Capitolo XX
La gelosia
- Allora, che film vuoi guardare? - chiesi, sedendomi meglio sul divano e osservando gli occhi lucidi di Louis. Starnutì due volte prima di rispondermi dicendo - Per me fa lo stesso. Accendi la TV e vediamo un po' cosa c'è - feci come mi aveva detto e trovai un film fantastico. No, non fantastico in senso di bello, ma fantastico in senso di Genere. Genere fantastico.
- Ti piace? - gli domandai, osservando uomini che venivano sbranati da strani cani-lupo-vampiri-orchi e non so più a cos'altro paragonarli. In risposta, annuii lievemente e capii che non stesse affatto bene.
- Dove sta il termometro? -
- Nel c-cassettone, in cucina - balbettò per il freddo. Andai in cucina, cercando quel termometro in tantissimi cassettoni. Credetti in una magia non appena lo trovai in quello a destra del frigorifero. Obbligai Louis a indossarlo, faceva più storie lui che un bambino piccolo.
- E' un termometro Louis, non ti verrà mica qualcosa tenendolo per cinque minuti - a queste mie parole mise il broncio e fece il finto offeso. Ridacchiai, aspettando poi il tempo necessario prima di togliergli il termometro.
- Bene, anzi benissimo. Hai la febbre a 38,5°. Bravo Louis. Così impari a farti il bagno a Novembre - non ero arrabbiato per il fatto che gli fosse venuta la febbre, piuttosto per il modo nel quale gli era venuta. Poteva benissimo evitare un bagno in pieno inverno.
- S-scusa. Mi dispiace a-aver rovinato tutto - starnutì e tossì talmente tante volte che persi pure il filo.
- Non sono arrabbiato per esser tornato a casa, ma ora ti tocca restare qui con la febbre e tutto perchè hai fatto uno stupido bagno a Novembre, che ti avevo consigliato di non fare - borbottai frustato.
- Sono testardo. E' una m-mia specialità -
- Beh spero che ti passi. Vado a prenderti un'altra coperta, dato che stai congelando - sussurrò un fievole "Grazie" così salii di sopra, arrancai circa tre coperte e le posizionai tutte sul suo apparente corpo fragile. Poi il telefono squillò, così andai a rispondere.
- Pronto? -
- Harry? Sei tu? -
- Si, Johannah? -
- Esattamente. Volevo dirti che io questa sera ho il turno di notte e torno domani mattina. Ho lasciato le ragazze dalla nonna così non dovete preoccuparvi di nulla. Lì tutto apposto? -
- Louis si è preso la febbre. Dimmi che pillole dargli e al resto ci penso io -
- Sei sicuro che non vuoi che venga? Posso chiedere un permesso -
- Non preoccuparti, non perdere giorni lavorativi -
- D'accordo, allora prendi quelle nella scatoletta blu e poi se sale troppo dagli quella nella scatoletta bianca con la scritta viola. Se c'è qualche problema non esitare a chiamare -
- Va bene, grazie e a domani -
- A domani, un bacione -
Chiusi la chiamata e tornai da Louis, ormai sotterrato da tutte quelle coperte. Non appena mi chiese chi fosse, risposi raccontando la telefonata con sua madre. Poi mi offrii per cucinargli qualcosa. Dovevo improvvisare un piatto sostanzioso per poi dargli la pillola nella scatoletta blu.
Misi una pentola, contenente acqua, sul fuoco. Mentre aspettavo che fosse pronta, andai alla ricerca dei medicinali che fortunatamente trovai subito. Poi presi del pollo dal frigo e lo tagliai a cubetti. Li immersi nell'acqua già pronta e aggiunsi del dato e un filo d'olio. Non cucinavo spesso, ma quelle volte che lo avevo fatto mi davo sempre da fare. Non c'era niente di strano o complicato nel brodo di pollo, e poi era la soluzione migliore per chi stesse male. Anche se Louis non la pensò allo stesso modo. Non appena vide quel piatto col brodo di pollo fece una faccia schifata e si nascose sotto le coperte. Sapevo già come convincerlo.
- Dai Louis, non puoi non mangiare -
- Non muoio mica, per una volta e poi ODIO il brodo di pollo -
- Sai cosa? Tanti bambini in Sud-Africa, pagherebbero con la vita per questo piatto di brodo di pollo. Le malattie distruggono le loro vite. Muoiono di fame Louis e sai perchè? Perchè lì non c'è tutto questo ben di Dio. Qui ogni cosa che buttiamo riuscirebbe a sfamare intere famiglie, i cui componenti muoiono giorno dopo giorno. Vuoi questo Louis? Uccidere altri bambini, buttare cibo piuttosto che mangiarlo? O beh, se vuoi questo dimmelo. Butto il piatto e avrai nella coscienza milioni di bambini che ti guarderebbero con la bava in bocca -
- Dallo a quei bambini allora - sbottò testardo.
- Non è possibile o avrei dato il mio cibo a ognuno di loro. Quello che voglio farti capire è che non dovresti lasciarmi buttare cibo -
- Mangialo tu - si è proprio vero quando diceva che era testardo.
- Facciamo una cosa. Un cucchiaio io e uno tu, okay? -
- Accetto - ringraziai il cielo prima di prendere un altro cucchiaio e cominciare a mangiare quel brodo di pollo. L'ho fregato più volte, fingendo di aver già preso il mio e facendone mangiare di più a lui. In fondo quello con la febbre non ero di certo io.
Non appena finimmo di mangiare, mi alzai e posai tutto nella lavastoviglie. Tornai da Louis, pensando che stesse ancora guardando la TV, ma lo trovai a messaggiare col cellulare.
- Tua madre? - chiesi indicando il telefono con un cenno del capo.
- No. Eleanor - disse, scuotendo prima la testa e facendo apparire sulle sue labbra un dolce sorriso. Ovvio Harry, cosa pensavi? Che non avrebbe più parlato con lei per quello che era successo con te o che ti avrebbe considerato per tutta la serata intera? Illuso.
Finii il mio dibattito mentale e cercai di muovere le labbra e fargli assumere una forma tipo sorriso.
- Ti dispiace se viene qui questa sera? Vorrebbe farmi compagnia sapendo che ho la febbre -
- Oh no, certo che non mi dispiace - trattenni le lacrime e finsi un altro sorriso. Quella maschera che solitamente amavo usare si stava ricostruendo sul mio viso. Pezzo dopo pezzo. Avevo paura che fosse rimasta per sempre e che nemmeno il dolore sarebbe riuscito a spezzarla, ma non me ne preoccupai per il momento. La persona che avevo scoperto di amare mi aveva appena avvisato che la sua ragazza stava passando da lui per stare insieme e fargli compagnia. Maginifico, no?
Restai fermo, imbambolato nei pensieri per circa dieci minuti. Passai il tempo torturandomi le mani e torturando anche quei pochi neuroni che non avevano ancora tentato il suicidio. Un campanello attirò la mia attenzione e sapendo chi fosse faticai a raggiungere la porta, sperando che si arrendesse e tornasse da dove fosse venuta, ma non fu così. Suonò nuovamente e mi incitò ad aumentare quel passo da bradipo che mi ritrovavo.
Aprii la porta e una bella ragazza dai capelli biondi mi si parò davanti. Mi salutò con un sorriso sul viso e un bacio sulla guancia. Mi scansai per farla entrare, poi chiusi la porta e lasciai sfuggire un piccolo sospiro. No, non di sollievo, ma di dolore. In quel momento il mio cervello stava avendo un pieno dibattito con il mio cuore. Uno voleva morire, l'altro incitava di continuare a pulsare emozioni e di farmi ragionare. No cervello, questa volta non vincerai tu, pensai.
Mi sedetti sul divano, proprio accanto alla coppietta felice. Lei le lasciava tanti baci sulla guancia e sulla fronte, facendolo ridere. Lei poteva baciare labbra che io avrei solo potuto vedere. Lei poteva toccare pelli che io avrei solo potuto sfiorare. Lei poteva amare chi solo io potevo pensare di amare. Non aveva bisogno di nasconderlo al mondo, tutti sapevano quanto amore i loro cuori si stessero trasmettendo. E il mio? Il mio aveva smesso di battere nel momento esatto in cui lei si appropriò delle labbra di Louis. Non le importava di prendere la febbre, non le importava di nulla. Anche io me ne sarei fregato, quelle labbra mi avrebbero tentato ogni secondo. Volevo proprio sapere se fossero soffici o più dure. Volevo sapere cosa si provava a baciare le labbra di chi si ama follemente.
Mi alzai con una semplice scusa e me ne andai in camera mia. Ero stanco di vederli in piene scene romantiche. Mi ricordavano che io non potevo, che io non avrei mai potuto, che io mi illudevo. Mi illudevo che un giorno quelle labbra potessero solo dedicarsi a baciare le mie. Mi illudevo pensando che un giorno quel ragazzo potesse essere il mio, ma ogni attimo che pensavo era una cosa in più su cui ero sicuro di illudermi.
No. No. No. No. Resisti Harry, non tagliarti. Resisti. Fallo per Louis. Fallo per Louis.
Lui ama Eleanor non te.
Ti prego Harry, resisti.
Non ce la faccio più.
Crollai in un pianto che avrei pensato di avere la forza di trattenere, ma non ci riuscivo. Ero geloso, esatto, geloso di un amore che non mi sarebbe mai appartenuto. Mi avevano sempre e solo usato, cosa potevo saperne io dell'amore? Eppure sapevo che guardando i suoi occhi vedevi il rispecchio della sua anima pura. Eppure ricordavo che baciando le labbra di chi ami, ti sembra di poter essere forte e invincibile. Ogni ricordo, ricordo di un amore che pensavo fosse vero, emergeva nella mia mente. Mi fecero capire che quello che io sapevo dell'amore era la stessa cosa di quello che ne sapevano gli scrittori di romanzi. Erano loro i romantici che paragonavano gli occhi dell'amato alle stelle cadenti. Le labbra a un soffice bozzolo di zucchero filato. Io non conoscevo quel tipo di amore. Io non conoscevo nessun tipo di quella stramaledetta malattia. Si, era una malattia secondo me. Perchè quando il vero amore viene, non passa più. Senti sempre lo stomaco in subbuglio, la testa in confusione e le mani tremare. Come facevo a saperlo? Intuivo... intuivo ogni cosa. Io ero bravo nel dire che amore significa usare un corpo, graffiarlo, odiarlo, distruggerlo, punirlo e sacrificarlo ogni giorno, perchè era questo che ne avevano fatto di me. Una pezza che si strappava, ricuciva e usava ogni volta che servisse. Io non ero l'Harry amato, ma l'Harry tradito e frantumato.
Non seppi nemmeno come ma mi ritrovai in bagno, con la lametta tra le dite.
Non farlo Harry.
Perchè non dovrei?
Per Louis.
Cosa sta facendo ora Louis?
E' con Eleanor.
Bravo pensiero, ora stai zitto.
Tolsi la benda dal polso e incisi due tagli. Piansi ancora, fino a gettare fuori l'anima dalle lacrime. Un singhiozzo. Due singhiozzi. Tre singhiozzi. Piangevo come si piange a un funerale. Piangevo l'anima. Piangevo il dolore. Piangevo la mia vita. Incisi un altro taglio. Ce n'erano nove sul mio braccio. Nove che spiccavano rossi. Altre più opachi che non erano state inflitte da me. Piansi ancora. Piansi per la violenza che avevo subito. Piansi per la gente che mi odiava. Piansi perchè mi odiavo pure io. Scagliai la lametta sul lavandino e portai le mani sugli occhi, piangendo ancora. Come se piangere mi aiutasse a vivere meglio. Come se ogni lacrima mi togliesse una cicatrice sul corpo. Come se ogni lacrima mi uccidesse sempre di più.
Sei debole Harry, Louis non te lo perdonerebbe mai.
Sei stupida coscienza, perchè Louis non lo verrà a sapere.
Come fai a esserne sicuro?
Ne sono sicuro perchè sennò lui adesso mi avrebbe considerato! Mi sono preso cura di lui. Sono stato io a dirgli quali medicinali doveva prendere e cosa ne ho ricavato? Lui adesso è con Eleanor e io con tre tagli freschi sul braccio.
Sei debole perchè non sai resistere.
Vuoi sapere il motivo? Ho smesso di resistere proprio quando le mie forze hanno ceduto. Ho pensato di avere qualcosa di solido a cui aggrapparmi e tutto mi si è rivelato inutile. Ho pensato di potercela fare, ma come dici tu, sono troppo debole. Troppo per cambiare. Troppo per migliorare. Mi fido troppo delle persone. Penso che ognuno sia capace di salvarmi e poi è il primo che mi affonda e vuoi saperla un'altra cosa? Se non mi sono ucciso fino ad ora è solo perchè in fondo non sono così debole.
Asciugai le ultime lacrime sul mio viso. Avevo del sangue sulle guance e tanto altre sangue sul braccio destro. Altre gocce si erano frantumate al pavimento, infinite al lavandino, invisibili nel mio cuore.
Le mie labbra si piegarono in una smorfia di dolore quando un profondo bruciore partì dal mio braccio.
Ecco, ecco cosa ottieni facendoti del male.
Lo so, ma è un male piacevole. Un male che rifarei tante altre volte.
Avere un dibattito con la propria coscienza era una cosa che non mi succedeva spesso, ma ogni qualvolta che accadeva vincevo sempre io, forse perchè mi autoconvincevo di avere ragione.
Sciacquai la lametta e la posai nel cassetto. Con un fazzoletto recuperai il sangue cristallizzato al pavimento. Con la mano pulii il lavandino e per finire disinfettai anche le mie ferite. L'odore del ferro si fece largo nelle mie narici. Non mi dava fastidio, ma non mi piaceva. Avevo visto così tanto sangue che alle volte, chiudevo gli occhi e tante macchie rosse riempivano quegli spazi neri.
Presi un'altra benda pulita e la attorcigliai al mio polso. Si riempì subito di sangue, così aspettai un po' prima di metterne un'altra.
Non appena il sangue fu abbastanza solidificato nelle cicatrici, misi una benda e mi sciacquai il viso, sicuro che ogni traccia di pianto e dolore scomparisse.
Uscii dalla camera e misi il sotto del pigiama. Poi? Poi mi buttai sul letto, lasciando che il nero diventasse il mio nuovo colore preferito. Il nero era confortante, comodo, semplice, inutile. Buio... si, buio, proprio come la mia anima.
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Il grido della libertà
FanfictionPrimo libro della trilogia. Secondo libro: Lacrime di polvere. Terzo libro: Come la prima volta. Dal Primo capitolo: - Ti decidi a stare fermo? - - Papà smettila... - - Zitto! - .............. Dal secondo capitolo: - Ta-Da - - Cosa vol...