Prologo

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"Busan. Arrestato insegnante di cinquantacinque anni alla Scuola Statale di Secondo grado Choryang-dong."

Lo sguardo del maggiore si scontrò con quello dell'altro presente all'interno del suo povero appartamento. Quest'ultimo, al solo sentir pronunciare quelle parole gli lanciò un'occhiata confusa e scettica. Il ragazzo dai capelli rosso sangue afferrò il telecomando, pigiando su di un tasto e aumentando il volume dell'apparecchio davanti a loro.

"L'uomo, al servizio dell'Istituto da ormai trent'anni, sarebbe stato accusato -dagli inizi di questo Maggio- di oltre venticinque capi d'accusa su abusi di minori, dopo alcune confessioni da parte dei diretti interessati. Il processo è stato fissato a due settimane da oggi e sembrerebbe ci siano più di trenta testimoni tra ragazze e ragazzi fattosi avanti dopo le accuse. Le varie cerimonie posticipate per via delle indagini, si compiran.. "

«Lo hanno preso».
Il più grande si voltò nuovamente verso l'altro, non prestando molta attenzione al susseguirsi del discorso della donna alla TV, osservando uno scatto dell'uomo che entrambi conoscevano fin troppo bene. Era coperto dal suo avvocato e dalla stampa ed i giornalisti lottavano per avere una sua dichiarazione.

Dopo aver ascoltato la notizia al telegiornale, il ragazzo seduto sulla poltrona in finta pelle, immobile, non aveva ancora distolto lo sguardo dallo schermo che ormai aveva passato in seguito le immagini di un'ennesima notizia di rapina nei bassi fondi di Seoul. 

I suoi occhi erano vuoti, fissi su di un punto indeterminato. Sembrò quasi che l'accaduto, in realtà, non lo avesse sfiorato neanche un minimo.

«A quanto pare» si limitò a dire, alzando finalmente lo sguardo dalla TV per spostarlo, con la medesima indifferenza, sulla figura del più grande, che intanto aveva ripreso a sistemarsi la camicia. Il suo, di sguardo, riflesso allo specchio, era intento ad osservare i bottoni chiudersi uno ad uno.

«Venticinque capi d'accusa, eh?» sul suo volto aleggiò un ghigno tra l'indignato e l'incredulo che il ragazzo più piccolo poté notare attraverso lo specchio, «si è dato da fare, quel pedofilo. Sapevo che non fossi l'unico, ma non pensavo ce ne fossero così tanti altri.» Gli occhi del maggiore si spostarono sulla sagoma alle sue spalle, «potresti andare a testimoniare anche tu.»

«Non credo ce ne sia bisogno» constatò l'altro, rivolgendo un'alzata di sopracciglio al ragazzo in piedi, «ha già il cappio al collo. In aula lo faranno crollare in meno di due secondi.»

«Ma perché restare in silenzio?» insistette l'altro, corrucciando la fronte alle parole del suo dongseng*.

«Taehyung», lo ammonì il suo compagno, «ne abbiamo già parlato. Non voglio avere alcun contatto che possa riportarmi a lui, quando saremo lì».

Taehyung non rispose e la sua bocca prese ad aprirsi per poi chiudersi subito dopo. Sapeva che aveva ragione, che aveva tutti i suoi buoni motivi per non voler dare nell'occhio una volta che fossero tornati per quel fine settimana.

Doveva restare un loro piccolo segreto: tornare per poi fuggire nuovamente da quell'inferno che li aveva forgiati per ciò che ora erano. D'altronde, stava già chiedendo fin troppo, lui lo sapeva eccome. Sapeva cosa avrebbe potuto comportare tornare in quella cittadina malsana ma aveva bisogno che, soltanto per quella volta, soltanto per quella occasione, lui facesse uno sforzo per stargli accanto.
Taehyung sapeva esattamente come ottenere tutto ciò che desiderasse da quel ragazzo che aveva imparato a conoscere da tempo. Lui era un ammaliatore e non ci volle molto per persuadere il suo amico ad accompagnarlo in quel viaggio: un viaggio che avrebbero intrapreso da lì a qualche settimana. Giusto in tempo per essere lì da lei, la donna della sua vita.

Taehyung cercò di sviare perciò l'argomento fin troppo scomodo, voltandosi completamente verso il più piccolo ed osservandolo da capo a piedi, con un cipiglio malizioso in viso.
«Comunque», iniziò, avvicinandosi alla sua figura ancora pigra sulla seduta, che lo guardava con grandi occhi scuri, «dopo la cena, resta». Lo biascicò ad un centimetro dalle sue labbra, poggiando entrambe le mani sugli appoggia braccia della propria poltrona e calandosi sulla figura del ragazzo. L'altro, in risposta, incatenò il suo sguardo dritto in quello del maggiore, tagliente e sensuale come sempre. Capì all'istante come la serata si sarebbe evoluta da lì a pochi istanti.

«Quanta ne hai?», chiese, avvicinando pericolosamente le labbra a quelle di Taehyung.

«Abbastanza», gli intimò con un quasi sinistro luccichio tra le iridi, «ma lo scoprirai soltanto se resti».

L'altro gli sorrise di sbieco. Come da anni, ormai, quel ragazzo sapeva esattamente come incatenarlo a sé e non lasciargli una minima via d'uscita. Lo conosceva, oh sì che lo conosceva, molto più di chiunque altro. Molto più di quanto si fossero mai ammessi reciprocamente a parole, erano le gesta a contare, da sempre. Viscerale, soltanto questo aggettivo avrebbe potuto descrivere a pieno ciò che li legava.

Il minore piegò il collo di lato, il giusto per finire sotto il profilo perfetto dell'altro, lasciando che il suo viso si spostasse esattamente ad un filo dalla bocca del più grande. Carnosa, abile, come solo lui stesso poteva aver constatato più e più volte durante le notti passate assieme.

«Andata, pabo*». acconsentì poi, sistemandogli l'ultimo bottone della camicia bianca.

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[ note ]

dongseng:  parola generica che indica o un fratello o una sorella o un amico/a più piccolo/a.

pabo:  stupido, idiota.

触媒 - Catalyst ; jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora