Capitolo VIII

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7.45 la sveglia puntuale come al solito ha interrotto il mio sogno proprio quando stava per succedere qualcosa. La guardo infastidita come a dirle "perché almeno una volta non mi fai finire di fare questo benedetto sogno, perché?". Anche la sveglia è ingiusta.

Mi alzo comunque di buonumore, Stefano dice che oggi devo dare colore alla mia vita, non so cosa intenda con "andiamo a dare colore alla tua vita", ma mi sono svegliata con un sorriso da ebete che non sono ancora riuscita a rimuovere. Sarà lui che mi fa questo effetto.

Corro davanti all'armadio, non so cosa mettere. Cerco disperatamente qualcosa di colorato voglio dimostrargli che la mia vita è colorata, eccome. Incredibile, non ho nulla, nulla che non sia nero o beige. Non mi ero mai accorta di non avere nessun abito colorato, nessuna maglietta. Ancora una volta ha ragione lui.

Sono le 9.03 scendo dalla metro e scatto in facoltà, lui è già lì.

"Sei in ritardo signorina! Il tuo è un caso disperato!" mi fingo un po' arrabbiata e faccio per entrare in facoltà.

"Ei ei ei, dove scappi? Non sarà mica una noiosa lezione di routine a dare colore alla tua vita!"

Sa già che non opporrò resistenza e lo seguirò. Mi conosce troppo bene, uno sconosciuto mi conosce meglio di quanto mi conosca io stessa.

"Ti avviso già da ora, niente tatuaggi o roba simile!"

"Tranquilla, niente tatuaggi questa volta!"

"D'accordo! Allora dove mi porti?"

"La regola è niente domande!"

Prendiamo la metro e scendiamo a Termini, e mentre scendiamo, per la prima volta faccio una cosa strana, mi metto a fissare la gente. La osservo in una maniera così sfacciata che non mi appartiene per niente, come se non mi importasse del fatto che potrei passare per una psicopatica che fissa la gente. Sorrido, quella ragazza col giaccone rosso ha un'aria un po' confusa, forse le squilla il cellulare, probabilmente sarà il suo ragazzo troppo arrabbiato per le 20 chiamate precedenti a cui lei distrattamente non ha risposto, o sarà la madre un po' troppo apprensiva, che chiama da chissà dove per essere certa del fatto che sua figlia stia bene e mangi. La ragazza agita le mani nella borsa alla ricerca di quel cellulare che non riesce a trovare, le cade un pezzo di carta, si china a prenderlo e alza gli occhi al cielo, questa probabilmente sarà l'ennesima chiamata persa.

Una mano si agita davanti al mio viso, "Oh ci sei? Pianeta Terra chiama Azzurra!". Ah già Stefano, mi ero quasi dimenticata! Torno alla realtà.

"Si scusa ero soprappensiero!"

"Eh, me ne sono accorto!" scuote la testa, non c'è proprio nulla da fare con me, sono un caso perso.

Ho perso di vista la ragazza dal giaccone rosso.

"Allora? Dove andiamo?"

Mi prende per mano. "Ti porto in un posto speciale!"

Facciamo un po' di strada a piedi, e dopo circa 10 minuti, svoltiamo l'angolo e arriviamo in un posto stranissimo, pieno di gente che canta, suona, recita, balla o pratica un qualsiasi tipo di arte.

"Benvenuta nel quartiere degli artisti!" Esclama soddisfatto.

"Che posto è questo? Sembrano tutti matti. E poi che ci facciamo noi qui?"

"Non senti la magia? Lasciati trasportare dall'arte, sciogliti!"

Sono nell'imbarazzo più totale, mi guardo intorno ed è come se tutti fossero complici fra loro e stessero cercando di mettermi in difficoltà più di quanto io non lo sia già. Hanno un atteggiamento come a dire, "Non puoi capire" e io odio non poter capire. È come se questa gente vivesse in un mondo a parte, diverso dal mio in cui vengo totalmente ignorata. Non so cosa fare, mi guardo intorno alla ricerca di un paio di occhi che mi siano familiari, dov'è finito Stefano? Ecco ci mancava solo questa! Io in un posto sperduto di cui non conosco neanche il nome, da sola e con gente a dir poco bizzarra. Mi sembra di stare in un incubo.

Proseguo ancora un po' dritto, Stefano non potrà essersi allontanato di molto. Nulla, l'ho cercato ovunque. Questo posto è un labirinto. Un ragazzo mi tira a se', è buffo, siamo in pieno inverno e porta i sandali, strano! Ma infondo cosa c'è di normale in questo posto?! Mi fa ballare, e io non so ballare. Cerco di liberarmi, c'è molta gente attorno a me è non mi va di far vedere a tutti che non sono capace. Non mi molla, non importa dice, devo lasciarmi andare. E io ci provo, ma sono sempre lo stesso tronco di legno, proprio non ci riesco. Stefano! Finalmente l'ho trovato. Ha un'aria divertita, ride e si avvicina.

"Vorrei sapere che ti ridi!" gli dico infastidita.

"Tu.."

"Mi porti in questo strano posto, mi lasci da sola in mezzo a tutti questi sconosciuti, mi ritrovo costretta a ballare con questo strano tipo e tu ridi!"

"Fa tutto perte del piano! Adesso mi odi, un giorno mi ringrazierai!" tiene in mano due lattine di birra e fa per porgermene una.

"Non credo arriverà mai questo giorno! E non bevo queste robe che rovinano lo stomaco!" lo scanso.

"Certo che sei davvero incredibile tu! Dici di avere una vita 'abbastanza colorata' e poi fai tante storie per un sorso di birra! Non ce la farò mai con te!" dice con la testa fra le mani.

"Guarda che nessuno ti ha chiesto niente eh! Io ci sto benissimo in questa vita 'senza colori' come la chiami tu!"

"Ei ei calma signorina! Come siamo suscettibili oggi!"

"Cosa ci vuoi fare, sono senza speranze! Anzi vado via da questo posto che sto solo perdendo tempo, non c'entro niente io con questa gente." faccio per andarmene.

Mi afferra per il braccio "Eh no, non te ne vai. La vuoi smettere di scappare da ciò che è diverso da te? Esci da questo guscio. Sperimenta, divertiti, sbaglia, cadi, rialzati, ma non restare lì ferma a guardare, vivi! Sii partecipe della tua vita, non spettatrice. Resta, conosci il mio mondo."

"Eh perché dovrei farlo? Perché dovrei uscire da questo guscio in cui sto così bene?"

"Perché non stai bene! I tuoi occhi sono tristi, spenti, tu non stai bene cazzo! E non dire che non è così, a me fesso non mi fai."

"Ma chi ti credi di essere tu? Pensi che basti avere un sogno, gli occhi verdi e uno strano taglio di capelli per sapere tutto? Pretendi di conoscermi così bene, tu di me non sai proprio nulla."

"Azzurra.."

"Si quello è il mio nome!"

Faccio per andarmene, Stefano mi afferra per un braccio.

"Aspetta!" dice quasi sottovoce.

"Devo andare." Scanso la sua mano e il mio braccio si scopre un po'.

"Cos'hai?"

"Nulla."

"Fammi vedere quel braccio!"

"Ho detto che non ho nulla."

Mi tira a se' è scopre il mio braccio. Sento le lacrime riempirmi gli occhi, le gambe cedere, il suo sguardo puntato sul mio braccio. Non riesce a crederci, lo vedo da come mi guarda.

"Perché lo fai?"

"Che importa! Sono una depressa del cazzo. Una perdente." Tiro giù la manica e mi siedo per terra, non mi importa se è sporco. che mi intacchino pure tutti i germi di questo mondo.

"Non lo sei." Si siede accanto a me.

"Non voglio parlarne ok?"

"Non voglio che tu lo faccia."

"Non mi sento bene, torniamo a casa per favore!"

Sono a casa. Mi gira la testa, il mio mondo sta cadendo a pezzi. Dov'è finito il mio guscio? Non doveva saperlo, cazzo non doveva. Piango. Inserisco il cd nello stereo, i Coldplay cantano "Fix you", aumento il volume al massimo, piango. Sul tavolo c'è un coccio del vaso che si è rotto due giorni fa, lo prendo, lo guardo. Non farlo mi dico, non farlo! Corro in bagno, il lavandino si macchia di rosso, il bruciore assale le mie braccia. Sento il corpo indebolirsi e la testa fare giri assurdi, raggiungo il letto, mi stiro e stringo il cuscino. L'ho fatto di nuovo.

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