7 UNA FORTUNA INSPERATA

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«Penso che tutto ciò sia bruttissimo».

«La guerra è brutta, amico».

«No, non intendo la guerra. Solo questa situazione».

Il commilitone lo guardò sarcastico. «Dici?».

«Sì. Che ce ne frega dell'Italia? L'Italia, capisci?».

Non era più di tanto sarcastico, ora. «Il primo ministro inglese dice che è il ventre molle dell'Asse».

«E allora che sia qualcun altro a colpirlo!» piagnucolò. «Perché proprio noi della 3° divisione di fanteria?».

«Perché questi sono gli ordini». Il sergente era appena arrivato. «Che? Li discutete?».

«No, no» disse un commilitone in tono servile.

«Io invece sì, eccome, che li discuto» latrò il soldato di seconda classe. E sorrise, per poi rabbuiarsi. Aveva esagerato? In effetti aveva creato un vuoto intorno a sé.

«Ma senti senti... Chi abbiamo qui? Il nuovo generale in comando?».

Risatine.

Diagio, ecco cosa provò il soldato di seconda classe. Per questo cercò di difendersi. «Non è come pensa, sergente».

«Oh, io non penso nulla, Government Issue. Sei tu che pensi troppo».

«Oh, può darsi. Adesso, se mi scusa...».

«Non ti scuso per niente».

«Avrei da fare».

«Non me ne frega niente».

«Mi spiace contraddirla...».

«Sì?». Il sergente fece un sorriso pericoloso.

«Il tenente...».

«Quando ti fa comodo sei un GI obbediente, ma in altre occasioni polemizzi e discuti. Male, molto male». Si grattò il mento.

«Se mi permette, dovrei andare».

«No. Ascoltami».

«Sissignore». Sbuffò dentro di sé. Meglio non palesare.

«Visto che ti credi il più sveglio di tutti, e immagino pure di me, facci questo favore...».

«E sarebbe?».

«Prendi quel reticolato e portalo fino a quella collina».

«Sissignore... eh-uhm».

«Cosa c'è, ora?». Fece un sorriso perfido.

«Lì ci sono... i fascisti».

«E allora?».

«Be', non so se lo sa, ma quelli sparano. Sa com'è».

«Mi stai prendendo in giro?». Si era scurito in volto.

«No, macché. Non mi permetterei». La lingua, maledizione!. La lingua! A volte pensava che se la doveva tagliare.

«E allora obbedisci, o ti portò fin lì a calci». Gli occhi lampeggiarono di rabbia.

«Sissignore». Non potendo fare nient'altro, afferrò il reticolato e avanzò verso quella collina. Così facendo, pregò e bestemmiò, se la fece addosso da tutti e due i lati e cercò di sopravvivere. Si disse che era condannato e cercò di non bestemmiare più. Se proprio doveva andare a morire, che finisse da qualche buona parte... come il Paradiso. Quello era più che okay. Arrivato davanti alla collina posò il reticolato e come un coniglio stette ad aspettare. Diavolo, il petto gli si alzava e gli si abbassava come un animale da preda.

Nessuno.

Il soldato di seconda classe si disse che era tutto a posto. Aveva finito e nessuno gli aveva sparato. L'unico disturbo sarebbe stato pulirsi i calzoni. Tornò fra le proprie linee.

«Ma... sei vivo!» lo accolse il commilitone sarcastico.

«Be', credo proprio di sì. Perché? Non sono vivo?».

«Piantatela con queste sciocchezze. Lui è vivo, non gli è successo nulla. Adesso dobbiamo raggiungere quella collina» parlò il sergente.

Il soldato di seconda classe sbuffò. Doveva tornare in quel postaccio.

«No, tu fermo» lo bloccò il sergente. «Vuoi disgustarci con il tuo odore?».

«Ah, be', allora vado a pulirmi».

«Sì, che è meglio».

Il soldato di seconda classe andò a lavarsi, l'ultimo istante a sentire il sergente dire: «Quel tipo proprio non ce lo voglio sotto i miei ordini. Sarebbe capace di discutere le mie direttive e farci condannare tutti a morte».

Gli altri annuirono.

Il soldato di seconda classe glissò. Poi, quando finì di pulirsi, prese l'M1 si guardò intorno... Ma dov'erano gli altri?

«Poveracci, morti lì, davanti a quella collina» stava commentando un altro GI.

Il soldato di seconda classe sobbalzò e se la fece di nuovo addosso. Il suo sergente, il commilitone sarcastico, il resto della squadra... morti proprio dove lui credeva che sarebbe rimasto ucciso. Il soldato di seconda classe era sopravvissuto.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 2 Stati Uniti d'AmericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora