Sono passati tre giorni dal mio risveglio. Il dottore dice che mi sto riprendendo davvero in fretta e ne sono felice, mi hanno tolto anche la flebo e ho iniziato a mangiare qualcosina. Anche i dolori stanno diminuendo e insieme alle infermiere sono riuscita pure a camminare per un po', anche se la debolezza è tanta e quindi non posso ancora farlo da sola. Sono venute a trovarmi persone di cui non conosco neanche il nome, ma con loro sono venute anche le due mie amiche. A proposito...ricordo ancora quando le ho sentite parlare di una mia cicatrice orribile sul viso, ma ancora non ho avuto il coraggio di guardarmi allo specchio. Mia madre è venuta ogni mattina e mi ha truccata e sistemata i capelli a dovere, ma non ha mai accennato niente su nessun marchio lasciato sulla mia pelle. Neanche Luca ha mai detto niente, però ora che ci penso, ogni tanto l'ho visto fissarmi un punto fisso sulla fronte. Mio padre è passato di rado purtroppo, scusandosi come sempre per il troppo lavoro. Adesso sono sola, finalmente. Mi guardo un po' intorno e poi prendendo un po' di coraggio, inizio a tastarmi il viso con la mano. Tocco le guance, la bocca, il naso, il mento. La pelle è liscia e non sembra esserci nessuna cicatrice, poi continuo stando attenta a non togliere il trucco e salgo verso la fronte. Tasto finché non sento una leggerissima rialzatura proprio all'attaccatura dei capelli. Ci passo le dita sopra e non sembra più grande di un centimetro, ma è impossibile che loro si riferissero a questa. Devo guardarmi allo specchio. Non voglio disturbare nessuno solo per potermi specchiare, quindi provo ad alzarmi da sola. D'altronde lo specchio è a pochissimi passi dal mio letto. Ce la posso fare. Prendo un bel respiro e metto entrambi i piedi in terra. Muovo le dita che adesso sono a contatto con il pavimento freddo, è una bella sensazione. Facendo attenzione a non fare movimenti troppo veloci, mi alzo e passo dopo passo raggiungo lo specchio attaccato alla parete della mia stanza. Ho paura a guardarmi. Tra le mie amiche, Luca e mia madre che mi hanno detto in continuazione di truccarmi e sistemarmi, ho il terrore di vedere come sia effettivamente la mia faccia. Prendo un bel respiro e poi alzo lo sguardo. Non ho cicatrici enormi o brutte, non sono gonfia. Ho solo un piccolissimo segno che stavo toccando fino a poco fa, ma che neanche si nota più di tanto e un piccolo taglio che sta guarendo sul labbro inferiore. Non sono così male come dicevano loro. Mi sento sollevata e anche felice per essere riuscita ad alzarmi da sola, mi sento quasi forte. Prendo un altro bel respiro e mi volto verso il mio letto, non ho voglia di tornare là sopra, voglio fare due passi, sento che ce la posso fare. Infilo le ciabatte e piano piano inizio a camminare nei corridoi dell'ospedale. Se mi vedesse mia madre mi ucciderebbe, ma a quest'ora lei non passa mai. Mi sento bene. Continuo a camminare, passo dopo passo, finché non sento un gran vociare di bambini. Sono arrivata in pediatria. Non so da quanto stia camminando, ma inizio a sentirmi stanca, forse è meglio che torni in camera. Un passo, due passi, tre passi e la testa inizia a girare. Mi appoggio al muro con la mano per riprendere fiato. <<Ti senti bene?>> una voce maschile arriva alle mie spalle. <<Sì, ho bisogno di un attimo>> rispondo con gli occhi chiusi. <<Ti aiuto dai>> la sua mano afferra delicatamente il mio braccio e automaticamente mi giro verso di lui. Non credo sia un dottore, indossa un camice bianco pieno di disegni e un naso rosso da clown. <<Ciao, io sono Simon>> si presenta, ma io continuo a fissarlo senza aprire bocca. Sinceramente mi mette un po' d'ansia il modo in cui è conciato, ma non voglio fare la maleducata e dirgli che sembra appena uscito da IT il pagliaccio. <<Vuoi dirmi come ti chiami, oppure continuerai a fissare il mio naso da clown per tutto il giorno?!>> chiede sfoggiando un enorme sorriso. E che sorriso...Ma che diavolo mi salta in mente? Io non faccio mai di questi pensieri su altri ragazzi che non siano Luca. <<Mi scusi>> dico, dopo essermi schiarita la gola, <<Sono Annabeth, piacere di conoscerla>> allungo la mano a fatica, visto che mi gira ancora un po' la testa, ma lui non me la afferra e comincia a ridere a crepapelle. <<Davvero, mi stai dando del lei? Ma quanti anni credi che abbia?>> chiede tra una risata e l'altra, ma io continuo a guardarlo non capendo bene a cosa si stia riferendo. I miei genitori mi hanno sempre insegnato a dare del lei alle persone che non conosco e così ho sempre fatto. Notando il mio sguardo serio, smette di ridere e mi scruta in viso confuso. <<Stai facendo sul serio>> commenta perplesso più a se stesso che a me. Non so quanto rimaniamo in silenzio a guardarci, poi sento un altro giramento di testa e chiudo gli occhi per farlo smettere. <<Vieni>> mi sposta delicatamente per un braccio, <<Devi metterti un po' seduta>>. Passo dopo passo, riusciamo ad arrivare vicino a delle poltroncine e quando mi siedo mi sento decisamente meglio. <<Grazie, pensavo di stare per svenire>> dico una volta riacquistata la lucidità. <<Sinceramente se tu non avessi chiuso gli occhi non me ne sarei accorto>> si siede vicino a me. <<In che senso?>> chiedo voltandomi verso di lui che non si è ancora tolto quel ridicolo naso rosso. <<Nel senso che è la prima volta in vita mia che trovo una paziente in ospedale così truccata e pettinata. Sembra che tu stia per andare ad una festa>> risponde e immediatamente sento le mie guance andare a fuoco. È vero, sono truccata ed i miei capelli sono quasi impeccabili. Mia mamma è passata quella stessa mattina a sistemarmi, ma per me questa è la normalità. E comunque sia non conosco questo tizio e quindi non si può permettere di parlarmi in questa maniera. <<Penso che questi non siano affari che la riguardano>> dico in maniera un po' brusca, ma sembra che non gli faccia affatto effetto, visto che ricomincia a ridere portandosi le braccia all'altezza dello stomaco. <<Ti prego smetti di darmi del lei, mi fai sentire mio padre>>. <<Ok>> taglio corto, <sei un medico?> chiedo di getto. Perché gliel'ho chiesto? Non sono affari miei. <<Purtroppo no, sono solo un volontario>> sorride. <<E cosa fai di preciso?>> chiedo ancora. Non sono mai stata un tipo entrante, non ho mai tempestato nessuno di domande.
Ma con questo ragazzo sembra così facile parlare. Ma che sto dicendo? Neanche lo conosco. <<Vuoi vedere?>> si alza e mi tende una mano come invito a farmi alzare. Certo che no risponde il mio subconscio, ma la mia mano è già nella sua. Ci incamminiamo nel corridoio di pediatria, fino a quando entriamo in una stanza. <<Simon!>> un coro di bambini si alza non appena varchiamo la porta. Simon inizia a ridere ed abbracciare uno ad uno ogni bambino presente nella stanza. Sono cinque, per l'esattezza. <<Pensavamo che non saresti più venuto!>> dice una bambina con i capelli rasati. <<Scusatemi, ma stavo aiutando una fanciulla indifesa che non si sentiva molto bene>> risponde indicandomi e quando gli occhi dei bambini vengono puntati su di me, mi sento morire. Mi stanno tutti fissando ed io non so cosa dire. Sembro una pazza, con questo camicie e i capelli stirati al massimo. <<Chi sei?>>. <<Come ti chiami?>>. <<Giochi con noi?>>. Sono le domande che iniziano a farmi, mentre lui ride scuotendo la testa. <<Prima cosa di tutto, calmatevi>> prende la parola, < Anna vieni qui> mi fa cenno di avvicinarmi. Anna? <<Lei è Anna, come avrete già capito ed è ricoverata qui in ospedale come voi>> si riferisce ai bambini e tutti annuiscono. <<Sei malata?>> mi chiede una bambina che avrà all'incirca cinque o sei anni. <<No, ho avuto un incidente, ma presto starò meglio>> mi schiarisco la voce. <<Anche io presto starò meglio, me lo ha detto la mia mamma>> dice con una vocina dolcissima e spontaneamente le sorrido. <<Anna lei è Kimberly ed è assolutamente la bambina più dolce di tutto l'Universo> Simon si avvicina a lei e le pizzica una guancia, <<Le hanno diagnosticato la leucemia circa un anno fa, ma lei è una vera guerriera e sta reagendo alla grande, vero Kim?>> chiede e la bambina annuisce schiacciandogli il cinque con la mano. Leucemia? Oddio. Una bambina così piccola e indifesa. E continua così a presentarmi anche gli altri quattro bambini. Joshua, dieci anni soffre di attacchi epilettici. Margaret, la bambina rasata ha un tumore e sta affrontando un ciclo di chemioterapia alla sola età di dodici anni. Caroline, fibrosi cistica e Hanne principio di autismo. Continuo ad ascoltare la presentazione di questi bambini che anche se sono terribilmente malati, sembrano così forti e felici. Il modo in cui Simon parla con loro è incredibile. Si vede che li ammira e che loro ammirano lui. La positività con cui sembra affrontino tutto è così tanta che mi sembra che mi sia passato sopra un Tir per come mi sto sentendo.
E non posso far a meno di pensare al mio incidente, alla paura di essere stata marchiata da una cicatrice, al fatto che comunque io tornerò a casa tra pochi giorni, mentre questi bambini no. <<Ora che ci siamo presentati, che ne dite di divertirci un po'?>> chiede Simon distogliendomi dai miei pensieri. <<Sìììi!>>. rispondono i bambini e lui inizia a tirare fuori da un armadio tantissimi giochi. Ecco cosa fa. Ecco il perché del naso rosso da clown. Ecco il perché del camicie pieno di disegni. Non avevo mai conosciuto nessuno che facesse volontariato. Lo avevo visto fare solo nei film, ma adesso che me lo ritrovo davanti, ne sono veramente emozionata. <<Anna, vieni a giocare con noi?>> mi chiede Kimberly con quella dolcissima vocina. Sento gli occhi pizzicare, ma non posso piangere, non di certo davanti a questi bambini la cui vita è appesa ad un filo. <<Certo>> le sorrido e mi siedo in terra con loro. L'ora successiva la passiamo a disegnare, a cantare insieme a Simon diverse canzoni di alcuni dei loro cartoni animati preferiti, a ridere. Non mi sono neanche resa conto del tempo che è passato, fino a quando entra il dottore dicendo che è l'ora delle medicine. I bambini ci salutano e il dottore ringrazia Simon per il suo aiuto e poi usciamo. <<E' stato bellissimo>> dico una volta usciti. <<Io vengo ogni martedì e giovedì pomeriggio>> risponde come se mi volesse invitare per la prossima volta, io gli sorrido non sapendo bene cosa dire. <<Ok>> dico semplicemente guardando l'orologio appeso sopra al muro. Le sei del pomeriggio. Le sei del pomeriggio? I miei occhi si sgranano e il cuore mi inizia ad andare a mille. Tra poco tornerà mia madre e se mi vedesse qui con questo ragazzo sarebbe una tragedia. <<Tutto ok?>> chiede e quando mi volto verso di lui rimango ancora di più senza fiato. Si è tolto il naso rosso e passato una mano tra o capelli. Sembra davvero tutta un'altra persona e non capisco perché mi sembra di respirare a fatica. Sì, ok è un bel ragazzo, con i suoi capelli castani, occhi nocciola, naso dritto, denti bianchi...Ok, l'ho radiografato. Non so cosa mi sia preso, forse è l'effetto di tutti i medicinali che ho preso. Sì, sicuramente. <<Mi stai facendo preoccupare>> si avvicina a me ed io faccio un passo indietro. <<No, tranquillo>> dico con un filo di voce, <<Devo proprio andare, mia madre sta per arrivare>>. <<Ti accompagno se vuoi>>. <<No!>> rispondo subito. <<Ok, come preferisci>> sembra esserci rimasto un po' male. <<Scusa, non volevo fare l'antipatica. Il fatto è che mia madre è una persona un po' particolare....>>. <<Ok, non preoccuparti>> mi sorride, <<Ci vediamo la prossima volta?>> chiede dopo qualche secondo di silenzio. Certo che no. Non posso mica sgattaiolare via dalla mia stanza per passare il pomeriggio con uno sconosciuto. <<Certo>> rispondo invece, stupendomi da sola. <<Perfetto>> sorride. <<Perfetto>> sorrido anche io e poi mi dileguo per tornare in camera mia. Per fortuna non c'è ancora nessuno, per questa volta mi è andata bene.
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Insegnami a sorridere
RomanceAnnabeth ha ventitre anni, studia legge e sa già come sarà la sua vita. Diventerà un avvocato di successo, proprio come lo è il padre e sposerà Luca, figlio di amici di famiglia, conosciuto quando ancora erano piccoli. Simon ha venticinque anni, viv...