Prologo

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Helgö 894


Il capo vik* Amundi Ingridson di Helgö , stava seduto sul suo scranno con gli occhi azzurri velati dalla patina del tempo e il corpo leggermente ingobbito dal dolore. Indossava un paio di pantaloni in pelle, una tunica in lino leggera stretta in vita da una cintola in cuoio e, sulle spalle, un mantello pesante che ne determinava il potere. I lunghi capelli grigi gli ricadevano liberi sulle spalle ampie, mentre due treccioline ai lati delle tempie gli incorniciavano il viso dai tratti marcati e dalla lunga barba. Pensieroso, fissava la giovane seduta di fronte a lui e, alla fine, non poté evitare di emettere un lungo sospiro.

Kadlin Amunddottir era la figlia del capo villaggio, una giovane ribelle e coraggiosa, che non si era mai tirata indietro davanti alle difficoltà. Orfana di madre dall'età di dieci anni, era stata cresciuta da una donna che aveva in dote l'arte della guarigione e dalla quale aveva carpito i segreti delle erbe. Dall'uomo che le stava di fronte, invece, aveva imparato l'arte della guerra e del comando. Indomita e temeraria, risoluta e determinata, non aveva bisogno di un marito che la proteggesse.

No, proprio non le serviva.

"Non voglio ripeterlo ancora, Kadlin, tu devi sposarti" ripeté l'uomo per l'ennesima volta, quasi fosse diventato una specie di rituale.

"E io non voglio ripeterti che non ce n'è bisogno", replicò lei alzandosi, "non ho necessità di un marito per proteggere la nostra gente."

"Invece sì", protestò il padre andandole vicino, "ci sono troppe rivolte al di fuori di questa palizzata e troppi uomini intenzionati a conquistarci e a soppiantarmi con la loro spada."

"Ci difenderemo come abbiamo sempre fatto, padre" dichiarò la giovane con un lampo di orgoglio negli occhi.

"Sono vecchio ormai, le mie braccia e la mia spada non sono più quelle di un tempo" specificò lui, guardando la sua terra dei falchi.**

"Io sarò al tuo fianco" insisté lei sicura.

"Per tutti gli Dei, ho fatto di te una stolta! Quale uomo vorrà mai sposare un'indomita come te?" l'uomo si portò le mani al volto con esasperazione

"Padre."

"Taci" le ordinò furente, ma la rabbia era più per se stesso che per lei.

Nella sua società le donne dovevano essere docili, ubbidienti e soprattutto non dovevano obiettare le decisioni del capo della sippe.***

Purtroppo, sua figlia era tutto, fuorché quello!

"Tu farai quello che dirò io, Kadlin" ordinò perentorio.

Per la prima volta lei sembrò non riconoscerlo.

"Perché vuoi obbligarmi a fare una cosa che non voglio?" chiese con una strana rabbia mista a dolore.

"Perché è così che deve essere. Ho sbagliato nel educarti", ammise lui colpevolizzandosi, "ti ho cresciuta come un uomo, ma non lo sei. Ora ti rispettano perché ci sono io, ma se mi dovesse accadere qualcosa, nessuno e, dico nessuno, avrà a cuore la tua sorte."

Kadlin assorbì quelle parole lentamente, quasi fossero tante lame gelide e sospirò con amarezza prima di abbassare lo sguardo. Tutta la sua fierezza per un momento vacillò, e all'uomo parve diversa con indosso il manto della delusione, ma tacque, per lasciarle il tempo di comprendere e reagire.

Invéro, la giovane era consapevole che suo padre avesse ragione, ma le riusciva difficile accettare una simile imposizione senza dire nulla.

Si prese un po' di tempo e, quando finalmente si decise a sollevare lo sguardo, in quegli occhi verdi non traspariva la minima emozione.

"Farò come desideri" concesse con un nodo bruciante in gola.

"Bene" si compiacque il padre avvicinandosi.

Leggere quella determinazione nello sguardo lo inorgoglì immensamente e pensò che se fosse stata un uomo, nessuno avrebbe mai avuto l'ardire di contestarla.

La giovane chinò il capo per congedarsi. Aveva bisogno di rimanere sola e di raggomitolarsi sul proprio giaciglio per pensare.

"Domani darò la notizia della tua disponibilità al matrimonio" le disse arrestandola sull'uscio.

"D'accordo" sussurrò lei, stringendo i pugni attorno al lino della veste.

La giovane si preparò per avviarsi, ma l'uomo la fermò di nuovo.

"Arriveranno diversi candidati e potrai scegliere" la informò, come a volerle assicurare, che non le avrebbe imposto la scelta.

La verità era che amava troppo sua figlia per punirla con un matrimonio obbligato, ma non poteva neanche morire e lasciare sia lei che il villaggio in balia di uomini opportunisti e violenti, che desideravano solo conquistare quel terreno, perché troppo ben esposto e solido, per non essere al centro del loro interesse.

Lei annuì ancora alle di lui rassicurazioni e, senza aggiungere nulla, svanì oltre la soglia.


*Vik: era così che i Vichinghi chiamavano il villaggio.


**Terra dei falchi: era così che i Vichinghi chiamavano l'avambraccio, poiché era dove si posavano i falchi.


***Sippe: era così che i Vichinghi definivano la famiglia.



*Mio spazietto*
Visto che siete state tanto carine da dare un cenno, ecco il prologo.
Lo so che è un po' cortino, ma forse verranno tempi migliori. :-D
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe piacere saperlo, inoltre, potrei addirittura aggiornare domani, ma è tutto nelle vostre mani. ^_^

P.S.:  Le note in fondo le ho dovute mettere per far fede alla versione originale ma, semmai dovessi curarlo per una nuova edizione, credo proprio che semplificherei, eliminandole.

P.P.S.: Buona serata!
A presto :-D

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