Era più facile rispondere alla domanda “Parlavo con un amico immaginario. Sai, quello che abbiamo da bambini”, piuttosto che rispondere “Sì, mi piaci. Insomma, se sorrido quando sento il tuo nome, un motivo ci sarà no?”. Infatti rimase impalata e lo vedeva avvicinarsi sempre di più. Il cuore le batteva forte e d'istinto chiuse gli occhi ed il motivo lo sapeva fin troppo bene. Si aspettava un bacio. Un singolo bacio che le facesse scordare ogni cosa, specialmente il Simpaticone che, piano piano ed accennando una punta di un sorriso, si dileguò come tutti gli altri amici immaginari. Le aveva confessato una cosa, le aveva detto di provare qualcosa per lei, ma come poteva tutto ciò essere vero se era frutto di una fantasia? La confusione nella sua testa era veramente troppa e continuò ad aspettare quel bacio che non riuscì a raggiungere le sue labbra.- Allora? -
La voce di Fabrizio le trapanò un orecchio.
- Mh? -
Piano piano riaprì le palpebre, riuscendo nuovamente a vedere quegli occhi che non vedeva da tempo, ormai. Fece un passetto indietro, in silenzio, mentre la testa di abbassava per andare a guardare il pavimento di quel posto all'aperto.
Il respiro era affannoso: come poteva rispondergli? Il mondo le girava e avrebbe tanto voluto portarsi le mani intorno alle tempie ed urlare, sfogarsi in questo modo e crollare a terra sbucciandosi le ginocchia magari. Ma non lo fece, l'avrebbe presa per pazza.
Fabrizio sospirò e si avvicinò nuovamente a me. Si inginocchiò e guardò in alto, verso il suo viso. Una goccia gli cadde sul naso, proprio sulla punta ed accennò un piccolo sorriso, dolce, ma che faceva trasparire tanta bontà.
- Scusa.. forse sono stato troppo aggressivo. -
Amaya piangeva.
Si sentiva come se tutto e tutti fossero contro di lei, contro il suo essere ed in qualche modo la stavano punendo. In verità, nessuno ce l'aveva con lei, ne tanto meno la stavano punendo: erano cose che succedevano e lei non poteva farci assolutamente niente.
Alcuni rumori si levarono dal giardinetto della scuola, sul cortine ed alcune macchine si allontanarono lentamente.
Il ragazzo sospirò, vedendo come le palpebre di Amaya si stringevano ancora di più per non vedere, per trattenere le lacrime, e si rialzò velocemente per portare una mano sopra la testa della giovane. L'accarezzò un pochetto, dolcemente e per rassicurarla, e poi si voltò pronto ad andarsene. I passi si sentivano distintamente e la ragazza non capiva come mai non l'avesse sentito arrivare, prima. Eppure non ha un passo delicato di una farfalla, o era una sua impressione?
- Sì. -
Il ragazzo si bloccò, proprio come Amaya fece prima. Poi, venne quasi fatto cadere da lei stessa che, in preda alla vergogna, alla solitudine ed al tremore che aveva, se ne andò via correndo e si fece largo tra la folla per arrivare alle scale, scenderle e correre via in infermeria accusando un veloce e timido:
- Mi gira la testa, vorrei tornare a casa. -
Con tanto di lacrime che scendevano.
In effetti era vero, si sentiva male ed il volto era rosso. La mandarono a casa e se ne stette in camera sua per due giorni. Due lunghi giorni in cui non ricevette nessuna visita.
Era come essere tornati ai vecchi tempi dove, nessuno, le parlava o le stava accanto. A cosa era servito entrare in una scuola come quella, a realizzare parte del suo sogno, se tutto tornava ad essere come prima? Se lo chiedeva spesso in quelle due giornate e si accorse di non aver mai più continuato a scrivere sul proprio diario. Non ne aveva voglia. Non riusciva ad alzarsi dal letto se non per mangiare o bere o altro.