Capitolo 6

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Amaya non si rendeva ancora conto di ciò che era successo e continuò a procedere diritta di fronte a se. Si sentiva bene, si sentiva qualcuno. Forte e potente, una ragazza che poteva tutto, una persona capace di qualsiasi cosa.

Ma quando arrivò al campanello di casa della nonna, un senso di vuoto le si aprì dentro.

<< Come ti senti, adesso? >>

Dall’altra parte del portone, fatto con un vetro abbastanza sporco, c’era il giocherellone che, con fare beffardo ma serio, le parlava. Lei riusciva a sentirlo ed alzò gli occhi verso di lui, mentre una lacrima le scendeva sul volto.

- Non capisco… -

Disse a bassa voce. Perchè piangeva? Perchè si sentiva in colpa, triste, se si sentiva anche bene con se stessa?

Erano cose che non riusciva a capire e quando sua nonna, dal citofono, le urlò:

- HO DETTO CHI E’?! -

Si riscosse e tornò coi piedi per terra. Si asciugò quella lacrima con il dorso della mano e, sfoggiando uno dei suoi soliti sorridi un po’ tirati, aprì il portone e salì le scale di corsa. Pronta ad abbracciare sua nonna e andare avanti con la giornata.

E la giornata passò.

La ragazza morta? Svanita.

La litigata? Evaporata.

Ma quando tornò a casa e si mise sotto le coperte, beh, sentì di nuovo quel calore che le piaceva tanto e pensò che la coperta la stesse abbracciando. La stesse cullando. E divenne triste, pensando solo in quel momento alla giovane e a lui, a quel ragazzo che in giornata le aveva salvato la vita.

- Dovrò sdebitarmi… -

Sussurrava fra se, mentre accanto a lei, sul letto, se ne stava seduto il tizio invisibile che, ogni tanto, spuntava dal nulla. Le accarezzava i capelli, dolcemente, con il suo solito sorriso giocondo. Ma lei non sentiva la carezza.

<< Si, dovresti. >>

Lei sorrise, pensando che per una volta, il suo ragazzo invisibile, è stato gentile.

- E cosa dovrei fare? -

Tra una domanda e l'altra, tra il calduccio e il sonno, si lasciò cullare dalle braccia di Morfeo.

E il giovane uomo invisibile?

Qualche altra persona del gruppetto potrebbe dire di averlo visto calarsi, inginocchiarsi e baciare sulle labbra la dolce ragazza che, mugolando, sognava.

Il giorno seguente non fu speciale e anzi, fu abbastanza noioso. Come se lei non avesse mai iniziato quella scuola dove, quasi tutti in classe, erano più giovani di lei.

Il sole si annunciò, tramontò, ed eccola ritornare a scuola con abiti abbastanza normali questa volta. Una maglietta più pesante dell'altra volta, in quanto il tempo era peggiorato, più cupo, abbastanza larga e lunga da coprire il fondoschiena e metà dei pantaloni a zampa di elefante. I capelli, tenuti in su con una coda di cavallo, le ricadevano morbidi sulle spalle e qualche ciocca, molto ribelle, le incorniciava il volto un po’ stanco. Risvegliarsi la mattina presto e andare a scuola era sempre un trauma, nonostante le sia già successo.

Il bus pieno che, quel giorno, si fermò poco lontano dall'incidente, era affollatissimo. Le persone parlavano dell'incidente appena successo e, mentre scese dal mezzo, si soffermò di fronte al piccolo santuario creato per la ragazza. Fiori, foto, peluche e.. Lui. Il giovane dell'altra volta.

Lo guardò in silenzio, piegando appena la testa. Lo vedeva assorto nei propri pensieri e non voleva disturbarlo. Voleva sì chiedergli scusa, dirgli che non doveva comportarsi in quel modo e ringraziarlo, ma non le sembrava il momento.

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