Capitolo V

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Raggiungo Carlo alla fermata della metro, sono ore che mi aspetta dice, ma io non ci credo, è sempre il solito ritardatario e vuole farmi sentire in colpa perché per una volta quella in ritardo sono io. Sorrido e mi scuso come ci si aspetterebbe da una come me, cerco di giustificare il mio ritardo farfugliando qualcosa, ma Carlo mi interrompe subito, ha qualcosa di più importante da mostrarmi, allora gli domando: "qual'è la novità del giorno?" Mi guarda, ha gli occhi che luccicano, allora toglie lo stravagante cappello verde dal quale non si separa mai, e mi mostra il suo nuovo colore di capelli: rosa. Resto lì a fissarlo per qualche secondo e penso che è pazzo, come gli viene in mente di fare una cosa simile? E poi mi rispondo che lui ha coraggio, lui ha il coraggio di fare quello che vuole e di fregarsene del pensiero altrui. Lui ha coraggio, io no. Lui è lo stravagante ragazzo gay dal capello rosa, io una delle tante comuni ragazze dai capelli castani. Lui ha posto di rilievo in questa società, io no, faccio parte dello sfondo.

"Sei un pazzo!" continuo a dirgli, "e adesso i tuoi cosa diranno? Tuo padre ti ucciderà!" e adesso anche lui si fa serio: "appunto" comincia, "volevo parlarti proprio di questo, ecco dopo questa cosa dei capelli, mio padre ha detto che non vuole più vedermi.. 'Un uomo così tanto rispettato e stimato non può avere un figlio gay e per di più coi capelli rosa' ha detto.."

"Mi dispiace Carlo, davvero!" cerco di consolarlo, ma come al solito non trovo le parole.

"Tranquilla, davvero sto bene, ho solo bisogno di un posto dove dormire e mi chiedevo se per qualche notte potevo restare da te, giusto il tempo di trovare una sistemazione.."

"Ma certo che puoi, non c'è problema" rispondo e lui mi abbraccia, e sento che quell'abbraccio sta per trasformarsi in lacrime, allora lo stringo più forte, cerco di non farlo sentire solo. Vorrei dirgli che so come si sente, vorrei dirgli che io dei miei genitori ricordo a malapena il volto e che riesco a vederli solo a Natale e a Pasqua, quando forse ricordano di avere una figlia, vorrei dirgli che so esattamente cosa significa sentirsi solo. Vorrei dirglielo, ma non glielo dico, vorrei ma non voglio angosciarlo e allora come sempre mi tengo tutto dentro, lo guardo e sorrido. Andiamo sotto il nostro albero, l'albero che sa più cose su di noi di quanto ne sappiamo noi stessi probabilmente. Carlo si accende una canna e mi chiede se ne voglio anch'io, sa già che gli risponderò di no, e invece stasera mi sento viva, mi sento coraggiosa, voglio provare, non mi importa se per qualche ora sarò stupida o piangerò. Stiamo tutta la notte la, sotto il nostro albero a raccontarci, parliamo, parliamo, parliamo senza smettere un secondo, non deve esserci spazio per i pensieri, i pensieri portano tristezza e io stasera non voglio essere triste.

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