3. L'affascinante uomo dietro la maschera (I)

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Erano due le feste studentesche della New Hope Academy che Camelie Venice Lambert aveva sempre considerato irrinunciabili. La prima era il party sfrenato dei maturandi, a cui si era invitati solo se si conosceva qualcuno dell'ultimo anno; la seconda era l'evento di Carnevale aperto a tutti gli studenti del terzo e del quarto ciclo: il ballo in maschera che trasformava l'accademia nel più sfavillante dei set cinematografici. E non solo perché veniva ingaggiato un regista professionista per catturare luci e ombre della serata. Né perché il preside consegnava agli studenti più meritevoli una statuina d'oro zecchino che ricordava casualmente l'antico premio Oscar. Ma perché gli studenti della New Hope erano a tutti gli effetti delle vere e proprie celebrità.

L'istituto più elitario di Nilemouth, frequentato unicamente dai figli dei proprietari terrieri della provincia, ogni anno investiva in una notte l'equivalente di un mese di spese di caffetteria.

Eppure quell'anno, per la prima volta da quando frequentava la NHA, Camelie avrebbe dato qualsiasi cosa per non partecipare alla festa. La sua assenza sarebbe però equivalsa ad ammettere che il fidanzamento tra lei e Kennedy Holsen era naufragato, e la ragazza non era pronta ad annunciare al mondo il proprio fallimento.

Arrivò tardi, oltre che vergognosamente brilla. Aveva rimandato il momento in cui avrebbe dovuto fare il suo ingresso da sola, nonostante tutti sapessero che la promessa di matrimonio con Kennedy era stata ufficializzata. Si era data malata per tre giorni perché non aveva racimolato il coraggio necessario ad affrontare il promesso sposo; e perché era certa che le sue amiche avrebbero capito al volo che qualcosa era andato storto. Alla fine si era fatta forza e, con tre ore di ritardo e troppo alcol in circolo, si era presentata alla festa. Avrebbe dovuto raccontare una valanga di bugie e quale migliore occasione di una serata in cui poteva nascondere la verità dietro a una maschera di brillanti?

Magari le menzogne sarebbero state sufficientemente convincenti, magari non sarebbe stato poi tanto terribile parlare a quattrocchi con Kennedy, magari il loro rapporto poteva ancora essere salvato. In fondo Kennedy Holsen non la conosceva neanche; aveva basato la sua opinione su un paio di appuntamenti lampo e sulle voci che circolavano su di lei a scuola. Voci ovviamente fondate sull'invidia.

Dalla sera del fidanzamento il promesso sposo non l'aveva contattata neanche una volta, né per sapere come stesse, né tanto meno per accordarsi sull'etichetta da tenere alla festa. Non erano due studenti qualunque e non avrebbero dovuto improvvisare i primi momenti di coppia in pubblico.

La ragazza consegnò il soprabito all'ingresso e si specchiò di sfuggita in uno degli schermi spenti. Le scarpe nuove, di vera pelle di coccodrillo, le bloccavano la circolazione all'altezza delle caviglie; l'elastico della maschera le stringeva il capo, aggravando l'accenno di emicrania; e un bottone del bustino continuava a graffiarle impietosamente la schiena. La ragazza si arrese infine al mal di piedi. Appoggiandosi a una delle piante ricoperte di rugiada artificiale, fece perno su una gamba e sollevò l'altra per sgranchirsi la caviglia dolorante.

«Cam?»

Esasperata, Camelie si voltò di scatto; non si aspettava di essere riconosciuta tanto presto.

La studentessa che aveva parlato indossava un tubino smeraldo su cui erano cuciti a mano degli opali; il bianco delle gemme era della stessa tonalità del caschetto sbarazzino, tirato indietro da un cerchietto di castagne su cui erano fissate un paio di orecchie di peluche. Camelie corrugò le sopracciglia e, senza esitare, strappò l'accessorio dal capo dell'amica.

«Fallo sparire immediatamente. È pietoso, Sheila. Non c'entra niente con la fascia che mi avevi descritto.»

Nel sentire la propria voce riempirsi di autorevolezza, come ogni volta che giudicava qualcun altro, Camelie sentì il cuore assestarsi finalmente nel petto. Era rimasto in gola da quando la navicella aveva attraversato i cancelli del parco innevato dell'istituto, ma era bastato lo scambio di battute con l'amica per ricordarle chi era: sicura di sé, determinata, invidiata.

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