pupille verso di lui, chiudendo le palpebre non appena incontrò i suoi occhi che emanavano pena.
- Mi ha chiamato la scuola. Domani non ci sono lezioni e l'apertura di tutte le lezioni è rimandata tra due giorni. -
Le lacrime ripresero a scendere, a colare ininterrotto. Sentì dei passi, lui si avvicinò e si sedette sul letto dopo aver messo una maglia sporca della figlia. Alla fine non si era ancora cambiato e non voleva rischiare di sporcare le coperte del letto, una maglia è molto più facile da lavare.
- Mi hanno detto il perchè. La conoscevi? -
Tremò. Tremò talmente tanto da farsi paura da sola. Ha parlato al passato e ciò significa solo una cosa: che la ragazza era morta. Morta in un incidente che neanche ha visto. Nel frattempo, i suoi amici immaginari scomparvero e rimase solo il Simpaticone che, con un piccolo sorriso beffardo, la guardava.
Scosse la testa per rispondere al padre, tirando su col naso. La voce le moriva in gola o forse era una sua impressione, sapeva solo che non voleva parlare.
- Allora perchè piangi? Hai di nuovo quelle tue fantasie? Il tuo mondo? Hai così tanta immaginazione.. -
Per lui, quelle sue fantasie, non erano altro che cose da scrivere su un libro invece che amici con cui lei poteva confidarsi. Lui non capiva, come non capivano gli altri. Amaya annuì di nuovo e, dopo un altro piccolo sguardo tra i due, l'uomo si alzò per andare a lavarsi come tutte le sere, tra sospiri e piccoli sbisbigli indecifrabili.
<< Amaya amaya amaya cara. Lo hai voluto te, sei stata tu a voler cambiare e vivere una vita come gli altri senza il nostro aiuto. >>
...