Quando tutto ebbe inizio

162 6 3
                                    

Ero addormentata. Il mio corpo a peso morto, era appoggiato nel bel mezzo di una serie di materassi ammassati, sporchi e puzzolenti.
Era casa mia.

Dormivo sempre così: in top e pantaloncini.

Sapete, siamo nel bel mezzo dell'estate spagnola e non posso permettermi l'aria condizionata.

Ad un tratto inizai ad udire delle voci.

Sempre più chiare. Ogni istante che passava, sempre più chiare.

"FERMI. CHE NESSUNO SI MUOVA".

E ad un tratto, uno sparo fortissimo mi trapanó i timpani.

Mi svegliai di colpo. Nello stesso istante in cui aprii gli occhi, impugnai la pistola, che dal terribile giorno che segnò la mia giovane vita, tenevo sul comodino.

Insomma, c'è chi tiene il cellulare in carica, chi la bottiglia d'acqua.

Io tengo una pistola.

La presi in mano e il gelo del metallo mi infreddolí tutto il palmo.

La caricai senza pensarci due volte e la puntai verso l'entrata.

Mentre aspettavo che il bastardo entrasse, realizzai che in realtà era successo tutto nella mia testa.

Ancora.

Succede da mesi interi ormai.

Incubi.
Incubi incredibilmente reali.

Sto cercando di farci l'abitudine ma... io odio i cambiamenti.

In realtà non il cambiamento in sè.

L'adattamento.

Io? Mi chiamo Tokyo.

Si, come la capitale del Giappone.

Quando l'operazione che mi ha cambiato la vita è iniziata, non mi chiamavo così. Assolutamente.

Molti mi conoscono, anzi tutti.

No, non ho amici e non sono un idolo.

Sono famosa per essere sospettata in una rapina con quattro vittime: tutte morte.

Sono fidanzata si. O meglio, lo ero.

Avete inteso bene.

Il mio fidanzato è compreso in quei quattro corpi macellati.

L'ultima volta che l'ho visto era sdraiato, in una pozza di sangue, gli occhi aperti e un foro sulla tempia.

Ne abbiamo combinate di tutti i colori assieme.
Come Tom e Jerry, come Cip e Ciop.

Abbiamo fatto 15 colpi senza nemmeno udire una sirena: tutti finiti più che bene.

Più semplicemente avremmo detto "colpi puliti".

Ma mescolare amore e lavoro, perché si, rapinare è ormai il mio lavoro da anni, non mi è mai sembrata una buona idea.

Il fatto che ora, su un pezzo di marmo in un cimitero, ci sia inciso il suo nome, ne è stata la conferma.

Penso che il grilletto che ho premuto sia stata legittima difesa: non appena la guardia ha sparato contro di lui, sono diventata automaticamente assassina.

Da lì iniziò la mia vita da fantasma: una fuga continua.

In un certo senso anche io ero morta. Nessuno pronunciava più il mio nome.
Mia madre compresa.

La casa di carta - Il romanzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora