Un difficile addio

136 26 46
                                    

4 febbraio 2017
Ore 04.00

«Chiara svegliati!» sento queste parole da mia madre.
Ancora stordita cado di nuovo nel sonno più profondo.
«Chiara svegliati, nonna non sta bene!» ribadisce mia madre, ancora una volta.
Appena sento quelle parole, di scatto, mi giro verso mia nonna.
È sudata, riesce a stento a respirare e i suoi occhi presentano una patina, sono assenti.
I suoi due occhioni marroni, che mi trasmettevano sempre un calore immenso, non hanno più espressione.

«Saturazione troppo bassa, temperatura troppo bassa, pressione troppo bassa.»
Mi rimbombano forte nella testa queste parole. Tutto è sotto la soglia minima. Tutto è "troppo basso", tranne la mia speranza. Quella si trova in un livello troppo alto, spero spero e spero ancora. È l'unica cosa che mi rimane da fare.
Inerme, impotente, debole. Ecco come mi sento in questo momento.

Raggiunto l'ospedale mia nonna viene classificata "codice rosso".
Rosso è il mio colore preferito ma oggi no. Lo odio profondamente, odio quella scritta sulla porta, odio questo odore di medicinali, odio queste pareti color verde acqua, odio vedere le persone sofferenti su queste barelle e soprattutto odio vedere mia nonna collegata a mille fili, con quella mascherina... su quel letto, immobile.

Man mano che passano le ore nonna non reagisce più a nessun medicinale... non mi stringe più le mani, respira ancora più a fatica e i suoi occhi si chiudono sempre più. È possibile intravedere solo la parte bianca dell'occhio: la sclera.
Alla vista di mia nonna in quelle condizioni mi sento lacerare. Ancor di più quando una dottoressa con fare delicato e, forse, anche dispiaciuto dice: forse è meglio portarla a casa... ma non avete molto tempo.

Un senso di vuoto mi pervade. Un dolore che non è possibile spiegare.

Nell'ambulanza le sue mani stringono forte le mie e quelle di mia madre. Non voglio accettare tutto questo, non posso.
«Stiamo tornando a casa, non preoccuparti.» dico a mia nonna senza ricevere risposta.
Pian piano sto realizzando tutto.

La casa si riempie in un batter d'occhio di persone che, prima di allora, non si erano degnate, forse, neanche di un saluto.
Sento un vociare, ma non mi importa. Sento ma non ascolto. Sono troppo impegnata ad accarezzare la calda e morbida pelle del suo volto. Faccio passare il mio dito su ogni ruga, su ogni centimetro di pelle.
Ho bisogno di toccarla, di guardarla... anche in quello stato. E forse sono egoista ma mi rendo conto di volerla ancora un po' con me.

«Nonna questo è l'ultimo lavaggio che ti tolgo» le sussurro all'orecchio, con una voce rotta dal pianto, quando sfilo l'ago delicatamente dal suo braccio.
Ed è vero, sarà l'ultimo. E me ne rendo conto quando vedo scivolare una lacrima sul suo volto e il suo respiro di botto fermarsi. Il suo corpo non emana più quel calore che diffondeva prima.
Mia nonna mi ha lasciata, anche quando io ho implorato che restasse ancora un po'.

In questo momento non so di preciso cosa sento. Delusione, dolore, tristezza, vuoto. Un misto di emozioni mi pervadono. Non ho bisogno di nessuno che mi abbracci, che mi consoli. Ho bisogno solo di lei.
Mi rendo conto che non potrò più abbracciarla, non potrò più stringerla a me, non potrò più prendermi cura di lei. Tutto questo viene chiarito perfettamente nella mia testa quando vedo scomparire quella bara sotto quella terra fredda.

Ritornare a casa senza di lei è stata una delle cose più brutte. La stanza vuota, il letto vuoto, il cuore vuoto.
Tutto parla di lei: i suoi medicinali, il suo cuscino, i suoi vestiti, i suoi pigiami, tutta la casa ha un pizzico di lei. Ma lei non c'è più.
Con il passare dei giorni mi rendo conto che mia nonna non ha lasciato nulla in sospeso: ha voluto salutarmi, ha voluto darmi il suo addio poggiando, la sera prima, la sua calda mano sul mio volto. Un difficile addio, un gesto che da tempo non riusciva a fare.
Ma io, se avessi saputo, l'avrei stretta più forte.

L'amore oltre l'Alzheimer.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora