9.

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La settimana è volata via senza neanche rendermene conto. Ho trascorso la maggior parte del tempo sui libri cercando di recuperare il tempo perduto dato che tra pochi giorni dovrò tornare all'università. Luca da quella sera è tornato quello di sempre e quindi lavoro, lavoro e lavoro. Le mie amiche, invece, da quando sono tornata dall'ospedale mi sembrano diverse, si comportano sempre in modo strano e non vorrei esagerare, ma spesso sembra che mi evitino e non ne capisco il motivo. Ho deciso, comunque, che le inviterò a cena una di queste sere così ne potrò parlare direttamente con loro. Di solito sarei stata più agitata in una situazione del genere perché molto spesso preferisco farmi da parte pur di andare d'accordo con gli altri senza problemi. Non mi interessa farmi mettere i piedi in testa, l'unica cosa che ho sempre voluto è essere accettata dalle persone intorno a me. Ma oggi ho un altro pensiero che mi ronza nella testa, ovvero inventare una scusa per andare in ospedale da Simon. Da quando mi ha confidato di avere una ragazza il mio comportamento nei suoi confronti è cambiato, non mi sento assolutamente in colpa verso il mio fidanzato e so per certo di non star facendo niente di male, quindi ci siamo sentiti per messaggio e proprio stamani mi ha chiesto di andare a trovare lui e i bambini. Indosso un paio di jeans chiari ed una camicia bianca, lego i capelli in una coda alta e mi trucco il minimo indispensabile. Metto le scarpe e prendo la mia borsa per andare. <<Anna, dove stai andando?>> la voce di mia madre mi fa prendere un colpo. Ma è possibile che sia sempre nei miei paraggi?! Forza Anna, come la scorsa volta, inventati qualcosa. <<Anna?!>> continua con voce stridula. <<Sto andando in biblioteca a studiare>> abbozzo un sorriso. <<Oh...perché non puoi studiare qui?>> incrocia le braccia al petto. E' incredibile come controlli la mia vita anche all'età di ventitre anni. <<Qui ho troppe distrazioni, c'è il mio letto, la cucina...non vorrei finire per mangiare dal nervoso>> e boom, qui ho trovato la scusa perfetta. <<Ok, non posso darti torto. A dopo>> alza un sopracciglio e come avevo previsto se ne va. Non posso credere che questa sia la seconda volta in cui mento alla mia famiglia, ma d'altronde non ho molta scelta. Esco di casa, chiamo un taxi e poco dopo sono davanti all'ospedale. Diversamente dalle scorse volte mi sento tranquilla e non vedo l'ora di trascorrere del tempo con i bambini. Salgo al piano di pediatria e vedo subito Simon in tenuta formale, niente naso rosso, niente camicie. <<Simon>> lo chiamo e lui si volta verso di me, <<Ciao Anna>> sembra serio. <<Che succede?>> chiedo. <<Purtroppo i bambini hanno preso un virus influenzale, in realtà penso che fosse nell'aria e se lo siano attaccato a vicenda. Quindi oggi niente giochi>> dice e si porta una mano tra i capelli, gesto che seguo molto attentamente...forse troppo. <<Mi dispiace di non averti avvisata in tempo>> si scusa, ma io continuo a fissare la sua chioma ribelle. Perché lo sto fissando in questo modo? E perché non riesco a pronunciare una sola parola? <<Anna?! Tutto ok?>> mi sventola una mano davanti agli occhi e finalmente riesco a tornare in me. <<Sì, scusami>> tossisco, <<Mi dispiace per i bambini, ci tenevo tanto a passare del tempo con loro>> rispondo e sono sincera. <<Anch'io e mi dispiace anche per te, chissà quante storie avrà fatto tua madre quando le hai detto che saresti venuta qui>> si siede ed io avvampo. <<In realtà...lei pensa che io sia in biblioteca a studiare>> sussurro e lui scatta lo sguardo nel mio. Chissà cosa penserà adesso. Sicuramente che sia una bambina che mente ancora ai genitori per uscire di casa. Che vergogna. Ma come ogni volta mi stupisce iniziando a ridere a crepapelle. <<Che hai da ridere?>> chiedo confusa anche se vederlo ridere lo fa fare anche a me. <<Niente è che sei davvero buffa>> risponde e non capisco se sia un'offesa o altro. <<In senso positivo ovviamente>> porta le mani avanti come se stesse rispondendo alla mia domanda inespressa, <<Il fatto è che penso, anzi sono quasi sicuro che dietro questa maschera che porti ci sia tutta un'altra persona>> si alza e si piazza davanti a me. Mi guarda, lo guardo. Non so cosa rispondere a questa sua affermazione, perché sono cose che mi sono sempre chiesta anch'io e non capisco come faccia ad avere lo stesso pensiero una persona che mi conosce sì e no da qualche giorno. <<Ehm..io...