2.

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La pista da bowling mi è sempre piaciuta: spaziosa, poca gente, e soprattutto nessuno di quei brutti ceffi che si vedono in giro per strada.
Avevo dato appuntamento anche a Zack e Sophia; quest'ultima era una donna molto ben inserita in società e con me aveva un eccellente rapporto.
Notando che lanciavo occhiate impazienti verso la porta, mi chiese:
"Chi aspetti?"
"Zayn.
Poi c'è un vecchio amico giù al paese che mi ha affidato il figlio appena sbarcato a Londra, per frequentare l'università."
"Certo che ne hai di responsabilità!" commentò lei ridendo.

Verso le sei o le sette arrivò Zayn seguito dal ragazzo.
Vedendolo da lontano, notai che non era affatto alto e non mi sembrò niente di speciale.
Provai un improvvisa delusione e tra me e me maledissi Zayn.
"Sophia, Zack" Zayn salutò tutti i presenti.

Il ragazzo era rimasto in piedi un po' discosto e teneva gli occhi fissi su Zayn.
"Ed ecco il signor Tomlinson" voltandosi, Zayn mi presentò al ragazzo.
"Questo è Harry Styles"

"Piacere" gli porsi la mano sorridendo.
"Piacere" Harry mi strinse la mano nervoso.

Nel preciso istante in cui mi stringeva la mano, alzò lo sguardo verso di me, uno sguardo che mi resterà scolpito nella memoria sino alla fine dei miei giorni, dovessi campare cent'anni: gli occhi verdi luminosi traboccavano di malinconia, inquietudine, sospetto.
Non sorrideva.
Sul viso, nemmeno l'ombra di quel sorriso che si abbozza per compiacere gli altri che avevo tante altre volte.

Di carnagione molto chiara, il suo viso era perfetto.

Lineamenti squisiti, il naso dritto, le labbra serrate in un'espressione indecifrabile.

Ebbi un tuffo al cuore, un'emozione che non provavo da tempo.

In ogni caso, non essendo più un novellino, mi affrettai a distogliere lo sguardo e mi voltai ad osservare Sophia e gli altri che giocavano a bowling.
"Ti piace il bowling?" chiesi con aria indifferente.

"Non so giocare." non aveva un accento londinese.
"Vieni dal Cheshire?"
"Si"
"Probabilmente non ha ancora cenato" mi sussurrò Zayn all'orecchio.

"Bene, nemmeno io ho mangiato."
"Sophia, ora ho da fare, devo invitare a cena mio nipote, non vorrei mai che mio fratello si arrabbiasse per averlo fatto morire di fame. Se volete venire, offro io." dissi a voce alta, rivolgendomi agli altri.
"No, vai pure e buon divertimento."
Mi parve di cogliere un tono allusivo nella sua voce, ma non ci feci caso.

Andammo in macchina al ristorante dell'albergo in cui avevo prenotato una suite.
"Quanti anni hai?" gli domandai una volta che fummo seduti al tavolo.
Per strada non una parola.

"Quasi diciassette."
"Come mai così giovane e già all'università?"
"Sono andato a scuola un anno prima, e poi ho anche saltato una classe"
Sul viso non si vedeva neanche l'ombra di un sorriso, mi guardava negli occhi quando parlava, doveva aver ricevuto una buona educazione.

Il suo sguardo malinconico mi faceva quasi perdere il controllo, non facevo altro che fantasticare come rovesciarlo sul letto.

"Ti stai abituando a Londra?" gli chiesi così velocemente che la parola 'abituando' rimase amputata, risultando incompressibile.

"Eh?" fece lui, arrossendo.
Doveva avere qualche difficoltà a comprendere il mio accento.

Scoppiai a ridere "Ti abituerai a comprendere l'accento di qui, i primi tempi è difficile per tutti, soprattutto qui al centro. Specialmente gli uomini: è disgustoso il modo in cui parlano, girandosi e rigirandosi in bocca la loro linguaccia, dissi ripetendo le parole di qualcun altro.

London Story || Larry Stylinson AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora