CAPITOLO 13

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Le spie sono sagge. Le spie sono forti. Ma, sopratutto, le spie sono pazienti.

Aspettammo due settimane. DUE SETTIMANE! Avete idea di quanto siano lunghe per una ragazza di quindici anni? Molto. MOLTO, molto lunghe. Cominciavo a capire tutte quelle donne che parlano di orologio biologico. Voglio dire, lo so che le lancette del mio ne hanno ancora tanti da compiere, ma passavo ugualmente ogni minuto libero a rimuginare preoccupata sull'Operazione Josh, e in una scuola di spionaggio per geni i minuti liberi sono preziosi come l'oro. Posso solo immaginare l'angoscia di una ragazza che va a una scuola normale, e che di certo non passa il sabato sera ad aiutare la sua migliore amica a infrangere i codici di protezione dei satelliti spia degli Stati Uniti (Liz ha poi spartito con me i crediti extra che le ha assegnato il professor Mosckowitz; il premio in denaro offorto dall'NSA, però, se l'è tenuto). Eravamo nella classica fase di attesa: raccoglievano informazioni, mettevamo a punto il profilo di Josh e la mia leggenda, pazientemente finché non ci fossimo procurate tutto quello che ci serviva per passare all'attacco.

DUE settimane così. DUE SETTIMANE! (Nel caso non si fosse ancora capito.) Poi, come fanno tutti i bravi agenti sotto copertura, cogliemmo l'occasione buona.

Martedì, 1 ottobre. Il Soggetto riceveva un'e-mail Dillon, nome utente "D'Man", che gli offriva un passaggio dopo gli allenamenti. Il Soggetto rispondeva che sarebbe tornato a casa a piedi, perché doveva riportare alcuni video da "AJ's" (negozio situato nella piazza del paese, che noleggia film è videogame).

Guardai l'e-mail che Bex mi face scivolare davanti, sul tavolo della colazione.

«Stasera entriamo in azione» sussurrò.

Durante la lezione di Operazione Sotto Copertura onestamente faticavo a stare al passo nel prendere gli appunti. Joe Solomon è un genio, pensavo, domandandomi come avevo fatto a non capirlo prima.

«Imparate le vostre leggende in fretta. Imparatele bene» ci ammonì chinandosi in avanti, con le mani sulla spalliera della sedia su cui non l'avevo mai visto sedersi. «La frazione di secondo in più che ci mettete a ricordare qualcosa che la vostra identità di copertura non può non sapere è una frazione di secondo in cui gente molto crudele può fare cose molto crudeli.»

La mano mi tremava. La penna riempiva si segni ogni centimetro del foglio, come quella volta in cui avevo preso una matita dall'aula del dottor Fibs, per poi scoprire che non si trattava di una normale matita, ma di un prototipo di un nuovo traduttore automatico del codice Morse (e confesso di sentirmi ancora in colpa per averla temperata).

«Sopratutto, ricordate che operare sotto copertura non significa avvicinare un soggetto.» Il professor Solomon ci fissò. «Significa fare in modo che il soggetto avvicini voi

Non so come sia per le ragazze normali, ma se sei una spia, vestirsi per uscire può diventare un'impresa (lasciatemi solo ringraziare il cielo, e di cuore, per l'esistenza del velcro. Non mi meraviglia davvero che la Gallagher Academy l'abbia inventato).

«Continuo a penasare che avremmo dovuto legarle i capelli» disse Liz. «Le avrebbe dato un aspetto più glamour

«See» le sbeffeggiò Macey «perché è piena di ragazze glamour, la piazza di Roseville.»

Non aveva tutti i torti. A me personalmente non importava, il che era piuttosto buffo dal momento che si trattava dei miei capelli eccetera, ma avevo un'infinità di altre cose per la testa, non ultima delle quali l'arsenale di oggetti che Bex stava sparpagliando sul letto davanti a me. Non che li vedessi molto bene, in realtà, perché Macey mi stava truccando e continuava a dire "guarda in su" o "guarda giù" o "ferma, non ti muovere".

Quando non abbaiava ordini, mi dava consigli tipo: "Parla, ma non troppo. Ridi, ma non troppo forte." E il mio preferito: "Se è più basso di te, curvatura".

Poi Bex perse il controllo. «Ora passiamo all'oggettistica da tasca.» (Un'espressione che non si sente tutti i giorni, a meno di non essere... be'... noi.) «Non hai ancora sedici anni, quindi la carta d'identità non è necessaria, ma dobbiamo comunque rafforzare la tua copertura.» Si girò e cominciò a passare in rassegna gli oggetti sul letto. «Prendi questo.» Mi lanciò un pacchetto di chewing gum della stessa marca che avevamo trovato nella spazzatura di Jody. «Così fai vedere che avete gli stessi gusti, e in più ti risolve il problema alito.» Riprese a esaminare il letto. «Che cosa abbiamo deciso, borsetta si o no?» chiese, rivolgendosi al gruppo.

«La borsetta ci vuole» disse Macey, e Bex di d'accordo. Non potevo crederci! Macey e Bex si stavano alleando... sugli accessori! La vita è proprio piena di sorpresa.

Bex prese una borsa e la aprì. «Biglietto del cinema staccato. Se ti chiede se il film ti è piaciuto, dì solo... "Sì, ma il finale non mi ha convinto".» Lasciò cadere il talloncino nella borsa e prese un altro oggetto. «Occhiali binoculari. Non dovresti averne bisogno stasera, naturalmente, ma è meglio averli a portata di mano.» Buttò qualcos'altro nel nostro sacco delle bugie poi aggiunse il tocco finale: una penna a inchiostro liquido con la scritta Che cosa farebbe Gesù? Chiuse la borsa con un sorriso compiaciuto.

Non avevo idea di dove Bex avesse preso tutta quella roba, e a dire il vero non volevo saperlo. Ma guardando le cose che dovevo portarmi dietro e pensando alle cose che dovevo ricordare, non potei fare a meno di chiedermi: ma è così per tutte? Tutte le ragazze quando escono per un incontro romantico sono in realtà sotto copertura?

«E, non dimenticare...»

Davanti ai miei occhi, appeso alla sua catena, dondolava avanti e indietro il crocifisso d'argento.

«È rotto» obiettai. «Non funziona da quando l'acqua del dunk tank l'ha mandato in cortocircuito, e comunque non riuscireste a ricevere il segnale, per via del banner.»

«Cammie» disse Bex, sospirando. «Cammie, Cammie, Cammie... stiamo parlando della tua leggenda.» La croce continuava a dondolare. «È un elemento essenziale.»

Aveva ragione. Una volta. oltrepassato il muro di cinta, dovevo smettere si essere me stessa e cominciare a essere quell'altra persona, la ragazza con l'istitutore privato che portava al collo quel ciondolo e...

«State scherzando, spero!» sbottai. Troppo tardi: Liz era già sulla soglia con in braccio Onyx.

E io che pensavo che la faccenda fosse complicata già prima che mi costringessero ad abbracciare il gatto con passione per creare quell'effetto peli-ovunque tipico degli animali dei felini.

Ho sempre pensato che essere una spia fosse difficile. Ora saltava fuori che la vera sfida era essere una ragazza qualunque.

Mi accompagrarono al piano di sotto, fino al più remoto dei passaggi segreti.

«Hai controllato la torcia?» chiese Liz, nel modo in cui nonna Morgan mi chiede sempre "Hai preso il biglietto?" ogni volta che mi portano all'aeroporto. Che carina! Avrei voluto che venissero con me, ma ogni spia impara presto che per quanto abile sia la sua squadra, arriva il momento in cui deve proseguire da sola.

Mentre andavamo Macey disse: «Ancora non capisco come farai a uscire e rientrare senza farti scoprire».

Sembrava sinceramente sconcertata, ma io sapevo quel che facevo. Un giorno forse scriverò una guida sulla Gallagher Academy. Credo che potrei racimolare una fortuna vendendolo alle novelline. Rivelerò trucchi quali: come aprire, scuotendola appena, la porta del ripostiglio del custode, nella scala ovest, e lasciarsi scivolare lungo la conduttura fino alla dispensa (come tornare indietro lo lascio scoprire a voi). Oppure il trucco del pannello si legno in fondo alla Scala di pietra della vecchia cappella. Se lo si preme tre volte si apre, e da lì ci si può calare dal soffitto in qualunque stanza delle'ala nord (ma ve lo sconsiglio se i ragni vi mettono anche solo un brivido di paura).

«Lo vedrai, Macey» le dissi mentre svoltavamo nel lungo corridoio di pietra con il vecchio arazzo color rubino che pendeva solitario sulla parete fredda. Guardai l'albero genealogico della famiglia Gallagher, poi Macey. Lei non badò al pedigree, non vi cercò il proprio nome né fece domande; disse soltanto: «Sei carina», e io quasi svenni per l'emozione.

Sollevati l'arazzi e sgattaiolai dentro, proprio mentre Bex diceva «Vai e colpisci!»

Ero già nel tunnel quando Liz mi gridò dietro: «Ma non per davvero

VORREI DIRTI CHE TI AMO MA POI DOVREI UCCIDERTIWhere stories live. Discover now