THOMAS
Tornato a casa sentivo ancora i brividi percorrermi tutta la schiena, merito o colpa dei ricordi vividi del bacio tra me e Jennifer. Ancora sentivo il suo sapore. La mia fantasia perse ogni briglia, e mi trovai senza decenza ad immaginare cose censurabili. Per quanto mi sforzassi di non pensarci, era impossibile non immaginare che quel bacio fosse rimasto tale. Mi ritrovai a sognare ad occhi aperti, ciò che sarebbe potuto accadere dopo quel bacio, al quale ne sarebbero seguiti altri, per poi finire avvinghiati, nudi, a fare l'amore per tutta la notte. A quel punto la mia fantasia mise in moto una reazione a catena. Pensieri piccanti, uguale ad eccitazione immediata. Avvertii la mia virilità acquisire vita propria, e sentii il mio sesso gonfiarsi nei boxer. Dovevo recarmi al lavoro, quindi era meglio sedare la situazione con una bella doccia fredda. Il getto dell'acqua raffreddò ogni briciola di eccitazione, riportando tutto alla normalità.
Finita la doccia, andai in camera, mi vestii ed uscii di casa per andare allo studio legale. Entrai nell'atrio dell'edificio dove l'usciere mi salutò come sempre, ricambiai e mi diressi a prendere l'ascensore. Entrai in ufficio. Per prima cosa, mi serviva un bel caffè, perciò mi recai nella sala apposita. Qui trovai Hayley e Jennifer. L'esuberanza della sera precedente era svanita, nonostante tutto, la trovavo stupenda. Peccato che l'alcool ingerito la notte precedente le avesse lasciato segni evidenti. Il suo incarnato era più pallido del solito, e sotto gli occhi c'era l'ombra impercettibile delle occhiaie. Salutai le ragazze e mi accertai che Jennifer stesse bene, ma soprattutto mi preoccupai che potesse ricordare qualcosa di ciò che era avvenuto. Lei non ne fece il minimo accenno, così mi tranquillizzai. Dopo che mi disse di aver preso un'aspirina per il mal di testa, le diedi il tempo di riprendersi prima di cominciare a lavorare.
Uscii dalla sala caffè e mi diressi nel mio ufficio privato all'interno dello studio legale. Mentre stavo seduto alla scrivania, anziché concentrarmi sul lavoro, focalizzai nuovamente i miei pensieri su Jennifer. Di tanto in tanto faceva capolino la mia fantasia più perversa, che si divertiva a darmi flash di immagini riguardo me e lei impegnati a fare ben altro che studiare pratiche legali nel mio ufficio. Il tutto fu interrotto, fortunatamente, da qualcuno che bussava alla porta.
«Avanti», dissi.
Entrarono Matthew e Brian. I due mi salutarono con un cenno del capo. Io sorrisi, si sedettero in due delle poltroncine davanti la scrivania. Passati quasi dieci minuti, bussarono di nuovo alla porta, Matt andò ad aprire: era Jennifer che sembrava stare meglio. Una volta entrata venne a sedersi nell'unica poltroncina libera rimasta, proprio di fronte a me. Lavorammo tutta la mattinata e solo verso l'ora di pranzo finimmo. I ragazzi se ne andarono, mentre io e Jennifer restammo per mettere ordine tra tutti i documenti.
«Stai meglio ora?», domandai avvicinandomi. Lei si spaventò. Forse non si aspettava la mia vicinanza.
«Si, sto bene», si affrettò a rispondere restando rigida.
«Forse ieri hai esagerato un po' con l'alcool?!», volevo mettere alla prova la sua memoria.
«Ho solo bevuto due bicchierini», disse giustificandosi.
«Solo due?! A me sono sembrati molto di più», da come mi aveva risposto intuii che non ricordava nulla dell'accaduto.
«E tu come fai a saperlo?», domandò con occhi sgranati.
«C'ero anch'io nel locale dove sei andata ieri sera. Mi trovavo lì con Matt, Brian e un altro mio amico», senza accorgermene avevo ridotto ulteriormente le distanze.
«Capisco. Scusa», disse abbassando la testa.
«Per cosa ti stai scusando?», domandai perplesso.
«Non vorrei che pensassi male di me. Non sono il tipo di ragazza che va in discoteca e si ubriaca. Non fa per me. Ieri era solo un modo per festeggiare con un'amica». Mi trovai a domandarmi perché stesse cercando di giustificarsi.
«Ehi Jennifer», le dissi alzandole il viso con due dita. «Non devi dare spiegazioni a nessuno, tantomeno a me. È la tua vita, inoltre non potrei mai pensare male di te»
«Perché mai?», domandò curiosa.
La guardai fissa negli occhi.
«Perché sei una ragazza seria, ligia al lavoro e molto intelligente. Qualsiasi uomo lo direbbe e, se mi permetti di esprimere un parere personale, a me piaci così come sei», confessai.
Non so da dove mi venne il coraggio di dire quella frase, pensavo davvero ciò che le avevo detto, però mi sembrò di aver oltrepassato un limite che non doveva essere superato. Lei divenne tutta rossa e abbassò di nuovo il viso.
«Grazie», disse timidamente.
«Andiamo a mangiare qualcosa, magari chiediamo ad Hayley se vuole unirsi a noi, che ne dici?!», domandai allegro cercando di stemperare quel po' di tensione che si era creata tra noi. Percepivo la carica elettrica che i nostri corpi emanavano quando stavamo troppo vicini. Non era disagio, ma qualcosa di viscerale, misterioso, una sensazione travolgente e selvaggia che s'impadroniva di me, nasceva come una scintilla e prendeva fuoco all'istante e mi ribolliva nel sangue. Lei annuì ed uscimmo dall'ufficio. Raggiungemmo Hayley per invitarla a pranzare con noi. La nostra amica accettò.JENNIFER
Ci fermammo a una tavola calda e dopo aver trovato un tavolo per tre ordinammo. Successivamente parlammo del più e del meno, Thomas disse che si sarebbe allontanato un attimo per andare in bagno.
«Allora?! Come va il mal di testa?», domandò Hayley.
«Meglio. Sembra che sia passato»
«Mi fa piacere. Il caso del signor King procede bene o vi siete fermati ad un punto morto?»
«Sai forse abbiamo trovato la prova che scagiona il cliente. L'Avvocato Newton e l'Avvocato Spencer ci stanno dando un grosso aiuto», le risposi.
«Si, lo so. Tom mi ha raccontato tutto e mi ha anche detto dell'impegno che ci stai mettendo. È molto soddisfatto di te, inoltre gli piaci... », sorrise maliziosa.
«Gli piace come lavoro, lo so», risposi, poi tra me pensai "Sarebbe magnifico se gli piacessi nel senso che pensi tu, amica mia, ma figuriamoci se mi considera anche solo lontanamente in quel senso!"
«A dire la verità intendevo un'altra cosa», insistette lei.
«Ovvero?! Non ti seguo», finsi di essere ingenua, volevo scoprire di più, e da come parlava sembrava sapere qualcosa che io ignoravo.
«Jenny non dirmi che non te ne sei accorta?!»
«Di cosa?»
«Tu piaci a Thomas. E non parlo di come lavori. Parlo del fatto che non ha occhi che per te. Jenny, Tom è innamorato di te!», disse diretta.
«Dai che assurdità! Non può essere. Lui è il mio capo e io la sua assistente»
«Non significa nulla e, comunque sia, non sareste i primi. Sai quante persone conosco che si sono innamorate sul posto di lavoro, e che addirittura si sono sposate?!», disse mentre mangiucchiava un grissino.
«Lui ti ha detto qualcosa a riguardo?», domandai. All'improvviso la sedia su cui ero seduta mi sembrò scomoda e piena di spine.
«No, ma non ce ne è bisogno. Si vede a chilometri che non gli sei indifferente. Se tu potessi vedere coi miei occhi, ti renderesti conto di ciò che sto dicendo!»
«Sarà, ma a me non sembra proprio che sia così. Credo che Thomas mi ritenga solo un'ottima assistente, tutto qui! E poi perché non me lo dice di persona?! Se davvero gli piaccio si dovrebbe fare avanti!», lei mi guardò come se fossi pazza.
«Ora se non ti dispiace, possiamo cambiare argomento?»
Lei annuì, il discorso cambiò repentinamente appena vedemmo Thomas tornare da noi.
Arrivarono le nostre ordinazioni, mangiammo e continuammo a parlare di cose futili.
Subito dopo pranzo, Hayley se ne andò dicendo che aveva un impegno a cui non poteva sottrarsi, così rimasi sola con Thomas.
«Va tutto bene?», domandò.
«Si, perché?», mi spostai nervosa come se sulla mia sedia ci fossero le ortiche a pungermi.
«Non so, ma tu ed Hayley mi sembrate un po' strane», si sporse verso di me, gli occhi divennero due fessure, come se volesse scovare chissà quale segreto.
«Cosa? No! Non c'è assolutamente nulla di strano!», la mia voce salì di un'ottava per l'agitazione.
«Se lo dici tu. Che facciamo adesso?», quella frase mi diede un brivido, e nel mio bassoventre si diffuse un calore inaspettato, come se il mio corpo reagisse a qualcosa che alla mia mente sfuggiva.
«Forse dobbiamo tornare in ufficio?!», dissi ridendo.
«Che ne diressi di concederci una pausa?! In fin dei conti ultimamente abbiamo lavorato molto sul caso del signor King», sorrise in un modo a cui non ero abituata.
«Il capo sei tu, tocca a te decidere», cercavo di restare neutra, dopo le parole di Hayley, qualsiasi frase detta da Thomas mi sembrava acquistare un doppio senso.
«Bene, allora il capo ha deciso che oggi non si lavora! Ora avviso in ufficio e poi potremmo andare al parco, ti piace l'idea?!», il suo sorriso era dannatamente sexy, era sempre stato così o lo faceva apposta per confondermi? Ad ogni modo mi sentivo a disagio, avevo la sensazione di camminare in bilico su un filo teso tra due grattacieli, ad ogni passo sarei potuta precipitare per poi schiantarmi al suolo con un bel tonfo!
«Ok», mi limitai a rispondere troppo presa dalle mie perplessità.
Lui sfoderò tutto il suo fascino nell'ennesimo sorriso, ricambiai sempre più imbarazzata dalla mia fantasia che correva a piede libero, mentre la parte razionale di me, la rincorreva con la camicia di forza. Si alzò da tavola e si allontanò per chiamare in ufficio. Quando tornò pagammo il conto e ci dirigemmo allo stesso parco dove, tempo prima, avevamo per caso incrociato i nostri sguardi.*Nota autrice*
Buon pomeriggio a tutti/e! Come state? Io sto bene. Eccomi con un nuovo capitolo della storia. Mi scuso se mi faccio attendere così tanto ma, prima di postare ogni capitolo, lo rileggo e lo rileggo alla ricerca di qualche errore, li dove ce ne fossero.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento. Come sempre votate e lasciate un vostro commento a riguardo. Buona lettura!Baci, la vostra Anna :* :* :*
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A Lawyer in Love
RomantikJennifer Joyce lavora presso uno studio legale della sua città, Chicago. A seguito di una proposta indecente da parte del suo datore di lavoro, si licenzia e decide di partire per Los Angeles. All'inizio lavora nella libreria di una sua amica che l...