Capitolo 2

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Avvolte si va via per
riflettere.
Avvolte si va via perché
si è riflettuto.

Alda Merini

Dopo aver pagato per la cena, che avevo appena finito, ritorno nel mio tentativo di trovare un Hotel al più presto.
Esco fuori dal locale ed il mio corpo viene invaso dal caldo soffocante di Las Vegas facendolo avvampare e boccheggiare.
Il clima, non molto diverso da quello di Las Angeles, non mi crea alcun tipo di disagio dato che ci sono abituata.
Mi incammino per i marciapiedi affollati. I piedi iniziano a diventare doloranti a causa dei tacchi che porto da tutto il giorno.
Cammino ed accidentalmente il mio corpo entra in collisione con quello di un uomo facendomi barcollare.
Il piede destro si incastra in un tombino facendo si che il tacco si rompa.

"Fantastico, non potrebbe andare meglio" guardo verso il cielo ormai costellato da milioni di piccoli puntini luminescenti mentre tengo il tacco rotto in mano.
Continuo il mio cammino zoppicando ogni qualvolta il piede destro entra in contatto con il cemento.
Mi fermo davanti ad una discoteca.
'Moon NightClub' leggo l'insegna luminescente posta sull'edificio.
Mi guardo intorno alla ricerca di qualcuno a cui poter chiedere informazioni.
La prima persona che cattura la mia attenzione è una ragazzo dai capelli ricci e castani, vestito completamente di nero con tatuaggi che sono possibili intravedere dal braccio sinistro, lasciato scoperto dalla maglia a mezze maniche, ed una sigaretta tra le labbra.

"Scusi?" chiedo gentilmente. Il ragazzo mi guarda con sufficienza fissandomo dal basso verso l'alto.
Schiude le labbra e penso che, finalmente, si sia deciso a rispondere alla mia domanda. Ma tutto ciò che ricevo è una nuvola di fumo che si imbatte sul volto.
Inizio a tossire e a spostare l'aria con la mano.
Il ragazzo incomincia a ridere e, da quello che mi è sempre stato insegnato sin da piccola, non mi scompongo per apparire sempre elegante e gentile.

"Potresti gentilmente rispondermi?" mantengo la calma.
I suoi occhi incastrano completamente i miei e reggere il confronto con quelle iridi profondamente verdi è davvero arduo.

"Che cosa vuoi?" la sua voce è profonda e roca mentre aspira un altro tiro dalla sigaretta.

"Sapresti dirmi se c'è un Hotel qui vicino?" si scosta dalla parete sul quale era poggiato e si avvicina.
Sussulto nel vedere il suo corpo bruciare la distanza posta tra noi ma resto comunque ferma e decisa.
Tutto quello che desidero è fare un bagno caldo e distendersi su di un soffice letto.
In questo momento mi rendo conto di quanto vorrei trovarmi sdraiata sul mio materasso  e sprofondare tra le calde e soffici lenzuola che profumano di rosa.
Ma tornare su quel letto significherebbe tornare a casa, dalla mia vecchia vita e dai miei genitori.
All'apparenza tutti invidiano la mia famiglia.
Ricca, un uomo rinomato nel campo imprenditoriale, una moglie bellissima ed intelligente ed infine una figlia dai lunghi capelli dorati e occhi color oceano e con tutto ciò che le altre ragazze bramavano avere.
Ma era solo una maschera. Dietro ai bei sorrisi c'era un vero e proprio dramma.
Una figlia incompresa dai genitori, una madre costantemente preoccupata per come dovessi apparire e un padre che mi considerava l'anello debole della casa.
Non ho mai parlato a nessuno di tutto questo, di come mi sentissi realmente, e sinceramente non credo di aver mai avuto una vera amica.
Tutte quelle che ho o che avevo sono solo interessate al mio cognome e ciò che esso porta con sé.

"Che c'è, la figlia di papà si è persa?" emette un finto tono dispiaciuto e si sporge verso di me con il labbro inferiore leggermente sporgente.

"Nessuno ti da il diritto di chiamarmi in quel modo" mi sporgo verso di lui e gli punto il dito contro.
Una ragazza esce fuori dalla discoteca catturando immediatamente l'attenzione del ragazzo difronte a me.
Nel suo sguardo vedo famelicità e lussuria. Si lecca le labbra ed io rimango disgustata dalla situazione.
Guardo la ragazza e con indecenza noto che indossa un abito nero che a malapena copre il suo fondoschiena.
Lui è così diverso dai ragazzi che ero solita incontrare prima.
Loro indossavano costosissime polo e pantaloni rigorosamente di marca.
Ragazzi solo legati al denaro e sempre di buone maniere, diventando molto spesso noiosi.
Lui invece aveva qualcosa che contraddiceva l'idea di mia madre e dell'uomo perfetto.
I suoi skinny jeans neri sono logori su entrambe le ginocchia e la maglietta del medesimo colore arrotolata alle maniche.
I suoi capelli non sono perfettamente sistemati in una piega e fermata con del gel. I suoi ricci non hanno una vera e propria direzione ma sono  scompigliati.

"Avanti, vorresti negarlo?. Probabilmente quello che stai indossando vale molto di più di quello che potrei guadagnare lavorando" la sua mano indica il mio corpo.
Improvvisamente non mi sento più a mio agio ad indossare i miei vestiti.
E solo ora mi accorgo di come la gente mi vede.
Non si sofferma sul potermi conoscere. No, loro si soffermano sull'aspetto estetico e su come i miei vestiti, gioielli o qualsiasi cosa indossi urli quanto costino.

"Senti, io sono solo venuta a chiederti se conoscevi un posto in cui alloggiare ma evidentemente non sei abbastanza competente per rispondere ad una tale e banale domanda" prendo le mie valigie e mi incammino.
La mano dello sconosciuto si posa sul mio gomito e mi gira.

"Aspetta" sembra dispiaciuto e forse si è deciso a rispondermi facendo in modo da porgere fine a questa terribile e stancante giornata.
Sulla sua faccia compare un sorriso beffardo e mi fissa. Seguo il suo sguardo e scopro essersi posato sul mio seno imperlato di sudore.

"Che ne dici di venire a casa mia e divertirci?" la sua proposta mi lascia letteralmente interdetta.
In questo momento il mio corpo congela al pensiero del mio passato.

"Io non sono una puttana"  sibilo a bassa voce. Il suo respiro é caldo sulla mia pelle e tutto ciò che desidero é solo che si allontani da me e mi lasci andare.

"Non ho mai detto che tu lo sia" dalla sua voce so che sta trattenendo una risata.
Le macchine sfrecciano intorno a noi e le luci della città si fanno sempre più animate.
Tutto riaffiora nella mia mente e lo fa prepotentemente.
Non ho un bel ricordo con il sesso.
Avevo sedici anni quando mi fidanzai per la prima volta.
Lui era più grande di me. Aveva 23 anni e da allora sono passati quattro anni.
 Si chiamava James ed era il figlio di un collega di mio padre.
Nessuno sapeva della nostra relazione.

<<Perché non possiamo farci vedere>> gli chiesi lasciandomi coccolare dalle sue possenti braccia.
Passavamo il nostro tempo insieme sempre chiusi in casa sua o in casa mia quando non c'erano i miei genitori.
A loro sarebbe andato bene come ragazzo.
Era ciò che più si avvicinava allo stereotipo di perfezione che mia madre desiderava per me.
Anche lui proveniente da una facoltosissima famiglia.
Un lavoro come avvocato privato, ovviamente solo i più ricchi erano in grado di affidarsi a lui.
Eppure nessuno poteva vederci insieme almeno non finoa a quando non avrei compiuto 18 anni e lui non sarebbe finito nei guai per essersi fidanzato con una minorenne.

<<Lo sai Lila. Se ci scoprissero cercherebbero di dividerci ed io non voglio perderti, perché ti amo>> Dio quanto ci avevo creduto alle sue parole.
Pensavo davvero che mi amasse ma era solo una convinzione che mi aveva fatto credere per poi distruggermi dopo aver raggiunto ciò che voleva.

"E comunque qui vicino c'è un Motel. Il Vegas Motel. Non è chi sa cosa ma perlomeno ha un letto." Non sarebbe stato un gran  che ma era pur sempre un posto in cui dormire.
Un taxi passa davanti a noi ed io lo fermo con la mano.
Il veicolo si ferma ed io carico le mie valigie nel portabagagli.

"Grazie per avermi aiutato" gli porgo  la mano e lui mi rivolge uno sguardo neutrale.
Si prende un'altra sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e mi rivolge un arrogante: "addio".

Non Cambiare Mai (Harry Styles) #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora