SECONDO CAPITOLO

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Sono sotto casa di Thyra da almeno dieci minuti e la mia pazienza sta già per finire, giuro che se non scende al più presto me ne torno a casa. Tutto questo aspettare non fa che aumentare la mia agitazione che, ve lo assicuro, non è affatto poca.

Mi sono pentito di aver accettato l'invito a questa benedetta cena di lavoro praticamente subito. Non sono più abituato a partecipare a eventi del genere, dove tutti siedono al fianco della propria moglie, versando generosi calici di vino rosso per accompagnare la tagliata di carne o chissà quale altra prelibatezza. È in situazioni come queste che mi sento a disagio, come se dovessi mostrarmi per la prima volta al mondo dopo aver perso un braccio o un orecchio. Anche se, in realtà, ho "semplicemente" perso mia moglie. E accade di continuo, no? La gente si separa e risposa talmente in fretta che quasi non ci fai più caso se quando la rincontri non è più con la stessa compagna della volta precedente, e probabilmente non avrebbero notato nulla nemmeno di me se solo Veronika ed io non fossimo stati così affiatati, tanto da diventare la coppia più invidiata da tutti i nostri amici. E, soprattutto, non avrebbero notato nulla, non avrebbero indugiato sull'espressione triste del mio viso, se la notizia della sua morte non fosse diventata una specie di news da prima pagina: "La moglie del cardiochirurgo muore d'infarto". Sembra quasi una battuta dall'umorismo nero, ma non lo è. È stato proprio un infarto a portarmela via. In piena notte, quando io ero abbracciato a lei e respiravo il suo odore.

Ma indietro non si può tornare e, in qualche modo, devo accettare la mia nuova realtà. Il mio nuovo handicap...

«Eccomi!», urla all'improvviso Thyra, richiudendo dietro di sé il portone di casa facendo un fracasso assurdo. Vorrei avere anche solo un minimo della sua vitalità, sarebbe decisamente tutto più semplice.

«Oh, finalmente!», ribatto «Stavo per andarmene».

«Ma se avrai aspettato al massimo due minuti! Voi uomini siete tutti uguali», sentenzia lei, aprendo la portiera della mia Mercedes bianca e accomodandosi sul lato del passeggero.

Dopo solo pochi istanti Thyra se ne esce con una delle sue solite frasi ad effetto, quel genere di frasi che sono in grado di farti gelare il sangue nelle vene in un secondo: «Non immagini neanche chi ho appena scoperto che verrà stasera». Il suo tono di voce conferma i miei sospetti: qualunque sia la il nome che sta per farmi, non promette nulla di buono.

«Chi?», chiedo con tutta la cautela del mondo.

«Greta Hoffmann». E il mio cuore manca un battito.

Sarei dovuto restare a casa, lo sapevo.  

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