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Apro la porta, immaginavo fosse Erix e non mi stupisco di vederlo qui.

«Ti ho svegliato?» mi chiede grattandosi una tempia. Scuoto la testa: sono troppo agitata per dormire tranquillamente. Non so se immaginava che fossi sveglia, ma sono felice che sia tornato.

«Meno male» sussurra.

«Che c'è? Vuoi espiare le tue colpe?»

Scoppia a ridere, mi spettina i capelli. «Forse, sono stato un cretino a essermene andato prima».

«Mi fa piacere tu l'abbia capito».

«Posso entrare o vuoi lasciarmi nel corridoio fino all'alba?»

Tasto il muro finché non trovo l'interruttore, accendo la luce e mi faccio da parte, lasciandogli il posto per entrare. Va a sedersi sul letto dalle coperte disfatte, appoggia la schiena al muro e si guarda intorno.

«Perché non hai messo niente alle pareti?»

Scrollo le spalle: non mi andava di perdere tempo ad arredare una stanza in cui avrei passato poche notti.

«Perché preferisco spendere soldi per la Starfall piuttosto che per abbellire le pareti bianche. E poi non capisco cosa abbiate tutti contro i muri di quel colore, rendono la stanza più luminosa e si lavora meglio! Però ho addobbato tutti quei fogli sul tavolo». Gli indico la pila di documenti che troneggia alle mie spalle, tutti calcoli di riprova su Minerva. Sono le uniche cose che ho in camera: un letto, un tavolo, un tappeto e tanti fogli. Ciò che mi serve per lavorare: non c'è niente che potrebbe cambiare il fatto che da wakin l'Atlantis non sia più casa mia, che non lo senta più come tale. Per lui è diverso, alla fine si è ripreso la stanza che è sempre stata sua.

«L'unica cosa che ho cambiato è stato il letto, era troppo duro e troppo nel mezzo. L'ho sposato lì, nell'angolo, e ho preso un materasso nuovo. Sai che mi piace dormire vicino al muro».

«Perché ti ricorda i miei addominali?»

«Erix, sei un cretino» gli urlo lanciandogli un'occhiataccia. Scoppia a ridere, incrocio le braccia. «E togli quelle orrende ciabatte rosse dal mio materasso!»

Continua a ridere, scalciando quelle cose oscene a terra. Persino quelle a forma di papera di Axel sono migliori delle sue – almeno sono divertenti, per quanto orribili.

Sospiro, avvicinandomi al letto. Mi siedo sul bordo e subito la mano di Erix raggiunge la mia; la stringe, poi bacia il dorso. Si è fatto tutto così silenzioso e calmo all'improvviso: è la nostra solita bolla che ci stacca dal mondo, dalla guerra, è quando siamo solo noi, senza nessun altro, senza nessun obbligo, quando mi perdo nei suoi occhi e tra le sue braccia, quando mi dimentico anche il mio nome, quando esiste solo lui.

Mi accarezza una guancia, continua a guardarmi come se fosse la prima volta che siamo così vicini. Si piega in avanti, appoggia la fronte sulla mia, chiudo gli occhi; il materasso cigola, Erix si sposta fino a sedersi accanto a me e stringe la mano che mi è rimasta nella sue, l'altra la tengo ciondoloni lungo il corpo.

«Vivi» sussurra.

«Cosa c'è?» gli chiedo riaprendo gli occhi.

Sorride, sposta le mani sulle mie guance, mi bacia la fronte. Sono questi piccoli gesti che mi hanno convinta che stavolta sia cambiato veramente.

«È da quando eravamo sull'At5 che non ti ho mai detto una cosa».

Mi sposto fino a sedermi a cavalcioni su di lui, l'abbraccio, appoggiando la testa nell'incavo della sua spalla. «Potrebbe essere la tua ultima occasione, lo sai?»

Ai confini del vuoto 1 - Progetto MinervaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora