CAPITOLO.3

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La mattina inizia meravigliosamente, è venerdì e la settimana sta quasi per finire, oggi non ho molto da fare, ho pochissime ore di lezione e la prima, come se non bastasse, inizia alle 9.00, quindi facendo due calcoli ho un'altra ora buona prima di chiudermi nelle solite aule. Ne approfitto per andare a fare quattro passi nel parco accanto all'università, scendo dal letto e metto qualcosa di pesante anche perché la giornata non promette bene. Dopo 5 minuti di cammino finalmente arrivo, gli alberi spogli rispecchiano il mio stato d'animo, spogli della loro chioma come io dei miei sentimenti. Quando ad un certo punto vedo una bambina che grida << Mamma!! >>.

Mi ritorna in mente una sagoma: una ragazzina di 12 anni, capelli neri, con occhi e guance rosse rigate da una marea di lacrime che scorrono su quel viso impaurito e sporco di sangue, concentrata a svegliare la mamma, da quel che lei considerava un sonno profondo. Ecco quella ero io il giorno in cui tutta la mia vita si fermò, il giorno in cui svanirono le mie uniche certezze: i miei genitori. E tutto questo solo ed esclusivamente a causa mia. Se la zia non avesse chiamato me per chiederci a che ora arrivassimo  e se io non avessi mai passato quello stupido cellulare a mio padre, lui sarebbe stato più attento e non sarebbe andato a sbattere frontalmente contro quel tir, tanto grande e tanto potente rispetto alla nostra macchina piccola e fragile. Fummo scaraventati tutti quanti fuori dalla macchina mio padre morì sul colpo, mentre mia madre si ritrovò giacente per terra proprio vicino a me, con il dolore che mi risaliva in tutto il corpo, una forza che pensavo di non avere mi diede la spinta di gridare << Mamma!! >>un'ultima volta prima di perdere i sensi e risvegliarmi successivamente in ospedale...

Ma qualcosa di bagnato mi riporta subito alla realtà, piccole goccioline mi colpiscono il volto. Bene! sta piovendo ed io come al solito non ho portato con me l'ombrello. Mi rifugio nell'unico posto in cui la pioggia non può sfiorarmi, una tettoia al di fuori del parco che volge direttamente su una strada trafficata. La prima macchina che passa prende, come se il destino stesse giocando contro di me, una pozza d'acqua e subito una doccia sporca è assicurata, maledicendo chiunque fosse il guidatore. In queste condizione vorrei solamente sprofondare senza vedere nessuno, ma come al solito il destino..... Passa una seconda auto che si ferma proprio avanti a me e abbassa il finestrino << Hei bellezza, a quanto vedo anche questa volta il tuo equilibrio ha giocato un brutto scherzo.. >> ecco il ragazzo della palestra...

<< Bhe se tu avessi un minimo di cervello capiresti che questa volta non sono caduta, sono solamente quelle stupide persone al volante che non sanno di dover stare attenti ad una ragazza, da sola, su un marciapiede, mentre piove>> dico tutto d'un fiato.

Il ragazzo per me sconosciuto inizia a ridere e commenta dicendo << Vedo che la lingua per parlare non ti manca, hai detto più tu in due secondi, che un telegiornale in onda da un'ora, comunque se vuoi posso offrirti un passaggio...>>. Non ho mai visto nessuno prenderti in giro e due secondi dopo essere tanto cordiale da offrirti un passaggio, forse tra tutti e due la strana sono io, ma non sono tanto sicura di accettarlo quindi << Mi spiace, ma non ti conosco e di solito non accetto nulla dagli sconosciuti.. >>esordisco in tono abbastanza infastidito.

<< calma! era giusto per essere gentile e per la cronaca io sono Devid, evidentemente la tua mente è ancora ferma alla tipica frase della mammina "NON ACCETTARE NULLA DAGLI SCONOSCIUTI" >> ironizzando ancor di più la frase facendo le gesta delle virgolette con le sue mani.

A quell'ultima affermazione la mia testa va in tilt, i miei occhi diventano rossi e carichi di lacrime e passa avanti a me tutta una vita cercando di nascondere il dolore che provo dentro. Devid non fa in tempo a rispondere vedendomi in quelle condizioni perché io scappo, non sento niente ne il freddo della pioggia, ne la voce di David che dice << scusa, cosa ho detto di male? >> e  ne le lacrime che stanno scendendo sul mio viso, sento solamente: DOLORE, il dolore di una vita. 

Corro, corro e ancora corro fin quando finalmente non raggiungo la mia stanza, dove con mia grande sorpresa trovo le mie due coinquiline.

<< Voi non avevate lezione a quest'ora? >> dico singhiozzando e loro con la preoccupazione che si legge negli occhi non badano alla mia domanda e chiedono in coro << Elis, cosa è successo? >>. Non  ho intenzione di parlare con nessuno, voglio solamente stare sola con i miei pensieri e con i miei ricordi, voglio rilassarmi sotto un getto di doccia calda e dopo voglio uscire a prendere un caffè, ormai è troppo tardi per andare a lezione e poi non avendo mai saltato un giorno posso anche concedermene uno di riposo. Riesco dalla stanza senza rispondere e chiudendo la porta, facendo finta che quell'incontro non fosse mai avvenuto.

l'odio dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora