Inutili invocazioni a Cerere e a Giunone.

1.7K 68 0
                                    

Intanto Psiche vagava di qua e di là cercando con l'animo in pena, giorno e notte il suo sposo. Ella  più che mai desiderava se non di rabbonirlo con le sue carezze de sposa perchè era troppo adirato, almeno di ottenere il perdono con le preghiere più umili. <Chissà che il mio signore non abiti lì> pensò quando scorse un tempio sulla cima di un'alta montagna. E, sebbene fosse stanca per il continuo peregrinare, là si diresse affrettando il passo, sorretta dalla speranza e dal desiderio. Superate rapidamente alte giogaie, raggiunse quei sacri altari. Vide spighe di frumento a mucchi e altre intrecciate in corone, spighe d'orzo, falci e attrezzi per mietere ben lustri ma sparsi qua e là alla runfusa, come sogliono lasciarli d'estate per il gran caldo i contadini stanchi. Psiche cpn gran cura cominciò a dividere e a mettere in ordine, pensando giustamente che ella non dovesse trascurare nessun tempio e pratica religiosa ma anzi invocare la misericordia e la benevolenza di tutti gli dei.

Mentre tutta sollecitata Psiche era intenta a questo lavoro sopraggiunse Cerere:< Oh, povera Psiche> esclamò da lontano. <Venere è furibonda con te e ti sta cercando per mare e per terra; vuole ucciderti e con tutta la sua divina potenza grida vendetta. E tu te ne stai qui a occuparti  delle mie cose e  a tutto pensì fuorchè a porti in salvo.> Allora Psiche prostrandosi dinanzi alla dea e bagnando con copiose lacrime i suoi piedi e spazzando con i capelli la terra, cominciò a pregarla in mille modi, a invocarne soccorso:< Ti supplico per questa tua mano dispensatrice di messi, per le gioconde feste della mietitura, per gli inviolabili misteri dei tuoi sacri arredi, per il tuo alato cocchio al quale, per servirti, sono aggiogati serpenti, per i solchi delle campagne di Sicilia, per il carro che ti rapì Proserpina, per la terra avavra che te la sottrasse, par la tua discesa agli Inferi a nozze tenebrose, per il suo ritorno alla Luce, per ogni altro mistero che il listenzio del tuo santuario, ad Eleusi, custodisce, soccorri Psiche che ti supplica, la sua povera vita. Lascia ch'io mi nasconda fra questi covoni di spighe, per pochi giorni giorni soltanto, finchè non si plachi, col tempo, la collera terribile di una dea così potente o almeno fino a quando io non riprenda, con una breve sosta, un po' di forse, sfinita come sono dopo un così lungo peregrinare.>

<Mi commuovono le tue lacrime e le tue preghiere> le rispose Cerere <e vorrei proprio aiutarti. Ma Venere è una mia parente, ottima donna peraltro, con la quale sono sempre stata in buoni rapporti; non me la sento, perciò, di farle un torto. Esci dunque, e in fretta, da questo mio tempio e consideralo già un favore se non ti faccio mia prigioniera.> Così, contro ogni sua speranza, Psiche si vide respinta e, delusa, sentì raddoppiare dentro l'angoscia. Tornò allora sui suoi passi e vide nel mezzo di un boschetto che verdeggiava nella valle sottostante un tempio costruito con bell'arte. Non volendo tralasciare nessuna possibilità, benchè minima, di miglior fortuna, ma anzi invocare il favore di quel dio, qualunque fosse, ella si avvicinò alla sacra porta e vide magnifici doni votivi e festoni ricamati a lettere d'oro appesi ai rami deglia lberi e agli stipiti delle porte che testimoniavano le grazie ricevute e dichiaravano il nome della dea cui erano dedicati. Psiche cadde allora in ginocchio e asciugandosi gli occhi e abbracciando l'altare ancora tepido, così pregò:< Oh sorella e sposa del grande Giove, sia che tu abiti nell'antico santuario di Samo, la sola che può vantarsi dei tuoi natali, di aver sentito per prima i tuoi vagiti e d'averti allevata, o sia che tu ti indugi nella beata dimora dell'eccelsa Cartagine che venera te, vergine trascorrente nel cielo sul dorso di un leone, o sia che tu protegga le mura di Argo presso le rive dell'Inaco, che da sempre ti chiama sposa del Tonante e regina di tutte le dee, tu che tutto l'Oriente venera col nome di Zigia e tutto l'oocidente con quello di Lucina, sii nella mia estrema sventura, veramente Giunone Salvatrice e me, sfinita da tutte le sofferenze patite, libera dalla paura del pericolo che mi sovrasta. So che tu sei quella che prontamente accorre a sostenere le donne nel momento rischioso del parto.> Così supplicava Psiche e a un tratto le comparve davanti Giunone in persona in tutta l'augusta maestà del suo nume:<Come vorrei, credimi, esaudire le tue preghiere> le disse <ma per doveroso riguardo io non posso mettermi contro la volontà di Venere, che mi è nuora, e che, del resto, ho sempre voluto bene come una figlia. Per giunta ci sono anche le leggi a impedirmelo, che proibiscono di dare ospitalità agli schiavi fuggiti senza il permesso dei loro padroni.>

Per la seconda volta Psiche vide così naufragare le sue speranze. Sentiva che non avrebbe più potuto raggiungere il suo sposo alato e che ogni via di salvezza ormai le era preclusa. <Quali altre strade mi restano> incominciò a pensare fra sè <quali rimedi ai miei mali, se neppure delle dee hanno potuto aiutarmi nonostante le loro migliori intenzioni? Dove di nuovo volgere i passi, impigliata come sono in tanti lacci, sotto quale tetto, in quali tenebre nascondermi per sfuggire all'occhio implacabile della grande Venere? Perchè, invece, non ti fai coraggio e, decisamente, rinunzi alle tue povere speranze e spontaneamente non ti arrendi alla tua padrone e con un atto di umiltà, anche se tardivo, non cerchi di placarne la collera violenta? Chissà che quello che stai cercando da tanto tempo tu non lo trova proprio là, nella casa di sua madre?> Così, pronta a una resa le cui conseguenze erano incerte, o meglio portavano a una sicura rovina, Psiche rifletteva tra sè come incominciare la supplica.

Amore e PsicheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora