Psiche vede Amore e la punizione delle sorelle.

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Allora a Psiche vennero meno le forze e l'animo; ma a sostenerla, a ridarle vigore fu il suo stesso implacabile destino: andò a prendere la lucerna, afferrò il rasoio e sentì che il coraggio aveva trasformato la sua natura di donna. Ma non appena il lume rischiarò l'intimità del letto nuziale, agli occhi di lei apparve la più dolce e la più mite di tutte le fiere, Cupido in carne e ossa, il bellissimo iddio, che soavemnete dormiva e dinanzi al quale la stessa luce della lampada brillò più viva e la lama del sacrilegio rasoio dette un barbaglio di luce. A quella visione Psiche, impaurita, fuori di sè sbiancata in viso e tremante, sentì le ginocchia piegarsi e fece per nascondere la lama nel proprio petto, e l'avrebbe certamente fatto se l'arma stessa, quasi inorridendo di un così grave misfatto, sfuggendo a quelle mani temerarie, non fosse andata a cadere lontano. Eppure, benchè spossata e priva di sentimento, a contemplare la meraviglia di quel volto divino, ella sentì rianimarsi. Vide la testa bionda e la bella chioma stillante ambrosia e il candido collo e le rosee guance, i bei riccioli sparsi sul petto e sulle spalle, al cui abbagliante splendore il lume stesso della lucerna impallidiva; sulle spalle dell'alato iddio il candore smagliante delle penne umide di rugiada e benchè l'ali fossero immote, le ultime piume, le più leggere e morbide, vibravano irrequiete come percorse da un palpito. Tutto il resto del corpo era così liscio e lucente, così bello che Venere non poteva davvero pentirsi d'averlo generato. Ai piedi del letto erano l'arco, la faretra e le frecc, le armi benigne di così grande dio.
Psiche non la smetteva più di guardare le armi dello sposo: con insaziabile curiosità le toccava, le ammirava, tolse perfino una freccia dalla faretra per provarne sul pollice l'acutezza ma per la pressioni un po' troopo brusca della mano tremante la punta penetrò in profondità e piccole gocce di roseo sangue apparvero a fior di pelle. Fu così che l'innocente Psiche, senza accorgersenem s'innamorò di Amore. E subito arse di desiderio per lui e gli si abbandonò sopra e con le labbra schiuse per il piacere, di furia, temendo che si destasse, cominciò a baciarlo tutto con baci lunghi e lascivi.

Ma mentre l'anima sua innamorata s'abbandonava a quel piacere la lucerna maligna e invidiosa, quasi volesse toccare e baciare anch'essa quel corpo così bello, lasciò cadere dall'orlo del lucignolo sulla spalla destra del dio una goccia d'olio ardente. Ohimè audace etemaria lucerna indegna intermediaria d'amore, proprio il dio d'ogni fuoco tu osasti briciare quando fu certo un amante ad inventarti per godersi più a lungo, anche di notte il suo desiderio. Balzò su il dio sentendosi scottare e vedendo oltraggiata e tradita la sua fiducia, senza dire parola, d'un volo si sottrasse ai baci e alla carezza dell'infelicissima sposa.
Psiche però, nell'attimo in cui egli spiccò il volo, riuscì ad efferarsi con tutte e due le mani alla sua gamba destra e a restarvi attaccata, inerte peso, compagna del suo altissimo volo fra le nubi, finchè, stremata, nons i lasciò cadere al suolo. Ma il dio innamorato non ebbe cuore di lasciarla così distesa a terra e volò su un vicino cipresso e dal ramo più alto con voce grave e turbata così le parlò: <Oh, troppo ingenua Psiche, mia madre, Venere, mi aveva ordinato di farti innamorare del più abbietto, dell'ultimo  degli uomini e a lui darti in sposa; io invece le ho disubbidito e son volato a te per essere io stesso il tuo amante: stata un aleggerezza, lo so, e mi sono ferito con il mio stesso dardo, io, famosissimo arciere, e ti ho fatta mia sposa perchè tu, pensandomi un mostro, mi troncassi col ferro questo capo che reca due occhi innamorati di te. Eppure quante volte ti ho detto di stare in guardia, con che cuore ti ho sempre ammonita. Ma quelle tue brave consigliere presto faranno i conti con me per i loro suggerimenti funesti; quanto a te, basterà la mia fuga a punirti.> E con queste parole aperse le ali e si levò in cielo.

Da terra ove giaceva, Psiche seguì il volo dello sposo finchè potè vederlo e, intanto, si sfogava in gemiti angosciosi: ma quando nel suo rapido fiume, devoto al dio che suole accendere d'amore anche le acque e temendo per sè, senza farle alcun male la sollevòsu un'onda e la depose sulla riva fiorita. Per fortuna che Pan, il dio dei campi, se ne stava seduto proprio lì, sulla psonda dle fiume, con Eco fra le braccia, la dea dei monti e le insegnava a cantare le melodie più varie, mentre la capre, qua e là, lungo la riva saltando, brucavano l'erba che la corrente lambiva. Il dio caprino appena vide Psiche così distrutta e affranta, poichè non era ignaro delle sue sventure, la chiamò dolcemente a sè, confortandola con buone parole: <Figliola cara> cominciò a dirle <io non sono che un villano, un rozzo pastore, però di esperienza ne ho tanta dato che son vecchio ormai. Quindi se vedo chiaro - in fondo in questo consiste, secondo quelli che se ne intendono, l'essere profeti- dal tuo passo vacillante, dal pallore estremo del tuo viso, da quel sospirare continuamente e soprattutto dai tuoi occhi così tristi, debo arguire che un amore  violento ti tormenta. Dammi retta, allora, non provarci più a gettarti nel fiume, nè cercare la morte in altro modo. Cessa di piangere, scaccia il dolore e mettitti piuttosto a pregare Cupido, il più potente degli dei: giovane, sensibile e vagheggino com'è, lusingalo con dolci voti.>

Psiche non rispose al dio pastore che le aveva parlato e, riverente al nume soccorritore , si mise in cammino. A lungo errò per strade sconosciute, tra molti stenti, finchè giunse con le prime ombre della sera ad una città dove era re il marito di una delle due sorelle.  Appena Psiche lo seppe si fece annunziare e quando fu dinanzi alla sorella, che, dopo reciproci abbracci e saluti, le chiese le ragioni della sua venuta, così cominciò a dire:< Ricordi i consigli che mi deste quando mi persuadeste ad uccidere con un affialto rasoio il mostro che mi odrmiva accanto sotto il mentito nome di marito prima che fosse lui a divorare me, poveretta? Ebbene, quando la complice luce della lampada, come s'era d'accordo, mi rivelò il suo volto, oh, che spettacolo meraviglioso, addirittura divino, videro i miei occhi: il figlio stesso di Venere, Cupido in persona ti dico, era lì che riposava tranquillo. Rimasi come colpita da tale straordinaria visione e mentre tutta sconvolta da un desiderio prepotente che mi faceva soffrire perchè non riuscivo ad appagare del tutto, malauguratamente, dalla lucerna cadde una goccia d'olio bollente sulla sua spalla. Per il dolore egli si svegliò di soprassalto e vedendomio armata di ferro e di fuoco "Tu? Assassina?" esclamò. "Infame, via dsal mio letto, subito, fa fagotto. Tua sorella" e pronunziò il tuo nome, "io sposerò con legittime nozze" e là per là comandò a Zefiro che mi buttasse fuori dalla sua casa.>
Psiche non aveva ancora finito di parlare che quella, eccitata dagli stimoli di una pazza libidine e da una malvagia invidia, così su due piedi, inventò al marito una panzana che facesse al caso, cioè che aveva saputo della morte di uno dei suoi genitori e , di furia, prese la nave e si recò direttaemente alla nota rupe. Ma il vento che soffiava, ora oer vento diverso, tuttavia, protesa in una folle speranza, quella cominciò a invocare:<Cupido prendimi, sono io la sposa degna di te, e tu Zefiro, accogli la tua oadrona.> e con un grande salto si buttò giù. Ma nemmeno morta potè giungere là dove voleva, perchè il suo corpo si sfracellò sulle rocce aguzze e per gli uccelli rapaci e le fiere quelle membra straziate furono un pasto abbondante. Era quello che si meritava. Il seguito della vendetta non si fece attendere. Infatti Psiche, nel suo peregrinare, giunse a un'altra città dove abitava la seconda sorella e anche a questa tese la stessa trappola. Costei, bramosa di prendere il posto della sorella con nozze sciagurate, s'affrettò a correre alla rupe e fece la stessa fine dell'altra.

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