7. Un lunedì da incubo

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Qualcuno inizia a scuotermi leggermente, costringendomi a svegliarmi.

«Alison, alzati sei in ritardo».

Spalanco gli occhi e vedo il bellissimo volto di mia madre. «Che c'è?», domando stropicciandomi un occhio.

«Sono quasi le otto, sbrigati». O Gesù!

Balzo giù dal letto e mi infilo un paio di jeans, una maglietta, una felpa e allaccio le converse velocemente. Corro in bagno a sciacquarmi la faccia, lavarmi i denti e raccogliere i capelli in una crocchia disordinata. Non ho proprio tempo per sistemarli meglio. Torno in camera, afferro lo zaino, infilo il cellulare nella tasca dei jeans e scendo le scale di corsa. Arrivo in cucina, dove mia madre sta bevendo un caffè in tutta tranquillità e afferro una ciambella al volo.

«Aidan?», chiedo non vedendolo.

«Sarà già a scuola», dice lei alzando le spalle.

Quell'infame poteva anche svegliarmi!

Saluto mia madre ed esco di corsa. Mentre salto i quattro gradini della veranda per atterrare sul vialetto, osservo quell'enorme pulmino giallo che mi passa davanti.

Mi sbraccio correndo con la ciambella tra i denti, ma niente da fare, il pullman non si ferma. Mi piego in avanti per riprendere fiato, appoggio una mano sul ginocchio e con l'altra recupero la ciambella che tenevo ancora stretta in bocca. Una risata improvvisa mi distrae.

Mi volto verso la casa di Connor e lui è lì, appoggiato con i gomiti sul tettuccio dell'auto che mi guarda e ride.

«Grazie Evans, ridi pure delle mie disgrazie».

«Vista da qui la scena era divertente».

Sbuffo mentre do un morso alla mia ciambella. Lui si avvicina con le mani in tasca e mi osserva. «Che c'è?», lo guardo di traverso sperando che smetta di fissarmi in quel modo.

«Sembra invitante», dice lanciando uno sguardo verso la ciambella che ho in mano. La allungo titubante verso di lui. Esita per un attimo poi fa un passo in avanti e da un morso. Lo ammiro in tutta la sua bellezza, osservando la sua mandibola che si contrae ad ogni masticata.

I suoi occhi tornano nei miei e improvvisamente aggrotta le sopracciglia, «Che vuoi?» chiede mandando giù il boccone.

«Niente... io...»

Fa un passo verso di me. «Mi stavi mangiando con gli occhi», fa un altro passo e ci ritroviamo a pochi centimetri. Il mio battito accelera violentemente. Non so perché sto reagendo così ma, improvvisamente mi sento strana. È un ragazzo talmente chiuso e riservato, che non so mai cosa gli passa per la testa. Torno a respirare quando Connor fa qualche passo indietro scuotendo la testa.

«Hai bisogno di un passaggio?», domanda andando ad aprire la portiera del guidatore.

Allargo le braccia in risposta, come se ormai fosse un abitudine scroccare i passaggi a Connor Evans.

«Dai, salta su».

Cammino verso il lato passeggero, apro la portiera e mi accomodo sul sedile. Connor accende l'auto e fa la retro per uscire dal vialetto di casa sua, per poi immettersi in strada.

«Come mai in ritardo?», chiede guardando di fronte a sé.

«Non ho sentito la sveglia, e Aidan non si è scomodato per venire a svegliarmi».

Lui annuisce e continua a guardare la strada.

«E tu?» domando curiosa.

«Avevo semplicemente sonno» risponde annoiato sollevando le spalle con menefreghismo. Annuisco. Non so cos'altro dire, quando sono con lui divento nervosa, non so mai le parole che devo usare.

SAVE ME [Cartaceo]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora