触媒 - Catalyst ; jikook

6.

La lampada accesa poco prima stava continuando ad illuminare quella stanza. Jungkook era disorientato, il suo naso arricciato ed il labbro vibrare nel rispondere. Puntellò i talloni nudi sul parquet, maledicendo il tempismo di quella telefonata che mai si sarebbe aspettato.
Tutto e tutti quel giorno sembravano essere contro di lui.

«Come stai, campione?», il suono della voce di suo padre non era affatto cambiato. Nonostante quell'importantissimo nuovo caso sulle spalle, gli sembrò gioviale come sempre. Solo un pizzico di stanchezza aveva notato contornare quelle parole appena pronunciate dall'altoparlante.

Jungkook non si mosse. Suo padre non avrebbe mai potuto vederlo e non avrebbe mai potuto essere a conoscenza di ciò che stesse facendo in quel momento, eppure per un secondo Jungkook si sentì come colto in flagrante, con le mani nella marmellata.

«Sto bene», si limitò in un primo momento a rispondergli, cercando di non far notare quanto in realtà andasse di fretta.

Le chiamate di famiglia non erano poi chissà quanto numerose. Una delle ragioni era proprio l'essere impegnati costantemente senza mai un attimo di pausa: Jungkook con gli esami, il lavoro ed ora anche la laurea, il signore e la signora Jeon tra fascicoli e testimonianze, casi ed accuse. Ormai sentirsi poco era diventata un'abitudine, ma questo di certo non diminuiva il bene che si volevano.

La madre, anche lei impegnata ogni giorno per via dei vari incarichi affibbiatole dal marito, riusciva a dedicargli qualche ora di certe mattine con delle brevi telefonate. Prima che la routine di tutti ricominciasse a trascinarli uno lontano dall'altro, cercava di scoprire come se la cavasse il figlio più grande, come andassero gli studi, cosa stesse combinando Yoongi, se gli fossero arrivati i soldi del mese o se avesse trovato qualche bella ragazza che glielo avrebbe poi "rubato", a detta sua.
L'ultima domanda riceveva sempre la solita risposta: "sono troppo preso a studiare per pensare a queste cose, mamma" e Jungkook storceva un po' il naso ogni volta che glielo diceva.

Si era sempre chiesto in passato quale sarebbe potuta essere la reazione dei suoi ad un suo ipotetico coming out. Col tempo, però, si era reso conto che solo l'idea stava incominciando a spaventarlo troppo, a farlo vivere nel terrore di doverlo per forza dire a qualcuno, invece di poter scegliere e tenerselo per sé. Invece di poter tenere tutto sotto controllo.

I suoi non erano omofobi, né altrettante cose. Probabilmente erano le persone più lontane di tutti a poter giudicare qualcuno. Però.. dicono sempre tutti così, riusciva solo a ripetersi Jungkook, perché in effetti nessuno avrebbe mai potuto dargli la certezza che una volta scoperta la verità, tutto poi non sarebbe crollato.
Si era deciso a non volersi far etichettare in alcun modo, a non voler essere incatenato a nulla.
La sua vita sessuale, tanto, sarebbe rimasta per sempre un segreto. Così come la droga, così come tutto ciò che avrebbe potuto far morire di collera i suoi. E dell'innamorarsi, lui non ne voleva sapere, né sapeva in effetti cosa si provasse ad esserlo. Non facevano per lui quelle cose, non sarebbe mai riuscito a mettersi da parte per qualcun altro, dopo così tanti anni a lavorare su sé stesso.

Da quando i suoi genitori, comunque, erano stati assegnati a quel caso, il tempo passato a chiacchierare era andato a diminuire sempre più e Jungkook ricordò soltanto in quel frangente di non aver più sentito la voce di suo padre da più di qualche mese.
Desiderava poter scambiare due chiacchiere con quell'uomo, certo, ma ancor più sicuro era che quello non fosse il momento adatto per farlo.

Il suo computer era rimasto in camera, incustodito, e lo stava richiamando a sé aggrappandosi al filo della sua smisurata curiosità. Si morse perciò l'interno guancia, cercando di frenare quella agitazione e di non dare a vedere il malcontento verso quella telefonata.