Capitolo II

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Roma. Primo giorno di università, sono qui davanti alla facoltà di legge e ancora una volta non so prendere una decisione su quale sia il corridoio giusto da prendere per arrivare a lezione. Destra o sinistra? Sinistra! No no anzi destra.. Faccio la conta! Si dai faccio la conta. E penso proprio che sono una bambina, mi metto ancora a fare la conta! E mentre Paperino cerca di scegliere chi la spunterà fra i due corridoi, sento una mano che si poggia decisa sulla mia spalla. Sussulto, e non capisco più quale dei due corridoi la stava spuntando. Mi volto, e vedo accanto a me un ragazzo, è alto, ha gli occhi verdi e i capelli castani, ricci e spettinati, porta gli occhiali da vista appesi alla tasca della giacca, forse perché si vergogna a portare quella montatura che non gli dona più di tanto, o forse perché ci vede benissimo e vuole sol dare l'impressione dell'universitario intellettuale. È bello, ma è di quelli che sono belli ma non sanno di esserlo. Sorride e quel suo sorriso mi da fastidio, è spavaldo e si prende gioco di me, come se lui sapesse già tutto della vita.

"Che c'è? Ti sei persa baby?" e ride, e non capisco cos'ha da ridere. È la prima volta che vengo qui.

"No, non mi sono persa. E comunque non sono affari tuoi. Chi sei e che vuoi?" Rispondo a tono e mi sento figa. "Ma guarda questo sbruffone!" Penso, e dieci minuti dopo sono lì, accanto a lui, corridoio destro, e di lui so già tutto: Stefano Corsi, 20 anni, secondo anno di università, studia legge, è il padre che ha voluto così, lui voleva fare il pittore. Allora penso che è uno che non sta coi piedi per terra, è un sognatore, e penso che quelli così sono i peggiori, riescono a fatti illudere che c'è qualcosa di veramente bello in questo mondo per cui valga davvero la pena vivere, riescono a illuderti che le cose possano cambiare, e riescono a farti innamorare.

Ci separiamo, io vado alla mia lezione e lui alla sua, e quando sto per entrare nell'aula mi urla "chiamami se ti va!" Allora gli dico che non ho il suo numero e lui mi risponde che non importa, mi basta urlare il suo nome, ovunque io sia.

Penso che è un matto, si è matto, non ha senso, no e allora perché sto qui fuori a urlare il suo nome?

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