2. Sorpresa imprevista (REV)

726 38 0
                                    

Il Cappello Parlante era indeciso:
- Serpeverde?
Il Professor Piton era immerso in cupi pensieri, gli occhi neri persi nel profondo nulla davanti a sé, dove due iridi di rubino brillavano, ricordandogli dolorosamente che l'Inferno si era di nuovo spalancato davanti a lui.
Solo una piccola, infima parte della sua mente era rimasta vigile e conscia di ciò che stava accadendo. E proprio quella parte stava, in quel momento, suonando un allarme disperato.
- Serpeverde! – ripeté ancora il Cappello Parlante, ora senza indecisione nella voce.
Uno scroscio d'applausi si alzò dal tavolo della sua Casa, strappandolo definitivamente dai pensieri. Con un impercettibile sobbalzo, Piton tornò alla realtà: era certo che sotto il Cappello Parlante, in quel preciso istante, ci fosse proprio la signorina Crystal Storm.
- Sì, proprio Serpeverde! – scandì soddisfatto il Cappello Parlante, con definitiva ed inappellabile sentenza.
No, non era possibile!
Quella... quella donna era la figlia degli Storm, la protetta di Silente: doveva finire tra i Grifondoro, al massimo tra i Corvonero.
Ma Serpeverde no, Serpeverde proprio no!
Un pensiero improvviso gli inchiodò la mente: Silente aveva annunciato che sarebbe stata personalmente affidata al suo Capocasa, e il Capocasa di Serpeverde era... era proprio lui!
Dannazione!
Le acclamazioni nella sala continuavano. Si girò verso Silente, che sorrideva malizioso alla McGranitt: un fugace sguardo ai divertiti occhi verdi di Minerva gli diede l'assoluta certezza che, se avesse potuto ascoltare il loro dialogo, la sua ira sarebbe innegabilmente cresciuta.
- Devo ammettere, Albus, che me lo aspettavo. – sorrise sollevata Minerva – In questi quindici giorni ho avuto modo di conoscere piuttosto bene il carattere della tua protetta.
A Piton parve che Minerva strizzasse l'occhio al Preside, ma le parole si persero nel chiasso della Sala Grande, dove le portate erano comparse nei piatti e il banchetto di inizio anno era cominciato.
- Ti assicuro che il caro Severus ha finalmente trovato pane per i suoi denti! Non lo invidio affatto: gli hai procurato una bella gatta da pelare! – rincarò l'anziana maga.
- Ma anche una stimolante compagnia femminile! Non credi che il ragazzo ne avesse bisogno?
Minerva spalancò un attimo gli occhi, ma non poté far altro che convenire: Crystal era un osso duro, ma anche una donna in gamba e attraente. Era una Serpeverde e se non riusciva lei a far capitolare Severus, nessuna altra avrebbe mai potuto avere speranza. Gli anni cominciavano a passare anche per il giovane Professore di Pozioni, che viveva sempre troppo solo nel suo freddo e oscuro sotterraneo.
Un'insolita idea maliziosa fece insistentemente capolino nella mente di Minerva: a dire la verità, forse poteva anche dare una mano al destino, e rendere quel sotterraneo un po' meno solitario e, magari, un po' più caldo.
La vecchia insegnante sorrise tra sé mentre si serviva una scarsa porzione di roast-beef.

Crystal non era stupita della decisione del Cappello Parlante, anzi, l'aveva previsto con esattezza. La Casa di Serpeverde le calzava a pennello, sembrava disegnata apposta per lei.
Le dispiaceva però che Minerva non continuasse a farle da precettore: si era trovata bene con lei. I contatti con il Professore di Pozioni fino a quel momento erano stati scarsi e spiacevoli, ma ora rappresentava una sfida eccitante, cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Minerva lo aveva descritto come scontroso e solitario, un uomo col quale era impossibile coltivare un'amicizia perché lui stesso, con i suoi atteggiamenti volutamente sgradevoli, teneva tutti a distanza. Le aveva accennato a un suo tenebroso e lontano passato, a gravi colpe commesse che poi aveva ampiamente riscattato, ma che forse non era mai riuscito a perdonarsi.
Avrebbe sentito anche il parere degli studenti più grandi e presto avrebbe avuto una propria, complessa e definita visione dello strano mago. Per ora aveva solo la forte, sebbene inspiegabile sensazione, che indossasse una maschera, un'orrenda maschera per incutere timore e impedire a chiunque di avvicinarsi.
Ma tutto questo non le interessava poi un granché. Per prima cosa lo avrebbe costretto a considerarla sua pari: anche lei era una maga purosangue e certo non avrebbe mai abbassato il capo davanti a lui.
Inoltre voleva guardarlo finalmente dritto negli occhi, fino in fondo, per capire chi fosse davvero.
Era una strana dote la sua: non era mai riuscita a comprenderla ma la possedeva fin da bambina; adesso era certa che avesse a che fare con i poteri magici, anche se Minerva non era stata in grado né di capirla né di definirla.
Non si trattava di Legilimanzia, era qualcosa di diverso, un'abilità che non esisteva nei libri di magia, ma le era sempre appartenuta e funzionava anche con gli animali. L'intenso e prolungato contatto visivo le permetteva di comprendere qualsiasi essere vivente, senza aver bisogno di conoscerne il linguaggio, fatto di parole o di versi: le bastava guardarlo profondamente negli occhi per il tempo necessario, che variava da soggetto a soggetto. Ma ogni volta riusciva a percepire ogni più profondo e importante bisogno di quell'essere, quasi potesse leggere nelle recondite profondità dell'anima.
Era molto orgogliosa della sua capacità e il più delle volte l'aveva sfruttata per trionfare sugli altri. Ma qualche volta, seppure di rado, l'aveva usata per aiutare, soprattutto gli animali.
Gli esseri umani non le piacevano: preferiva gli animali, più sinceri e fedeli, semplici e affezionati. Gli uomini l'avevano delusa, fin da quando era bambina, l'avevano sempre fatta soffrire e ingannata.
Aveva dovuto imparare molto presto, fin dai tempi dell'orfanotrofio, a difendersi dall'altrui cattiveria: la sua non era stata una scelta, solo l'unico modo per sopravvivere. Con i genitori adottivi non le era andata meglio: mamma era un'inutile ubriacona, mentre papà era un uomo manesco che aveva cercato di abusare sessualmente di lei quando ancora era una ragazzina.
Così aveva presto imparato a diffidare di qualsiasi essere umano e gli animali erano diventati i suoi unici e veri amici. Era certa che non avrebbe avuto alcuna difficoltà in Cura delle Creature Magiche, anzi, quello strano essere gigantesco, Hagrid, era già diventato suo amico: in effetti, Rubeus era molto più simile a un animale che non a un essere umano ed era certa di potersi fidarsi.
Il fatto di preferire gli animali non le aveva certo impedito di vivere tra gli uomini: solo che voleva essere certa di trovarsi sempre dalla parte del più forte, di essere lei ad avere il potere di disporre degli altri. In mezzo a quei popoli arretrati, eppure così profondamente innocenti, era sempre riuscita a primeggiare, a essere la loro regina, amata e rispettata.
Nel cuore dell'Africa nera, in quelle terre dimenticate da Dio e dagli uomini, i suoi amati "selvaggi" le avevano offerto tutto l'affetto e il rispetto che nessuno, prima, aveva mai dedicato alla bambina spaurita che ancora era nascosta nel suo intimo.
Così, a sua volta, li aveva amati, protetti e strenuamente difesi dalle ingerenze dei bianchi, dalle loro ruberie e sopraffazioni. Aveva combattuto per la loro libertà e indipendenza, li aveva aiutati economicamente, in modo diretto per quel poco che aveva potuto, e perorando la loro causa con i notabili delle città vicine.
Aveva scoperto molto presto che essere una bella donna poteva diventare un'arma importante e aveva imparato a sfruttare il proprio corpo. Così era riuscita a primeggiare anche nel mondo dei "bianchi", donna temuta per l'intelligenza e mancanza di scrupoli, ma anche ricercata e bramata per il suo corpo attraente.
Alla fine era riuscita a ottenere quello che aveva sempre bramato: il potere.
Già: proprio il potere.
Non l'amore, come desideravano le altre ragazze, le poche che si erano professate amiche, ma solo per ingannarla e approfittarsi di lei. No, non l'amore. Ma per un motivo molto semplice: non sapeva cosa significasse essere amata.
La parola amore le ricordava i suoi genitori, quelli veri, anche se li rammentava poco: gli abbracci caldi di mamma, traboccanti di tenere carezze e dolci baci. Gesti d'amore regalati con un sorriso senza chiedere nulla in cambio.
Più che ricordi, erano solo impressioni indefinite: come la sensazione di sicurezza che le dava la vicinanza di suo padre, la mano forte e calda in cui la manina di bimba s'immergeva, per sparire dolcemente tra le sue dita sicure. E la sua voce profonda e sonora, che echeggiava lontana nei sogni, avvolgendola in un abbraccio protettivo.
Nessuno mai, oltre a loro, aveva dato amore al povero esserino solo e indifeso, e ora quella bimba non esisteva più, seppellita sotto un'impenetrabile corazza difensiva. Si era trasformata in una tigre aggressiva e vincente, col mondo riverente ai suoi piedi!
Finché non erano arrivati quei maghi a portarla a via, a cambiare la sua realtà, a condurla in un mondo in cui, di nuovo, non solo non contava più nulla, ma le sue conoscenze e capacità erano inferiori agli altri.
Avrebbe dovuto dannarsi per risalire la china e recuperare il tempo perso, ma era determinata a farlo, e al più presto. L'aiuto di Minerva le sarebbe stato utile e avrebbe saputo abilmente sfruttarla: invece le era capitato quell'odioso di Piton. Pazienza, avrebbe fatto buon viso a cattiva sorte. Lui teneva tutti a distanza e non voleva essere amico di nessuno? Non c'era alcun bisogno di diventare amici: aveva solo intenzione di portarselo a letto quanto prima possibile. In quel modo avrebbe facilmente ottenuto, come sempre in passato, tutto quello che le serviva.
C'era solo una cosa che non quadrava in quel mago: la luce che gli aveva visto negli occhi la prima volta che, inconsapevolmente, si erano incontrati.
Una luce strana, mai vista prima, di cui non era riuscita a comprendere il significato: un'impossibile luce nera che ardeva nel profondo dell'oscurità.

Luci e ombre del Cristallo (Parte prima di Cristallo Nero)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora