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«Sicura di stare bene? Hai continuato ad agitarti».

Mi metto a sedere, scuotendo la testa. Ho dormito poco e male, sento dolore ogni arto del corpo; non riesco a tenere gli occhi aperti.

Axel appoggia una mano sulla mia spalla. «Chi era la persona che è scesa prima di te? Non l'ho mai vista».

«Reesha Orlan, sorella del re e madre di Brunnos».

«Non mi ha detto niente, mi ha solo guardato. Mi ha chiesto aiuto... ha più paura per te che per lui».

«Non ho tempo per questi discorsi» gli dico alzandomi. Non appena faccio tre passi, le gambe non mi reggono. Cado a terra, tirando giù con me un taccuino che avevo appoggiato sulla mensola.

«Tu non stai bene, Vivi» mormora Axel sollevandomi. «È bene che tu non venga al processo, parlerò io al posto tuo».

«Sto bene. Ho solo bisogno di mangiare».

«Ti conosco: tu non rifiuti una tazza di tè a cena se non stai bene. Senza contare che sono ol che mangi il minimo, in silenzio. Fammi un piacere, Vivi: fatti una passeggiata, ma non azzardarti a venire al processo. Me la vedrò io con la faccenda burocratica per una volta, ma davvero. Distraiti».

«Non ho scelta, vero?»

«Esatto».

Abbasso lo sguardo, annuendo piano con la testa. «Guarda solo di non combinare danni».

Rimango sul letto per non so quanto tempo, decidendomi ad alzarmi quando sento lo stomaco gorgogliare.

È strano essere in giro, essere in mezzo alle persone, ma non riesco a fare quello che Axel mi ha chiesto: stare qui, con una busta accartocciata, macchiata di olio e zucchero, tra le mani, non mi aiuta a non pensare. Stare qui, a osservare le piccole onde sulla superficie del lago, non fa altro che farmi stare peggio: continuo a ricordarmi di quando l'Atlantis era davvero casa mia, di quando mi divertivo a inseguire gli animali sulla riva, evitando di bagnarmi le scarpe. Il sapore dolciastro di quel che ho appena mangiato continua a impastarmi la bocca. Sto bene. Dovevo solo mangiare.

Continuo a guardare l'ora, continuo a pensare a quel processo: mentre venivo qui, sembrava che a nessuno importasse davvero. È come se il governo dell'Atlantis fosse staccato dai cittadini: nessuno ne parlava, nessuno rammentava la guerra.

Mi alzo dalla panchina, gettando nel primo cestino che trovo la busta, avvicinandomi il più possibile alla riva: non c'è nessuno adesso, ma essere da sola con i miei pensieri mi spaventa. Vorrei solo poter fare altro, poter lasciare per sempre questo posto. Forse sarebbe stato meglio se fosse successo quel che originariamente era stato detto nel nostro accordo.

Continuo a camminare, con lo sguardo basso e le mani in tasca; la sinistra stringe quelle poche monete di chronocrediti che ho deciso di portare con me. Non ho idea di cosa possa fare – la città è cambiata e io non ero qui, riconosco a malapena alcune zone e se sono arrivata qui al lago senza perdermi è stato un caso. Rigiro quei soldi tra le dita – potrei prendere un altro dolce, potrei prendermi una tazza di tè.

***

La sentenza è stato un nulla di fatto: i due avvocati sono riusciti a convincere anche il consiglio a non condannare nessuno. Rimarranno come prigionieri, ma nessuno verrà messo a morte. Leggere quel messaggio è stato difficile: ci ho sperato, ci credevo in una condanna, ma, a quanto pare, con i loro soldi niente è impossibile. Si sono pagati i migliori avvocati pur di sopravvivere.

Sono già passati cinque ol dal processo e non abbiamo ottenuto nulla se non il tornare in una posizione di stallo e adesso Brunnos potrebbe pure rivoltarci contro l'intero popolo: il re non è qui, quindi lui sarebbe il capo politico adesso e noi non saremmo in grado di contrastarli – a quel punto credo che una fuga precipitosa sarebbe l'ideale.

Ai confini del vuoto 1 - Progetto MinervaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora