L'inganno.

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Intanto il misterioso sposo ripeteva a Psiche i soliti avvertimenti nei suoi colloqui notturni: <Ma non vedi quale pericolo ti sovrasta? La sventura, per ora, ti minaccia da lontano ma se tu non prendi tutte le precauzioni essa presto ti piomberà addosso. Quelle perfide bagasce stanno architettando contro di te una trappola infame, come quella di persuaderti inanzitutto a scoprire il mio aspetto e tu sai, invece, perchè te l'ho ripetuto più volte, che se mi vedi poi non potrai più vedermi. Quindi se quelle perfide streghe torneranno da te con cattive intenzioni, e senz'altro torneranno, lo so, non parlare con loro e se questo per il tuo carattere semplice e il tuo buon cuore proprio non ti sarà possibile, almeno non ascoltare e non dire una parola che riguardi tuo marito. Presto non saremo più in due perchè questo tuo grembo, fino a ieri ancora di bambina, porta già in sè, per noi, una creatura: un dio se tu saprai custodire il nostro segreto, un essere mortale se, invece, lo violerai.>
A quella notizia Psiche s'illuminò di gioia; il consolante pensiero di una prole divina la rallegrava, era orgogliosa del futuro rampollo ed esultava della sua nuova dignità di madre. Ansiosa  contava i giorni che succedevano, i mesi che passavano e nella sua innocenza si stupiva di quello strano peso e di quel ventre che, per una piccola trafittura, le era tanto cresciuto. Ma intanto quei flagelli, quelle orribili furie, gonfie di veleno come vipere, avevano rotto gli indugi e, preso il mare, rapide si appresavano spinte dalla loro stessa malvagità. E allora quello sposo sempre fuggente, ancora una volta ammonì la sua Psiche:< E' venuto il giorno supremo, il momento decisivo: un nemico del tuo stesso sangue, ha preso le armi, ha levato il campo, muove contro di te, dando fiato alle trombe. Sono le tue sciagurate sorelle che hanno impugnato la spada e cercano la tua gola. Ohimè, mia dolce Psiche quali grandi sventure ci sovrastano, Abbi pietà di te, di noi e con il tuo scrupoloso silenzio salva dall'imminente rovina la casa, lo sposo, te stessa, questo nostro piccino. Evita di vederle, di ascoltarle quelle femmine scellerate, che non puoi più chiamare sorelle dopo che ti hanno dichiarato odio mortale e hanno calpestato i vincoli del sangue, quando compariranno su quella rupe e come sirene faranno echeggiare le rocce dei loro funesti richiami.>
Ma Psiche con parole soffocate dai singhiozzi:<Da tempo, credo, hai avuto le prove della mia fedeltà e della mia discrezione; tuttavia voglio nuovamente dimostrarti la fermezza del mio animo. Soltanto devi ancora una volta dire al nostro Zefiro che obbedisca ai miei ordini e, in cambio del tuo aspetto divino che mi nascondi, lasciare almeno che io riveda le mie sorelle. Suvvia, ti prego, per questi tuoi capelli profumati e fluenti, per queste tue guance morbide e lisce come le mie, per questo tuo petto che spande non so quale ardore, oh possa un giorno riconoscere almeno nel limbo il tuo aspetto; ti supplico con le preghiere più ardenti, più umili, lascia ch'io riabbracci le mie sorelle, fa contenta la tua Psiche che ti è fedele e ti ama. Il tuo volto io non lo voglio più conoscere, la notte per me non ha più ombre: ho te e tu sei la mia luce.> Stregato da queste parole e dalle carezze lascive lo sposo, asciugandole le lacrime con i capelli, promise che l'avrebbe esaudita, poi rapido si dileguò prima che sorgesse il nuovo giorno.

Le due sorelle, unite nella congiura, senza neppure far visita ai genitori, lasciata la nave, si diressero di filato verso la rupe e non aspettarono nemmeno che il vento si sollevasse a raccoglierle ma con folle temerarietà si precipitarono giù dall'alto. Ma Zefiro che ricordava l'ordine del suo signore, sebben malvolentieri, le raccolse nel grembo del suo soffio e le depose al suolo. Ed esse senza indugiare, a passi veloci, entrarono nella casa di Psiche, abbracciarono la loro vittima, sorelle soltanto di nome, la blandirono, nascondendo dietro il sorriso tutta la perfidia che covavano in cuore. <Psiche, ma tu non sei più la bambina di pirma, eccoti già madre. Pensa chissà quale tesoro tu ci porti in questo tuo piccolo grembo. Che gioia darai a tutta la nostra famiglia. Come saremo felici di allevare questo bimbo d'oro. Se poi, com'è naturale, somiglierà in bellezza a sua madre e a suo padre, oh, allora, vedremo nascere proprio un nuovo Cupido.>
Così simularono affetto, a poco a poco si accattivarono l'animo della sorella la quale premurosamente le fece sedere perchè si riposassero del viaggio, le ristorò con un bel bagno caldo, le intrattenne nel triclinio lasciando  che si servissero loro piacere di quelle sue pietanze squisite e raffinate. Ordinò poi che la cetra suonasse e subito s'udì un arpeggio, comandò che i flauti suonassero e così fu, che si cantasse in coro e un coro cantò: non si vedeva nessuno ma queste soavi melodie accarezzavano l'animo di chi le ascoltava. Eppure la malvagità di quelle femmine scellerate non si quietò nemmeno alla dolcezza di quel canto, anzi avviando il discorso in direzione della trappola guà predisposta, facendo finta di nulla, cominciarono a chiedere a Psiche com'era quel suo marito, dov'era nato e da quale famiglia discendessa. E quella, ingenua com'era e non ricordando ciò che aveva detto la prima volta, inventò una nuova storia, cioè che il sposo era nativo della vicina provincia, che aveva un grosso giro di affari, che era di mezza età e già con qualche capello bianco. Poi, senza indigiare troppo su questo discorso le colmò nuovamente di ricchi doni e le affidò al vento perchè le portasse via.
Ma quelle mentre tornavano a casa sollevate dal soffio tranquillo di Zefiro, così cominciarono a discutere:< Che ne pensi sorella, della grossolana menzogna di quella stupida? L'altra volta era un giovanotto che aveva sì e no la barba, ora è diventato un uomo maturo con i capelli già brizzolati. Ma chi può essere uno che in così poco tempo diventa vecchio? Sorella mia, c'è poco da capire: o quella svergognata ci racconta un sacco di bugie o non sa nemmeno come è fatto suo marito. Comunque, nell'un caso o nell'altro, l'importante è tirarla giù da tutte le sue ricchezze. Perchè se non conosce l'aspetto del marito vuol dire che ha sposato un dio e, dato che è in cinta, un dio sarà anche il bambino. Sta certa che se quella lì, non sia mai, passerà per la madre di un fanciullo divino, io mi appenderò a una corda, e subito. Ma per adesso torniamo dai nostri genitori e prendendo lo spunto da questo discorso, continuiamo a tessere inganni, quanto più verosimili.>
Così, divorate dall'ira, rivolsero appensa un saluto sgarbato ai genitori e, dopo una notte insonne, al mattino, tornarono di furia alla rupe e di li si calarono giù con l'aiuto del solito vento. Strofinandosi le palpebre riuscirono a strizzare qualche lacrima e poi si rivolsero alla fanciulla con queste astute parole: <Beata te che te ne stai tranquilla, ignara di un fatto terribile, incurante del pericolo che ti sovrasta, ma noi che stiamo sveglie la notte, preoccupate del tuo caso, siamo angosciate al pensiero delle tue sciagure. Abbiamo saputo, infatti, con tutta certezza, e non possiamo nascondertelo dato che abbiamo fatto le nostre sventure e il tuo dolore, che chi viene a letto con te, di nascosto la notte, è un serpente gigantesco, tutto viscide spire dal collo gonfio d'un sangue velenoso e mortale e delle fauci enormi spalancate. Ora, ricordati dell'oracolo che ti predisse che avresti sposato un'orribile bestia. Molti contadini, e quelli che vengono a caccia da queste parti, e parecchi abitanti dei dintorni lo hanno visto all'imbrunire tornare dalla pastura e noutare nelle acque del fiume qui vicino. E tutti dicono che non ti colmerà per molto tempo di tutte queste delizie ma che appena la tua gravidanza si sarà compiuta ti divorerà insieme con il ricco frutto del tuo ventre. Stando così le cose tu devi decidere: o ascoltare le tue sorelle così sollecite della tua vita e, scampando alla morte, vivere con noi fuori di ogni pericolo, oppure finire nelle viscere di un mostro orrendo. Se poi ti piace questa solitudine risonante di voci, se ti piace giacere con un fetido, furtivo e pericoloso amante, accoppiarti con un velenoso serpente, noi le tue buone sorelle, avremo almeno fatto il nostro dovere.> La povera Psiche, ingenua e di cuor semplice com'era, a quelle parole così terribili fu assalita dal terrore. Come fuori di sè dimenticò gli avvertimenti dello sposo, tutte le promesse fatte e precipitò se stessa nella rovina più nera. Tremante, sbiancata in volto livida, con un filo di voce, balbettò parole rotte.
<Sorelle carissime, a fare quel che fate vi spinge il vostro affetto verso di me ed è anche giusto che sia così, ma anche quelli che vi han detto queste cose orribili, purtroppo, mi sa che se le sono inventate. In effetti io non ho mai visto in faccia il mio sposo, nè so di dove egli venga. Di lui conosco soltanto la voce per qualche paroletta che mi sussurra la notte e nient'altro, tranne che prima di giorno, è già fuggito. Questo mi fa pensare che voi abbiate proprio ragione e che si tratti di un mostro. Sapete poi come si spaventa se gli chiedo di volerlo conoscere e di quali disastri mi minaccia se gli dico che sono curiosa di sapere almeno com'è il suo volto. Perciò se voi volete effettivamente soccorrere queste vostra sorella infelice, fatelo subito; qualsiasi indugio renderebbe vano il beneficio che già mi avete recato con il vostro tempestivo intervento.> Allora quelle due scellerate abbero via libera nell'animo ormai indifeso della sorella e messa da parte la tattica sottile dell'intrigo sconvolsero i trepidi pensieri dell'ingenua fanciulla con le armi palesi della frode.
E così la seconda incalzò: <Poichè il vincolo di sangue che ci lega ci induce, pur di salvarti, a non tener conto del pericolo, noi ti indicheremo, dopo averci pensato e ripensato, l'unica via che può poratrti a salvamento. Prendi un rasoio molto affilato, anzi rendilo più tagliente che puoi passandolo sul palmo della tua mano e nascondilo bene nel letto, dalla parte dove ti corichi, poi sotto una pentola ben chiusa poni una lucerna piena d'olio, di quelle che fanno molta luce, e fa bene attenzione che nulla si veda. Quando lui strisciando sulle sue spire, come al solito, sarà salito nel letto e vinto dal primo sonno comincerà ad avere il respiro pesante, tu scivola giù dal letto e pian piano, scalza, in punta di piedi, va a tirar fuori dal tuo nascondiglio la lucerna e alla sua luce scegli il momento opportuno per la tua audace impresa, impugna senza esitazione quell'arma a due tagli, alza in alto il braccio e con tutta la tua forza stacca al terribile drago la testa dal collo. Non ti mancherà il nostro aiuto perchè appena tu l'avrai ucciso e sarai salva, noi accorreremo prontamente e ti aiuteremo a portar via in fretta tutta queste ricchezze e poi ti faremo sposare secondo il tuo desiderio, ma con un uomo, dal momento che sei una creatura umana.>
Con queste parole di fuoco infiammarono l'animo della sorella che già divampava, poi la lasciarono in asso temendo esse stesse di restare più oltre sul luogo di tanto misfatto e fattesi portare in alto fino alla rupe dal soffio del vento, via di gran corsa fino alle navi per poi fuggire lontano. Ma Psiche, rimasta sola, anche se sola non era perchè tormentata da furie ostili, si sentiva turbata e sconvolta come un mare in tempesta e benchè risoluta e ferma nel suo proposito, benchè già sul punto di consumare il misfatto, provava una certa esitazione e nella sua sventura era combattuta da sentimenti diversi. Ora voleva affrettarsi, ora differiva l'azione, voleva osare e aveva paura, disperava e a un tempo ardeva dalla collera, insomma odiava la bestia e amava il marito che erano un essere solo. Tuttavia mentre scendevano le prime ombre della sera, trepidante e in gran fretta alle dispose ogni cosa per il delitto. Venna la notte e giunse anche lo sposo, dopo essersi un po' cimentato in qualche schermaglia amorosa, cadde in un sonno profondo.

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