Capitolo 9

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La mattina del 9 novembre Lottan riceve una telefonata dall'ufficio della procuratrice. È lei ovviamente a parlare. Solo lei chiama da quell'ufficio. Jane vuole sapere come procedono gli incontri. Lottan non vorrebbe dirle subito che non crede che Deper sia il colpevole, ma la frase gli esce dalla bocca senza neanche che lui se ne accorga. Ne segue la reazione di Jane che si chiede: "Ma come è possibile? Ma come è possibile?"
La prima domanda è rivolta allo psicologo, il quale non fa in tempo a rispondere perché la voce di Jane fa esplodere le stesse parole una seconda volta. Ma la seconda domanda è rivolta a se stessa. Lottan lo percepisce e rimane zitto. È rimasto leggermente turbato dal tono con cui Jane gli e si rivolgeva quelle parole. Non l'aveva mai sentita parlare a quel modo. Cerca di ripercorrere più volte nella sua mente ciò che ha detto esattamente la procuratrice. E alla fine capisce cosa c'è che non va. È questo dannato caso che sta stressando tutti. Tutto sta andando in un verso strano e chiunque ne risente. C'è qualcosa di particolare, di ignoto e di misterioso che inquieta tutti. Ma solo lui riesce a comprendere abbastanza bene quella situazione. Si sente di dover indagare la ragione per cui tutti si sentano così. E non è solo il modo in cui la vittima è stata uccisa, non sono solo i segni che le sono stati lasciati addosso, non è solo l'alone di mistero che si percepisce pensando a questo caso. C'è qualcosa di più. Un elemento che non si è ancora mostrato e che fa sembrare l'assassinio meno brutale e più misterioso. E Lottan è deciso a scoprirlo.

Terzo incontro dello psicologo Dave Lottan con Evan Deper in data 10 novembre 2040

Evan Deper entra nella stanza con aria calma. Quasi quasi sorride a Lottan, il quale saluta Deper con un gesto della mano e due parole semplici come: "Buona giornata"
Ancora abbozzando un sorriso Deper risponde: "Non è proprio una buona giornata dato che sono qui perché sono accusato di omicidio, ma lei mi inizia a stare simpatico. Non si illuda, ci vorrà un po' prima che io le sorrida per davvero"
Lottan guarda intensamente l'uomo che ha davanti a sè. Pensa che probabilmente si è tolto un peso di dosso quando l'ultima volta ha iniziato a parlare con lui di sua figlia. Lottan sa ormai con certezza che Deper è un uomo istintivo e non avrebbe mai fatto ciò che gli si imputa. Lo ha capito nel momento in cui Evan Deper è entrato questa mattina dalla porta del suo ufficio. Ci vuole una mente più calcolatrice per fare ciò che è stato fatto alla vittima. Ci vuole una motivazione più forte dello scontento. Lottan si è reso conto che comunque Deper amava sua figlia, nonostante tutto. Se Lottan fosse padre se ne sarebbe accorto subito, ma ha dovuto pensarci un po' prima di realizzarlo. Ma Dave Lottan ha bisogno di sapere di più di Leslie per conoscere il suo assassino. E i coniugi Deper sono le persone giuste per aiutarlo. Alla fine di questa riflessione Lottan dice: "So che lei non è colpevole signor Deper"
Un'espressione stranita, sorpresa e allo stesso tempo riconoscente si dipinge sul volto di Evan. Per un attimo non sa cosa dire, ma poi esplode con un: "E perché non fa cadere le accuse su di me?"
"Perché ci sono prove che indicano lei come colpevole e io non posso fare molto per scagionarla se non dire che secondo me non è stato lei"
"Ma non è la sua scienza a dire che non sono stato io?"
"Sì, anche, ma come le ho detto l'altra volta nel mio lavoro conta anche il parere personale"
"Quindi i poliziotti pensano ancora che sia stato io!"
"Questo non lo so ancora dato che ieri ho comunicato alla procuratrice il mio parere"
"E lei non ha ancora fatto niente? Allora mi crede colpevole"
Deper si mette le mani nei capelli, il problema non è che la procuratrice lo crede colpevole, ma è come se lei incarnasse il mondo e perciò è come se tutti quanti lo credessero colpevole. È come se lo fosse veramente. E la brutalità con cui è stato commesso l'omicidio, aumenta il senso di angoscia e di oppressione del signor Deper che si sente come schiacciato e non più in grado di controllare ciò che sta intorno a lui. È cominciato tutto quando ha perso il controllo su Leslie e, piano piano, ha perso il controllo su tutto. Pensa Deper.
Lottan legge la disperazione negli occhi di quell'uomo. Deve fare qualcosa o Deper potrebbe andare fuori di testa. Allora gli prende la mano. Deper lo guarda stranito. È già un buon segno. Non ha reagito in modo violento. Poi lo guarda negli occhi e piano piano gli sorride. Deper rimane ancora con l'espressione di prima sul suo viso, ma alla fine cede e abbassa la testa. Si scusa per il suo comportamento. E in questo momento sembra un cane bastonato. Adesso Deper si sente solo triste. Si mette di nuovo le mani nei capelli, ma questa volta non è disperato.
Lottan cerca di rassicurare Evan dicendo: "Io farò di tutto per aiutarla a superare questo momento e per farla scagionare"
Deper alza la testa e piano piano si insinua in lui un bagliore di speranza. Forse non è finita.
"La ringrazio signor Lottan per quello che vuole fare per me. È importante. Lei è la prima persona che crede in me in questa storia. Nemmeno mia moglie si fida più di me. So che mi ritiene colpevole. Lo vedo nei suoi occhi quando mi guarda. C'è sempre del sospetto. Viene ai colloqui, ma è come se fosse un fantasma. Non cerca nemmeno di starmi vicina. Sta quasi sempre zitta. Annuisce o nega. Parla solo se necessario. Io non riesco ad andare avanti così"
Deper piange. Lottan si avvicina a lui. Ma non vuole compatirlo, sa che Deper non lo apprezzerebbe. I due si guardano. Deper tira su con il naso e cerca di sorridere mentre si asciuga le lacrime con un fazzoletto che gli ha appena dato Dave Lottan.
"Lei è il primo amico che ho da tanti anni" dice malinconico Evan.
"Mi dia del tu"
"Ok, solo a patto che anche tu mi dia del tu"
"Va bene"
"Non ho idea di chi avrebbe potuto fare del male alla mia bambina, lei ne ha qualcuna?"
"Per il momento posso solo tracciare il profilo dell'assassino, ma non posso ancora identificarlo. Sento che qualcosa mi manca"
"Sente anche lei... non giusto le do del tu... senti anche tu che c'è qualcosa che non va? Ogni volta che tornavo a casa dopo che tutto era successo mi sentivo strano"
"Sai che non posso parlare molto del caso, ma concordo con te. Non mi sento tranquillo"
"Davvero? Allora scusami. Però forse posso aiutarti parlando di Leslie. Ormai lo sanno tutti che ho mentito sul fatto che Leslie andava bene a scuola. Io mi arrabbiavo sempre perché portava a casa solo scarse sufficienze. La sgridavo anche per le compagnie con cui stava. Si facevano tutti. E penso che pure lei abbia iniziato. In quei gruppi è inevitabile. Uscivano la sera e stavano fuori fino a tardi, ma tardi tardi, non tipo le due, ma le sei, le sette del mattino dopo. Anche durante la settimana. A volte mi incazzavo tantissimo. Ma lei era incorreggibile. I suoi amici, che poi non erano tanti, erano più importanti della sua famiglia a quanto pare. Ho sempre odiato questa cosa. Probabilmente i nonni l'avevano viziata da piccola. Io non c'ero perché lavoravo tutto il giorno e a volte anche di notte. Mia moglie è stata gravemente malata per i suoi primi cinque anni di vita e non ha potuto badare a nostra figlia. Non glielo rimprovero, anzi, avrei voluto esserci io per lei, ma le cure di Angie costavano tanto e io non venivo pagato molto..."
A quel punto qualcuno bussò.
"È già finito?" chiese Evan.
"Sì"
"Il tempo è volato"
"Già, ci vedremo la prossima volta"
"Spero che la prossima volta sia fuori dal carcere"
"Anche io"

L'ultima VittimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora