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|4| - Il y a dans un studio une peinture qui parle à son peintre et qui le tracasse, et une chanteuse qui lui rappelle la mémoire oubliée de sa vie

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|4| - Il y a dans un studio une peinture qui parle à son peintre et qui le tracasse, et une chanteuse qui lui rappelle la mémoire oubliée de sa vie.


Il sonno di André è stato rarefatto e scombussolato, interrotto, poi rimangiato, traviato. Non è stato sicuramente un sonno semplice, non da quando i suoi occhi non abbandonano l'immagine del quadro, non da quando le sue orecchie non lasciano quella voce così soave

Every since my baby went away

Quella voce. È una di quelle voci che non si dimenticano facilmente. Ha un tono limpido e chiaro, eppure nelle note più basse conserva una profondità inaudibile. Ineccepibile quasi. Come se dalla bocca degli inferi il demonio avesse scatenato la desolazione più disperante dei Dannati, i cui lamenti riposano nella gola di lei e ne alimentano lo strazio in quella voce a metà tra Empirei e Inferi, tra sacro e profano. E quelle mani giunte in preghiera e le lacrime di sangue ne sono la completa rappresentazione: sacro e profano. Preghiera e Dannazione. André ancora non riesce a capire come da un paesaggio fiorito possa essergli scaturita una simile immagine. E l'immagine non ne era nemmeno il ricordo: conserva una parte di un ricordo recente, eppure è stata modificata, variazioni mentali che ne modificano la percezione.

Quel giorno il sole sorge, ma André al suo risveglio non capisce perché debba esistere per forza un'alba a rischiarare quel mondo ora così buio.

Assonnato, beve un bicchiere d'acqua, si sistema le mutande e va in bagno. Pisciata mattutina e si guarda allo specchio, volgendo la testa a destra e sinistra sotto le diverse angolazioni della luce artificiale. Prende la schiuma da barba e inizia a passarla su quell'accenno appena visibile lungo la mandibola e appena sulle guance. Prende la lametta e inizia a toglierla, piano piano, buttando a poco a poco la schiuma nel lavandino. Passa il dopobarba lungo i punti appena rasati e si lava la faccia. Torna in cucina, prepara il caffè e lo accende. Apre la finestrella nella stanza e vi poggia vicino la sedia; si siede, e data la sua altezza, riesce a poggiare i gomiti sul cornicione della suddetta. Guarda da lì le strade ancora deserte di Montmartre, il fioco cinguettio di alcuni uccellini, l'apparente quiete che avvolge la collinetta a Nord di Parigi, in sottofondo il ronzio della sua caffettiera e tra le labbra il filtro umido della sigaretta.

Ora vorrebbe ascoltare una poesia di Eugène. Vorrebbe sentire quanto sentimento può produrre un uomo come lo scrittore, e capire perché lui non riesce ad averne la facoltà. Vorrebbe che le poesie di Eugène le cantasse quella ragazza, con la sua voce aerea, col tono addolorato e straziante di chi piange un evento terribile e senza rimedio. A volte gli vengono in mente alcuni versi di alcune poesie che gli decanta il giovane mentre lui dipinge; anche se sembra concentrato sul quadro, cerca di non perdere nessuna delle parole che enuncia quel finto poeta maledetto. Se ne ricorda una in particolare, che lo aveva colpito per la sua blasfemia che in realtà in sé non aveva nulla di blasfemo; era una pura condanna ad un corpo per lui sacro - secondo le supposizioni del pittore - che aveva profanato la fede dello scrittore, avendolo tradito. Ricorda ancora le parole.

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