Prima prova e l'aiuto delle formiche.
Dopo averla picchiata si fece portare dei chicchi di frumento, d'orzo, di miglio, semi di papavero, ceci, lenticchie e fave, le mescolò, ne fece un gran mucchio e le disse :<Sei una schiava così brtta che a me pare tu non possa farti in alcun modo degli amanti, se non a prezzo di un diligente servizio. Perciò voglio mettere alla prova la tua abilità: dividi tutti questi semi, sceglili ad uno a uno e fanne tanti mucchietti, in bell'ordine. Prima di sera verrò a controllare che il lavoro sia stato eseguito.> E lasciatala davanti a quel gran mucchio di semi se ne andò a un pranzo di nozze. Psiche non ci provò nemmeno a metter mano in quel confuso, inestricabile cumulo ma costernata dall'enormità di quell'ordine se ne rimase in silenzio come imbambolata. Allora quel piccolo animaluccio dei campi, la formicuccia, che ben sapeva quanto difficile fosse un lavoro del genere, provò compassione per la compagna dle grande Cupido e condannò la crudeltà della suocera. Così cominciò a darsi da fare, su e giù, chiamando a raccolta, dai dintorni, tutto il popolo delle formiche. <Correte, agili figlie della terra feconda correte a date una mano, presto, una leggadra fanciulla in pericolo, la sposa di Amore!> E quelle accorsero tutte, a ondate, minuscolo popolo a sei piedi, e lavorando con uno zelo mai visto, chicco dopo chicco, disfecero tutto il cumulo, separarono i semi, lo distribuirono in mucchi secondo la qualità e poi, in un batter d'occhio, disparvero.
Sul far della notte Venere tornò dal banchetto un po' brilla ma odorosa di balsami e con il corpo tutto inghirlandato di rose meravigliose. Vide il lavoro compiuto a puntino e :<Quetso lavoro non l'hai fatto tu> cominciò a gridare <Furfante che non sei altro, ma è opera di colui al quale per tua e soprattutto per sua disgrazia tu sei piaciuta.> e gettandole un tozzo di pane perchè non morisse di fame se ne andò a dormire. Cupido intanto, era stato isolato in una stanza tutta d'oro, la più interna del palazzo e tenuto sotto chiave, sia perchè, con la sua sfrenata libidine non aggravasse la ferita, sia perchè non si incontrasse con la sua amata. E così, i due amanti, passarono una notte triste, divisi e separati l'uno dall'altro sotto lo stesso tetto.Seconda prova e l'aiuto della canna.
Ma quando l'Aurora spinse innanzi i suoi cavalli, Venere, chiamata Psiche, così le ordinò :< Vedi quel bosco laggiù che si stende fin sugli argini del fiume e i cui rami più bassi quasi toccano l'acqua e vi si specchiano? Ebbene là pascolano in lobertà pecore bellissime dalla lana d'oro lucente e non v'è alcun guardiano. Io voglio che tu mi porti subito, vedi un po' tu come fare, un poco di quella lana preziosa.>
S'avviò di buon grado Psiche non già per eseguire quell'ordine ma per trovare rimedio ai suoi triboli precipitandosi da una rupe giù nel fiume; ma dalla sponda una verde canna, di quelle da cui si poccon trarre le melodie più soavi, quasi fosse ispirata da un dio, così le parlò nel lieve murmure della brezza leggera :< Oh, Psiche, afflitta da tante pene, non profanare le mie acque sacre con la tua morte miseranda e non avvicinarti, ora, a quelle terribili e selvagge pecore, perchè la vampa ardente del sole le rende ferocissime e con le loro corna aguzze e con le loro fronti dure come il macigno, talvolta addirittura con morsi velenosi, esse s'avventano sugli uomini per ucciderli. Intanto finchè il sole del meriggio non avrà mitigato il suo ardore e le pecore nonsi saranno ammansite alla fresca brezza che sale dal fiume, tu puoi nasconderti a bell'agio sotto quel grande platano che, insieme con me beve alla stessa corrente. Quando le pecore si saranno quietate, allora recati nel bosco vicino e scuoti le fronde e troverai la lana d'oro rimasta attaccata qua e là nell'intrico dei rami.>
Così quell'umile canna imanamente indicava alla povera Psiche la via della salvezza e questa non si pentì di averle dato ascolte nè indugiò a seguire ogni istruzione, tanto che fu facile compiere il furto e tornare da Venere addirittura con il grembo colmo di soffice lana d'oro.La terza prova e l'aiuto dell'aquila.
Ma nemmeno questa seconda prova, così rischiosa per giunta, le valse a cattivarsi il favore della sua padrona la quale, aggrottando la fronte e sorridendo amaro le disse :< Non è che io non sappia chi sia stato l'autore furfantesco anche in questa impresa, ma voglio metterti ancora alla prova, proprio per vedere se hai veramente tanta forza d'animo e tanta saggezza. Vedi lassù la cima a strapiombo di qell'altissimo monte? Là c'è una sorgente le cui acque cupe scorrendo giù nel fondo di una valle vicina vanno a finire nella palude Stigia e alimentano le vorticose correnti di Cocito. Voglio che tu vada là in cima, proprio dov'è la sorgente, e che mi rechi all'istante, in questa piccola anfora, un po' di quell'acqua gelida.> e così dicendo non senza minacciarla di pene ancora più gravi, le consegnò un'ampolla di levigato cristallo.
E Psiche a rapidi passi e tutta in ansia si diresse alla cima del monte sicura che lassù almeno avesse termine la sua infelicissima vita. Ma appena giunse nei pressi della vetta indicatale, alle si rese conto del rischio mortale che comportava quell'impresa smisurata. Quella cima, infatti, enorme e altissima, liscia e a strapiombo, inaccessibile, vomitava dalle sue viscere un orrido fiotto che irrompendo dai crepacci e scorrendo poi giù per il pendio, s'inglolfava in un angusto canale sotterraneo per poi scrosciare invisibile nella valle sotto stante. A destra e a sinistra, tra gli anfratti rocciosi, orribili draghi strisciavano e rizzavano i lunghi colli, sentinelle vigilanti dagli occhi sempre aperti, dalle pupille eternamente spalancate alla luce. Del resto quelle acque che erano parlanti, da se stesse provvedevano alla loro difesa :<Vattene!> gridavano incessantemente <Che fai qui? Bada a te! Che vuoi? Guardati! Fuggi via! Sei perduta!> Così Psiche rimase come impietrita nella sua impotenza, presento col corpo ma lontana coi sensi, schiacciata dall'enormità di un pericolo senza via d'uscia; e nonle restava nemmeno l'estremo conforto del pianto.
Ma le tribolazioni di quell'anima non sfuggirono all'occhio della buona provvidenza. E così l'uccello regale del sommo Giove, l'aquila rapace, spiegò le ali e in un attimo le venne in soccors, memore dell'antica obbedienza, quando sotto la guida di Amore, rapì per Giove il coppiere frigio. Ora, volendo ancora una volta offrire i suoi servigi a questo potente dio e cattivarsene il favore col soccorrere la sua sposa in pericolo, lasciò le eteree cime dell'eccelso Olimpo e cominciò a ruotare intorno alla fanciulla :<Oh tu, ingenua e inesperta come sei di tali cose>, intanto le diceva, <speri, proprio tu, di poter portar via o soltanto toccare una sola goccia di quest'acqua sacra e tremenda insieme? Non sai, almeno per sentito dire, che queste acque infernali fanno paura anche agli dei, perfino allo stesso Giobeììve,e che se voi di solito giurate sulla potenza degli dei questi sogliono giurare sulla maestà dello Stige? Ma dammi quest'anforetta.> e là per là gliela prese e tenendola stretta si librò sulle grandi ali remiganti e volteggiò a destra e a sinistra fra le mascelle irte di denti aguzzi e le lingue triforcute dei draghi riuscendo ad attingere di quell'acqua riluttante che gridava anche a lei di fuggir via finchè era incolume e alla quale però ella rispondeva che per ordine di Venere sua padrona era venuta ad attingere; per questo le fu più facile avvicinarsi.
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Amore e Psiche
RomancePsiche, una bellissima fanciulla che non riesce a trovare marito, diventa l'attrazione di tutti i popoli vicini che le offrono sacrifici e la chiamano Venere (o Afrodite). La divinità, saputa l'esistenza di Psiche, gelosa per il nome usurpatole, inv...