La sala è gremita di gente e il tavolo a noi riservato si trova nell'angolo destro, proprio vicino a un'enorme vetrata. Gran parte dei colleghi sono già arrivati e stanno confabulando sottovoce in attesa che arrivino tutti. Sembrano perfettamente a loro agio e in fondo non hanno motivo per non esserlo. Questa è per loro una piacevole serata, da trascorrere in compagnia di vecchie conoscenze e di persone di cui hanno piena stima. Me compreso.
Questo pensiero mi rincuora, so che sono molto rispettato per il ruolo che rivesto all'interno dell'ospedale, e ne vado fiero. Soprattutto se ripenso alla gavetta fatta per arrivare dove sono ora. Per un attimo riesco a mettere da parte il mio costante malumore e mi avvicino alle prime due sedie libere della tavolata per prendere posto.
«Possiamo sederci qui o è occupato?», chiedo ai presenti con un sorriso.
«Oh, ciao ragazzi», ci saluta Gregor, un cardiochirurgo affermato quasi quanto me. «Sedetevi pure, non c'è nessuno». E così io e Thyra ci accomodiamo. Quest'ultima mi lancia uno sguardo d'intesa che, tradotto a parole, significa: "Non ti preoccupare, Ferdinand. Andrà tutto benone".
Vorrei avere il suo stesso ottimismo, ma lei ignora quanto questa situazione sia strana per me. Ho voluto restare fuori dalla vita sociale per tutto questo tempo proprio perché non riesco a fingere abbastanza a lungo. E voglio evitare ad ogni costo sguardi compatiti, parole di conforto, pacche sulle spalle... Non le sopporterei.
«Oh, guarda, c'è anche Thyra», esclama una signora dall'aria elegante che ci ha appena raggiunto. Dietro di lei c'è Greta Hoffmann, che immagino essere una sua amica, e il suo sguardo mi conferma ancora una volta che anche lei sente prudere il collo a causa del troppo nervosismo.
Comunque, inevitabilmente, le due signore si siedono davanti a noi e per tutta la sera io e Greta non facciamo altro che guardarci di sottecchi, mentre la sua amica e Thyra si raccontano un mare di aneddoti.
«Io vado a prendere una boccata d'aria», dico a un certo punto, quando ormai anche il dolce è stato servito.
«Ehm, ti dispiace se esco con te? Qui dentro inizia a mancarmi l'aria», mi domanda Greta inaspettatamente.
«Oh, certo, vieni pure», rispondo.
L'aria pungente della sera mi coglie impreparato, facendomi rabbrividire. Ma si tratta comunque di una sensazione piacevole, avevo proprio bisogno di uscire un po'.
«Scusami, spero di non essere stata invadente, là dentro non avrei resistito un minuto di più», dice Greta.
«Come mai hai accettato l'invito se non avevi voglia di venire? Non sei neanche del nostro reparto, e questa è una cena per chi lo è...», chiedo, improvvisamente curioso di sapere se le sue motivazioni sono anche le mie.
Greta fa un sospiro mentre prende tra le dita una ciocca dei suoi capelli ricci. Ed è proprio grazie a questo semplice gesto che mi stupisco a osservare la sua bellezza. Ha un incarnato scuro, tipico delle donne del sud Italia, e dei lineamenti dolci, fini, che si sposano perfettamente con il suo carattere dolce e premuroso.
Non lavora in cardiologia, ma le voci sulla sua bravura e umanità sono giunte sino a me e, ora che ce l'ho davanti, non mi è difficile crederci.
«L'ho fatto per mio figlio Roman. Ha bisogno di sapere che sua madre sta bene, mi ha visto piangere fin troppo spesso. Per cui ho deciso di riprendere uno stile di vita normale, accettabile, per quanto gli impegni lavorativi e famigliari me lo concedano. Non posso crogiolarmi nel dolore ancora troppo a lungo, non trovi? E poi ha insistito così tanto...», conclude indicando l'amica che sta ancora parlando con mia cognata.
«E tu, invece? Perché hai accettato?».
«Oh, più o meno per lo stesso motivo, con la differenza che io non ho figli. Lo faccio soprattutto per Thyra, mi è stata molto vicina da quando... da quando è successo».
Greta annuisce comprensiva, sorridendomi docilmente. «Sai che ti dico? Stiamo sbagliando tutto. Non dobbiamo sforzarci a fare nulla. Non è per gli altri che dobbiamo essere felici o, comunque sia, riacquistare un minimo di serenità. Tu non lo devi fare per tua cognata e io non lo devo fare per i miei figli. Se vogliamo essere felici, dobbiamo desiderarlo solo per noi stessi. Non credi?».
Annuisco. «E tu vuoi essere felice?».
«Da morire», risponde lei.
«E allora andiamo a prenderci la nostra felicità!», dico con grinta. «Lasciamoci alle spalle questo ristorante e proseguiamo la serata a modo nostro. Thyra e la tua amica potranno tornare a casa insieme, mentre io mi preoccuperò di portare a casa te. Andiamo a bere qualcosa o magari facciamo una semplice passeggiata in centro. Insomma, allontaniamoci da questo posto, da queste persone che non fanno altro che rammentarci quanto la nostra vita sia diversa dalla loro e andiamo a riconquistare il nostro mondo!».
O sono impazzito o sono ubriaco, non vedo altre alternative. Ma ciò che mi stupisce davvero è l'accettazione di Greta. Nonostante questo sia un folle piano.
E così ci ritroviamo a camminare fianco a fianco nel cuore di Berlino, con il vento che ci scompiglia i capelli, alla disperata ricerca della felicità.
STAI LEGGENDO
Un nuovo amore
RomanceFerdinand Schäfer è uno stimato cardiochirurgo di Berlino. La sua bravura è nota a tutti, ma c'è un cuore che non riesce a curare: il suo. Rimasto vedovo da ormai un anno, ha perso la gioia di vivere e nulla sembra essere in grado di alleviare il...