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Jungkook si chiuse la porta alle spalle, il legno liscio della superficie a scontrarsi con la schiena accaldata.

Quelle giornate di preludio d'ottobre, stranamente per una città come Seoul caratterizzata da inverni gelidi ed estati non particolarmente calde, non avevano ancora del tutto perso l'afa della stagione ormai passata.

L'appartamento che Jungkook aveva da qualche anno affittato era ancora immerso nel buio più totale, dopo una lunga giornata di sole. Le tapparelle in alluminio erano chiuse, in modo tale da non lasciar passare neanche il più lieve dei raggi, quasi del tutto spariti per l'ora tarda.

«Sì, Hoseok, non preoccuparti», sbuffò sottovoce Jungkook, in modo tale che l'altro non potesse sentire quel leggero velo di frustrazione.

Jungkook si lasciò cadere al pavimento, percependo il cotone della maglietta grattare contro l'entrata fredda di casa sua. Le sue gambe si piegarono, stanche; una delle ginocchia si poggiò contro lo stomaco brontolante.

Aveva, di nuovo, saltato il pranzo. Le cause furono alcune dichiarazioni da parte di un ragazzo e qualche ragazza e la lettura di un libro che lo aveva rapito, facendogli perdere totalmente la cognizione del tempo durante la pausa. Ed ora si era ritrovato con un vuoto allo stomaco ed ovviamente senza forze da tutto il pomeriggio.

«Abbiamo da sistemare il set fotografico per quel progetto, procurarci il materiale da esposizione e scegliere ancora lo scenario!», la voce del suo compagno di studi gli rimbombò frastornante tra i timpani e Jungkook potette percepire come qualche neurone si fosse appena fuso a quel tono così squillante.
Così fastidioso.

Jung Hoseok, un ragazzo del tutto nella norma. Uno dei soliti studenti del primo anno che, da qualche giorno, aveva iniziato a gironzolargli attorno. Niente di speciale, insomma, secondo il punto di vista del corvino.
Aveva superato con ottimi voti gli esami dell'anno di preparazione fotografica dell'accademia e, quell'anno, Jungkook se l'era ritrovato nella sua stessa facoltà: Fotografia come Linguaggio d'Arte.
Hoseok aveva appena iniziato quel percorso di studi – elettrizzato – a differenza di Jungkook che avrebbe dovuto dare i suoi primi esami per ottenere la laurea triennale e raggiungere il suo primo e di sicuro non ultimo traguardo.

Jungkook si stropicciò gli occhi, stanchi per via delle innumerevoli notti passate in bianco: sui libri, all'interno del suo studio fotografico, davanti al PC per modificare con ossessionante attenzione ogni scatto catturato con la sua Reflex, e non solo. Se Jungkook avesse fatto per davvero due più due, avrebbe ammesso a sé stesso che quello sfinimento ovviamente non fosse dovuto soltanto allo studio.
Aveva bisogno di ricaricare le batterie.

«Oh, e i modelli!», dopo alcuni minuti di silenzio, probabilmente a pensare, Hoseok scattò nuovamente dall'altra parte della cornetta, «Jungkook! I modelli! Come faremo con i modelli?».

«Lascia che me la sbrighi io», continuò il corvino sull'orlo dell'esasperazione, fissando un punto buio del suo salone privo di vita, «conosco un paio di ragazzi adatti al tema con cui ho già avuto modo di lavorare», gli spiegò, cercando di tranquillizzarlo.

In fin dei conti, per Hoseok quello sarebbe stato il suo primo e vero book fotografico.

«Oh, davvero, Hyung?», chiese allora timido l'altro, con una nota di sollievo.

«Davvero Hoseok, non farti problemi. Ci penso io».
La voce rassicurante di Jungkook riempì quel silenzio padrone di quelle mura, mentre con una spinta – più emotiva che fisica – il ragazzo si decise a sollevarsi da terra e recuperare la situazione.

«Ascoltami», riprese poi, dopo essersi avvicinato al tavolo da pranzo, protagonista di quell'arredamento moderno. Ci poggiò su le chiavi di casa e quelle dell'auto. Il suo tono rimase calmo e pacato ma un accenno di autorità ne venne a capo non appena iniziò a dettare a Hoseok cosa avrebbe dovuto fare.

触媒 - Catalyst ; jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora