osservai attentamente il volto annoiato di Gregor, che imperterrito stringeva il mio polso, camminando a passo lento.
<se smettessi di guardarmi, te ne sarei grato> disse l'uomo al mio fianco, con un filo di ironia.
senza fare storie, tornai a guardare nuovamente il corridoio, scrutando bene in quale direzione stessimo andando.
la distanza tra me e la mia stanza aumentò notevolmente, ormai giunti alla numero 654.
ero visibilmente confuso.
<oggi hai visite, non te ne ha parlato il dottor Jeon?> mi chiese, vedendomi abbastanza titubante.
<visite?> quelle parole uscirono quasi come un sussurro.
<si, qualcuno è venuto a trovarti, forse un parente.> continuò con il sorriso sulle labbra, speranzoso che quella visita potesse farmi piacere.
<non ho parenti> parlai con un tono un po' troppo freddo per il suo attuale stato d'animo.
in verità, non ho mai avuto una vera famiglia, qualcuno che mi sostenesse nei momenti più brutti, o semplicemente per le piccole gioie della vita.
sono sempre stato messo in quell'angolo buio della stanza, dove tutti evitano di andare per paura di trovare qualcosa di spiacevole.
ma in realtà, l'unico ad avere paura ero proprio io.
<penso sia meglio tu vada a controllare di persona> afferrò la mia mano con la delicatezza di un padre intento a consolare un figlio, mentre nei suoi occhi riuscì a percepire la sincerità nel fare tale azione.
mi limitai ad annuire, non sapendo come comportarmi di fronte a quel gesto, così sconosciuto ai miei occhi.
in men che non si dica mi ritrovai dentro a una stanza, le pareti erano rovinate, così come i vari tavolini in legno presenti dentro ad essa.
i miei occhi andarono da una parte all'altra cercando di intravedere qualcuno che fosse familiare ad essi, ma nessuno.
I tavoli vuoti erano davvero pochi, soltanto tre per la precisione.
la restante parte era occupata da persone intente ad abbracciarsi per la troppa tristezza, chi a parlare del più e del meno dopo anni di assenza, mentre altri, piangevano nella speranza che qualche Dio perdoni i loro peccati.
<Kim, siediti> mi ordinò Gregor, cercando di mantenere quel tono severo di fronte ai suoi colleghi.
<se hai bisogno di me, sono vicino alla porta> continuò, per poi allontarsi a passo spedito.
mi voltai di scatto, troppo curioso per rimanere ad osservare il pavimento.
le mie labbra si schiusero involontariamente alla visione di quella figura.
non sapevo minimamente chi fosse, ma era davvero bellissimo.
le sua mano combaciò perfettamente con quella superficie in vetro, mentre nel suo viso si fece spazio un sorriso pieno di nostalgia.
i suoi piccoli occhi diventarono improvvisamente gonfi e pieni di calde lacrime pronte ad uscire fuori senza alcuna vergogna, la sua bocca carnosa diventò rossa per colpa delle torture inflitte da parte dei suoi denti.
<tae> i singhiozzi di quel ragazzo inondarono la stanza.
rimasi impassibile, non capendo il motivo delle sue azioni.
piombò il silenzio, mentre i presenti spostarono lo sguardo verso la figura di fronte a me, intento a non perdersi ogni mio minimo movimento.
si avvicinò nuovamente, cercando di abbattere quella barriera in mezzo a noi.
<sono Park Jimin: il tuo migliore amico> disse con un filo di voce.
il mio corpo restò immobilizzato, seduto su quella sedia, cercando di fare compagnia alla persona che un tempo riempiva le mie giornate di felicità.
la mia mente, invece, intraprese un viaggio in mezzo ai ricordi.
i momenti belli, quelli spensierati, felici, tornarono alla luce grazie alle parole di Jimin.
varie scene andarono in onda in quel preciso istante, spezzoni scollegati tra loro, alcuni incompleti, tutti dello stesso film, il film della mia vita.
il regista di quest'ultimo decise di interromperlo tempo fa, quando tutto cominciò a cadere a pezzi.
e fu proprio quella notte, nella lontana estate del 2007, dove tutto volse al termine, lasciando pezzi di pellicole sparsi ovunque e frammenti di cuore mai ritrovati.
dopo tempo, i miei occhi minacciarono di versare tutte le lacrime tenute di riserva in tutti questi anni.
<tae, ci sei?> mi richiamò Jimin, bussando con forza su quella lastra di vetro.
le sue parole scoppiarono quella bolla immaginaria, riportandomi al presente.
<Chim, sei proprio tu> parlai.
la mia guancia aderì perfettamente sulla superficie in vetro, proprio nel punto in cui si trovava la mano del biondo.
<Si, sono proprio io> urlò, non curante di contenere la gioia di fronte a tutte quelle persone.
<perché sei andato via? perché?>
una lacrima bagnò la mia camicia di forza, un'altra si lasciò morire lentamente sulle mie labbra, mentre le altre continuavano a rigare il mio viso.
<non è stata colpa mia> sussurrò, per poi abbassare lentamente il capo.SPAZIO AUTRICE
salve gente, come ogni settimana, spero che la prima parte vi sia piaciuta.
sono sicura che al posto di risolvere i vostri dubbi, questo capitolo li ha triplicati.
detto questo, mi dileguo.