×CAPITOLO 3×

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Alice's POV

«Non ci credo che hai assunto quest'incapace, papá!» la rossa su cui avevo accidentalmente rovesciato il caffè il giorno del colloquio, stava gridando contro suo padre tutto il suo disappunto circa la mia presenza li da almeno dieci minuti. La sua voce era snervante. Mi pulsavano le tempie. Vi premetti contro i pollici, muovendoli in circolo, cercando di alleviare il dolore.
«Stella è un ottima lavoratrice. Finora non potrei essere più soddisfatto del lavoro svolto. Perché ce l'hai tanto con lei, tesoro?» arrossii per quei complimenti, felice comunque che Gabriele apprezzasse i miei sforzi.
«Perché con i suoi modi rozzi mi ha rovinato una camicetta da cinquecento euro rovesciandoci sopra un intero bicchiere di caffè!»
Che esagerata! Prima di tutto era solo qualche goccia, e seconda cosa anche la mia camicetta si è macchiata ma non ne sto facendo tutto questo dramma.
Roteai gli occhi, contrariata, sperando Gabriele non se ne accorgesse. Sua figlia sapeva essere davvero una spina nel fianco.
«Vorrá dire che ne comprerai un'altra, tesoro.» finalmente qualcuno che ragiona!
«Ma era un regalo del mio ragazzo!» Bianca, come avevo appena scoperto si chiamasse, sembrava sul punto di scoppiare in lacrime battendo i piedi sul pavimento come una bambina di tre anni che fa i capricci.
Quasi risi per l'espressione implorante di Gabriele. Credo nemmeno lui riuscisse a sopportare certi piagnistei, nonostante ne fosse obbligato essendo sua figlia.
Alla fine lo vidi compilare un assegno in bianco e passarlo alla figlia, alla quale si illuminarono gli occhi.
«Con questo potrai comprarti tutto ciò che vuoi, d'accordo? Ora per favore, lasciami con Stella, abbiamo molto lavoro da fare.» la congedò, alzandosi dalla poltrona e camminando verso di me.
Quando Bianca si allontanò, seguita dal ticchettio delle sue Loboutin lucidissime, mi ritrovai a seguire Gabriele lungo il corridoio.
«Non l'ho fatto a posta.» mormorai sperando mi sentisse.
Lui mi guardò accigliato. «Cosa?»
«Ho detto soltanto che non l'ho fatto a posta a rovesciarle addosso il caffè. È stato un incidente.» confessai.
«Non preoccuparti Stella. Mia figlia è fatta così. Tende sempre ad estremizzare le cose.» riconobbe mortificato, lasciandosi andare in un piccolo sospiro.
Sorrisi timidamente, stringendomi al petto la cartellina con gli appuntamenti del giorno.
«Dobbiamo incontrare Riccardo e la sua troupe in sala di registrazione. Sembra che finalmente abbia accettato di registrare il nuovo singolo.»
Oh no, vi prego! Di nuovo lui no. Questo era un incubo. Non poteva esservi altra spiegazione.
Non appena facemmo il nostro ingresso nella saletta, tutti gli occhi furono puntati verso di noi.
Gli occhi di Riccardo si fermarono su di me per qualche secondo e io sostenni il suo sguardo di sfida senza alcun problema.
Interminabili minuti trascorsero, mentre in silenzio, me ne stavo in un angolino ad osservare quell'ambiente a me ancora estraneo. Parecchi strumenti erano appesi alle pareti. Sapevo suonarne almeno due. Chitarra e piano, per la precisione.
Quando tutti se ne andarono, Gabriele salutò anche me. Il mio orario di lavoro era finito.
Approfittando della solitudine, afferrai la chitarra dalla parete e mi accomodai su una delle poltrone girevoli della stanza.
Me la misi a tracolla e chiusi gli occhi, ricordando le parole di una canzone che mi ricordava mio padre. Era lui a cantarmela quando ero piccola.
Sembrava essere stata scritta su misura per me.
Provai qualche accordo, trattando di richiamare alla mente quella melodia.
Pizzicai le corde della chitarra e inizia a cantare, quasi sottovoce, come se quelle parole fossero un segreto inestimabile.
«Sarò li con te se avrai bisogno di toccare le mie mani, sarò quello che comprenderà ogni tuo silenzio, sarò il sole che la notte ho sempre sognato per te. Dormi stretta tra le mie braccia, piccola stella.
Inseguirò i tuoi passi da lontano, ti accompagnerò in questo mondo strano...» mi bloccai udendo un rumore provenire dalla porta.
«Hai una bella voce, sai?»
Stagliato contro lo stipite della porta, in tutta la sua sfacciataggine, c'era Riccardo. Un sorriso strafottente gli increspava le labbra, raggiungendo perfino gli occhi.
Feci spallucce, minimizzando quel complimento inopportuno.
«L'hai scritta tu?» fece qualche passo verso di me.
«No.»
«Lavori per Gabriele, giusto?» continuò con le domande, senza notare la mia inesistente voglia di fare conversazione.
«Si.»
«Hai finito di rispondere a monosillabi?»
«No.» rimbeccai. Inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia sul petto. Stava cercando di trattenere una risata, e le sue guance avevano assunto una piccola sfumatura rossa.
Scoppiai a ridere per la sua espressione, e lui mi seguí.
Tornai subito seria. «Mi devi delle scuse, comunque.» mi aspettavo una risposta acida, ma rimasi piacevolmente sorpresa.
«Giá, hai ragione. Mi dispiace per l'altro giorno... non era con te che avrei dovuto discutere.» infilò le mani nelle tasche dei jeans e si guardò intorno.
«Perché ti sei comportato in quel modo? Non intendo con me, ma alla riunione...» volli sapere, colta da un improvvisa curiosità.
«Non mi piace che mi si impongano le cose... Sono abituato a fare di testa mia.» sospirò. «E tu? Dicevo sul serio prima... hai una bella voce, quindi perché lavori come tirapiedi di Gabriele?»
Scossi la testa, turbata dal suo repentino cambio di argomento. «Non sono la sua tirapiedi, ma la sua segretaria.» precisai alzando gli occhi al cielo. «E comunque fare la cantante non fa per me...»
«Oh certo, perché fare la segretaria di un discografico manipolatore è meglio.» mimò le virgolette alla parola segretaria, irritandomi.
«Senti, non sono affari tuoi. A me questo lavoro serve e per di più è una delle case discografiche più importanti del ventunesimo secolo, per cui non ho nulla di cui lamentarmi. Se tu sei un ragazzetto montato a cui far parte di questa etichetta non fa ne caldo ne freddo allora vattene. Nessuno ti obbliga a restare.»
Bofonchiò qualcosa come "un contratto", ma feci finta di non aver sentito.
«Ti è mai capitato di avere talmente tanta voglia di fare qualcosa, qualcosa che sogni da tutta la vita, e che quando finalmente ci riesci, non puoi farlo a modo tuo?» posò la mano sullo schienale della mia poltrona e mi guardò dritta negli occhi, imprigionandomi nel suo sguardo di ghiaccio.
«No...» tentennai a voce bassa. Non capivo dove volesse arrivare.
«Allora non giudicarmi per quello che vedi. Sto solo difendendo quello in cui credo più di me stesso, prima che qualcuno riesca a portarmelo via completamente.»
Con questo se ne andò da dove era venuto senza un'altra parola, nemmeno un cenno di saluto.
Probabilmente ero stata un po' dura, scattando per una frase che di per sé non aveva nulla di offensivo.
Io però ero fatta così. Stavo sempre sulla difensiva, cercavo di attaccare prima che potessero attaccare gli altri. Forse, e dico forse, lui non era tanto diverso.

#SpazioMe
Ciaooo!
Il capitolo tre è tutto vostro e spero vi piaccia ❤️
La canzone cantata da Stella è "Piccola stella" di Luca Napolitano. L'ho scelta perché il testo rispecchiava perfettamente il rapporto tra stella e suo padre. Io l'ho usata come fosse una ninna nanna che suo padre le cantava da piccola, ma in realtà non lo è. Se vi va ascoltatela perché è bellissima 😍
Un bacio e spero di farmi sentire il prima possibile 😘

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