CAPITOLO 7

1 0 0
                                    

Ero basita. La bottiglia mi cadde di mano, ma non si ruppe. Rotolò verso il bordo del marciapiede, e io mi precipitai a raccoglierla, raccoglierlama un'altra mano mi anticipò, una mano piuttosto grande e decisamente maschile. E mentirei se negassi che l'involontario sfioramento di mignoli mi provocò una specie di brivido, simile a quello indotto dalla crema per la modificazione temporanea delle impronte digitali del dottor Fibs (ma decisamente più piacevole).

Mi alzai, il ragazzo mi allungò la bottiglia. La presi.

"Ehi, ciao." Aveva jeans larghi e a vita bassa, e una mano totalmente sprofondata nella tasca che mancava ppco che i pantaloni gli scivolassero sui fianchi e andassero a raccogliersi intorno alle Nike scintillanti, troppo bianche, da primo giorno di scuola. "E così, vieni spesso da queste parti?" chiese, con un pizzico di autoironia nella voce. Non potrei trattenermi, sorrisi."Non serve neanche che rispondi, sai. Conosco tutti i cestini della città, e anche se questo è molto carino, non è esattamente il tipo di cestino in cui di solito va a rovistare una ragazza come te." Aprii la bocca per protestare, ma lui continuò. "I cestini au Seventh Street, invece, quelli sì che sono veramente belli."

Mi tornò in mente la prima lezione del professor Solomon, quindi osservai i dettagli: era altro circa un metro e settantacinque, avevo i capelli castani ondulati, e occhi da fare invidia perfino a Solomon. Ma la cosa che più mi colpì fu la naturalezza del suo sorriso. Non ne parlerei se non fosse che sembrava dare carattere a tutto il volto - agli occhi, alle labbra, alle guance. Non era un sorriso a trentadue denti o che. Era un sorriso semplice e tranquillo, morbido come burro.

Ma per dirla tutta, non ero il più imparziale dei giudici. In fondo stava sorridendo a me.

"Non dev'essere una bottiglia qualsiasi" disse (sempre sorridendo, naturalmemte)

Mi resi conto dell'assurdità della scena. Al calore di quel sorriso, mi dimenticai della leggenda, della missione - di tutto - e sparai la prima cosa che mi passò per la mente: "È per la gatta! "

Lui sollevò le sopracciglia, e già me lo vedevo tirar fuori il cellulare per segnalare al più vicino isituto psichiatrico che giravo incustodita per Roseville.

"Le piace giocare con le bottiglie" farneticai, parlando a cento all'ora. "Ma quella che aveva si è rotta, e le si è pure infilato un pezzo di vetro nella zampa. Suzie! Così si chiama la mia gatta... quella del vetro nella zampa... non che me abbia altre... di gatte, intendo, non di bottiglie. Per questo mi serviva la bottiglia. Non sono neanche sicura che la voglia, sai, per via del..."

"Trauma del vetro nella zampa" finì lui per me.

Inspirai, felice di poter riprendere fiato. "Appunto."

Sì, è proprio così che si comporta un agente segreto accuratamente addestrato quanto viene intercettato durante una missione. In un certo senso credo che il fatto che l'intercettatore fosse una via di mezzo tra George Clooney da giovane e Orlando Bloom possa aver avuto un qualche peso (se fosse stato un incrocio tra il signor Clooney e, per dire, uno hobbit, probabilmente sarei stata molto più capace di pensieri coerenti).

Con la coda dell'occhio vidi il furgone della Overnight Express svoltare in un vicolo. Ne avvertivo la presenza, si era fermato ad aspettarmi, per cui mi voltai e feci per avvicinarmi, ma il ragazzo disse: "Quindi, abiti a Roseville da poco, eh?" Mi girai di nuovo verso lui. Non temevo che il professor Solomon si sarebbe attaccato al clacson per dirmi di sbrigarmi, ma sentivo comumque la sua frustazione e il ticchettio del suo orologio perfino attraverso il ricetrasmettitore guasto.

"Io...ehm, come fai a saperlo?"

Lui alzò le spalle e poi abbassò di due o quattro centimetri, spingento ancora più giù le mani nelle tasce. "Vivo a Roseville da una vita. Tutti quelli che conosco vivono a Roseville da una vita. E non ti ho mai vista prima."

VORREI DIRTI CHE TI AMO MA POI DOVREI UCCIDERTIWhere stories live. Discover now