1 "Un nuovo inizio"

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Zaira

Lascio che i miei piedi ondeggino oltre le assi di legno che mi separano dall'acqua. Lo faccio perché mi rilassa e mi permette di distanziarmi dalla mia realtà per qualche istante. Il riflesso che osservo non assomiglia neanche lontanamente alla me che immagino di essere diventata. Una ragazza fragile. Questo è ciò che mi è rimasto di tutto il mondo che avevo costruito con tanta fatica. Per scalare una montagna, certo, ci vogliono tempo e fatica, ma basta un attimo per toccare nuovamente il fondo.

Il vento gelido attraversa le mie ossa e mi gela le mani con cui mi sorreggo al corrimano del ponticello. La mia immagine si sfoca per un istante, poi ritorna nitida e io smetto di osservarla. Non sopporto l'idea che la mia me del presente abbia lo stesso aspetto fisico di quella che tormenta i miei sogni. A volte vorrei semplicemente che a mutare non fosse solo la mia sfera emotiva. Probabilmente aiuterebbe me stessa a capire che è giunta l'ora di farsi forza. Certe cose, però, vanno ben oltre le nostre possibilità.

Le mie mani mi implorano di reinserirle all'interno delle tasche del giubbotto, ma io mi rifiuto di dar loro ascolto. A volte un lieve dolore fisico è ciò che serve per permettere a noi stessi di dimenticare che dentro stiamo morendo. Concentrarsi su qualcos'altro aiuta, nonostante il malessere sia sempre in attesa di riprendere il posto che li spetta.

Dovrei essere a scuola, ma avevo bisogno di prendere una boccata d'aria fresca. Mi sentivo soffocare dentro quelle mura opprimenti che trattengono l'aria più viziata di questo mondo. Sorrido all'idea di aver trasgredito una regola. Forse certe cose cambiano davvero, dopotutto. Magari un giorno potrò finalmente dire addio anche al mio fardello, se continuo a combattere contro la me del passato.

A volte preferirei aver contratto un malessere fisico, perché almeno saprei come agire. Il problema, però, è che non possiamo avere il controllo completo della nostra testa. Dire a se stessi di star bene non è facile come comandare alla nostra mano di aprire le dita.

Lascio per un secondo scorrere dentro di me il turbine di pensieri e di parole che mi tormentano, solo per poter tornare a guardare pacificamente l'acqua sottostante. Qualcosa, però, mi interrompe, costringendomi a disintegrare i miei piani. È il telefono. Non ho bisogno di leggere il messaggio. Sono in ritardo per il corso di canto coreografato!

Prima che io possa anche solo pensare di agire, il mio corpo è già in movimento verso la scuola. Per fortuna, questo nuovo parco non è molto distante. Beh, una cosa è certa. Ero e sarò sempre una ragazza sbadata.



Jenna

Al mio tre i componenti del gruppo di canto coreografato iniziano ad esibirsi nella canzone "Volar" di Alvaro Soler. Lascio che le parole scorrano sul palco, mentre giudico le loro voci e la loro coordinazione nella più semplice coreografia da me inventata. Vedo persone inciampare e alcune guardarsi in giro, nella speranza di capire il ruolo che hanno in tutto quello. Bellissima la canzone e l'interpretazione vocale. Pessimo il livello di danza. Non riesco a credere che tra meno di un mese si svolgeranno le provinciali. Persino i componenti che risalgono all'anno scorso, quello in cui io ero ancora una semplice studente e capo del gruppo, fanno fatica a coordinare le note ai propri piedi. Mi chiedo come abbiano fatto l'anno scorso ad essere impeccabili. Forse hanno mangiato troppo durante l'estate e si sono allenati troppo poco.

Quando terminano l'esibizione faccio un applauso per le voci, ma mi schiarisco la voce per riprendere i loro errori. Prima di aprire bocca, però, mi stupisco a pensare a come mi sono addentrata nel ruolo di professoressa. Insomma, sono sempre io? Ovvio! Voglio dire, ne ho passate tanto l'anno scorso, ma adesso sono pronta a prendere in mano questa situazione per portarli alla vittoria, proprio come ho fatto l'anno scorso con il mio gruppo. Quando ritorno al presente con la mente, mi rendo conto che tutti stanno ancora aspettando che io dica qualcosa, così mi alzo di scatto facendo letteralmente volare il telefono che avevo poggiato sulle mie gambe. Inutile dire che la risata dei miei studenti riempie l'auditorium. Okay, sì sono sempre io.

The Song of Life vol.2 "An untold story"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora