PRIMO CAPITOLO

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Non conoscevo il dolore. Non nel modo intenso in cui ho dovuto conoscerlo di recente.

Mi domando come possa un essere umano sopportarne così tanto. Mi chiedo se uscirò mai dal buco nero in cui sono precipitato da quando lei non c'è più. Onestamente, non ne sono del tutto sicuro. Temo di rimanerci imprigionato per sempre.

Lo so, sono un uomo adulto ormai. Di corporatura robusta, tra l'altro. Un metro e novanta di altezza e due spalle belle grandi. E forse da uno come me non ci si aspetta tutta questa fragilità, ma non sono sufficientemente forte per sopportare il peso della sua perdita.

Era tutto ciò che avevo di più caro. Ogni mio progetto di vita comprendeva lei, perché dal giorno del nostro matrimonio - e forse anche da prima - eravamo diventati una cosa sola: due persone legate da un filo invisibile e indissolubile. Ecco perché da quando è scomparsa, mi sento vuoto come se fossi morto anch'io.

Ho ripreso a lavorare e a frequentare i parenti, sto provando ad andare avanti con la mia vita, lo giuro, ma senza Veronika al mio fianco faccio fatica persino a definirla "vita".

In fondo cosa potrebbe regalarmi ora che mi ha portato via l'unica cosa che per me contava veramente?

«Ferdinand? Mi hai sentito?», è la voce della mia assistente Thyra a distrarmi dai miei pensieri e riportarmi al presente.

«Oh, ehm...», balbetto, incapace di rispondere in maniera sensata.

«Stavi di nuovo pensando a lei, non è così?». Thyra non è solo la mia assistente, è anche la sorella di Veronika. Per cui sa tutto. Conosce lo schifo che è diventata la mia esistenza, lo schifo che sono diventato io. Per me è praticamente impossibile mentirle o anche solo nasconderle il mio reale stato d'animo. Dev'essere un dono di famiglia. Anche con mia moglie accadeva la medesima cosa.

«Come posso evitarlo? Qualunque cosa mi parla di lei», dico quasi in tono infastidito.

Lei si avvicina di qualche passo, decidendo poi di sedersi di fronte alla scrivania del mio studio. In questo momento non ho pazienti, stiamo aspettando che arrivi l'ultimo della giornata che però è in ritardo, per cui Thyra sa che posso dedicarle cinque minuti del mio tempo.

«Credi che per me non sia lo stesso? Anche io sto male, ma non possiamo permetterci di affondare. Soprattutto tu, con il lavoro che fai».

Ha ragione. Sono un cardiochirurgo. Lotto per salvare la vita delle persone ogni giorno e, come si può facilmente presumere, è un lavoro che richiede una certa concentrazione. Elemento che evidentemente in questo momento della mia vita manca quasi del tutto.

«Mi riprenderò», rispondo.

«E come? È trascorso un anno e sei ancora in questo stato. Lo so che il dolore non potrà passarti mai, ma devi reagire. Sono seriamente preoccupata per te».

Calo lo sguardo, imbarazzato come non mai. Perché le donne devono sempre avere ragione? E soprattutto, perché devono sempre intromettersi?

«Senti, prima ti stavo dicendo che questo fine settimana c'è una cena con gli altri cardiochirurghi del reparto e tutte le infermiere. Ovviamente l'invito è esteso anche a te e se vengo a sapere che anche questa volta inventi una scusa per restare a casa a piangerti addosso, giuro che parlerò con chi di dovere per non farti più operare. Le tue facoltà mentali risulterebbero facilmente non idonee, del resto. Soprattutto con la mia testimonianza».

Thyra non farebbe mai nulla del genere. O almeno spero. Ma sa come affrontarmi, mi conosce troppo bene e, mio malgrado, sa che al lavoro ci tengo particolarmente. Non posso perdere anche lui.

«D'accordo, ci sarò», dico, stupendomi io stesso di queste parole.

«Ottimo!», esclama in un sorriso raggiante «Ci aspetta un venerdì sera sensazionale!».

Venerdì? Cavolo, ma è già domani! E io che speravo di avere almeno un paio di giorni per prepararmi psicologicamente o, in alternativa, trovare qualche scusa per non mantenere fede alla mia promessa...

«Sei una iena», ribatto prima che Thyra esca dallo studio e faccia accomodare il paziente che è appena arrivato.

«Lo so». Mi strizza l'occhio e se ne va.

La detesto e l'adoro al tempo stesso.

Mannaggia a lei.


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