>> inizio a balbettare, ma lui mi ferma subito, <<Non c'è bisogno che tu dica niente, il tempo ci darà le risposte>> fa un occhiolino e si allontana. Lo seguo con lo sguardo e ancora non riesco a capacitarmi di quanto sia diverso da tutti quelli che conosco. Lo guardo mentre prende il cellulare e fa partire una chiamata, lo fisso cercando di capire con chi stia parlando, ma non ci riesco. Mi stupisco da sola del fatto che vorrei sapere di più su di lui e della parte di me che è triste perché oggi non potrà trascorrere la giornata con lui. <<Ti va di andare in un posto?>> chiede e quando sbatto gli occhi un paio di volte me lo ritrovo davanti. Mi ero completamente incantata. <<Come?>> chiedo e dal mio tono si intuisce benissimo il livello d'ansia, cosa che sembra farlo ridere di nuovo. <<Ti va di andare in un posto?>> chiede di nuovo sorridendo. <<Io e te? Da soli?>>, ok la mia agitazione sta risultando ridicola. <<Era la mia ragazza al telefono prima e ha detto che lei e qualche amico sono in un locale qui vicino. E' carino, fanno anche il Karaoke>>. Al solo sentir pronunciare la parola 'ragazza' la mia risposta parte da sola, <<Sì, ok>>. La curiosità di conoscerla è enorme e ancora non ne capisco il motivo. <<Bene, andiamo allora>> mi porge un braccio ed io lo guardo confusa, lui come sempre sorride e afferra la mia mano portandola lì sotto in modo tale da essere a braccetto. Seriamente?! Mi sento morire, ma stranamente non la tolgo. Usciamo dall'ospedale e lo seguo fino a quando non arriviamo davanti ad una macchina blu. <<Scusami, ma questa è quella che passa il convento. Sarai abituata a tutt'altro, ma ci sono affezionato. Non mi ha mai lasciato a piedi la mia Ermenegilda>> parla e accarezza il tetto della sua auto. <<Erme cosa?!>> chiedo al limite della confusione. <<Ermenegilda è il nome del mio maggiolino>> si sposta leggermente e alza le braccia come se la volesse presentare. E' una macchina molto piccola, blu elettrica con qualche ammaccatura di ruggine. Sposto lo sguardo tra lui e la sua amata, fino a quando non sento uno strano formicolio alla bocca dello stomaco. Arriva sempre più in alto fino a quando non spalanco la bocca e inizio a ridere. Rido davvero e sembra un suono così strano uscito dalla mia bocca, ma è meraviglioso. <<Potrei davvero offendermi per questa reazione>> mi prende in giro e piano piano mi calmo, torno in me e lo trovo a fissarmi in uno strano modo, ma per adesso non voglio pensarci. Saliamo in auto e quasi non vengo risucchiata del sedile del passeggero che deve aver perso qualche molla durante questi anni. Non sono mai salita in un'auto del genere, aveva ragione lui, ma penso di non essermi mai sentita così a mio agio. <<Arrivati>> annuncia dopo pochi minuti di strada. <<Sei sicuro che alla tua ragazza non darà fastidio la mia presenza?>> chiedo prima di entrare nel locale. <<Ma certo che no. Janet è felice che io mi faccia delle nuove amicizie>> mi tranquillizza e entriamo. Il bar è molto scuro e prevalentemente di legno, non ci sono molte persone e un buffo uomo paffuto sta sopra il palco cercando di intonare 'I will survive'. <<Eccoli là, andiamo>> annuncia e ci avviciniamo ad un tavolo rotondo. Non so come comportarmi. <<Ciao Simon, ti stavamo aspettando>>. Una ragazza mora con i capelli a caschetto si avvicina a lui, si osservano un paio di secondi e poi gli lascia un casto bacio sulle labbra. Janet. <<Ciao, tu devi essere Anna. Molto piacere>> si volta verso di me e mi abbraccia. Non sono abituata a queste cose, ma decido comunque di ricambiare per non sembrare scortese. <<Piacere mio. Simon mi ha parlato molto di te>> le sorrido provando con tutta me stessa a dimostrarmi cordiale e gentile. <<Posso dire lo stesso>> risponde sorridendo e non capisco in che modo lo faccia. E' una ragazza davvero bella, non è altissima, ma ha degli occhi azzurri stupendi. Indossa una camicia a quadri ed un paio di jeans neri e non so, ma la vedo molto bene vicina ad un tipo come Simon. <<Anna, loro sono Chad e Math, due nostri amici>> proprio lui mi presenta agli altri che mi stringono la mano sorridendo. Sembrano davvero tutti simpatici. <<Allora, Anna...parlaci un po' di te>> dice Janet quando ci sediamo tutti intorno al tavolo. <<Non c'è molto da dire...studio giurisprudenza, mi mancano pochi esami e poi diventerò avvocato come mio padre>> alzo le spalle in imbarazzo, non ho mai amato molto parlare di me perché in fondo non sono mai stata entusiasta delle mie cose. <<Simon ci ha raccontato che stai anche per sposarti>> interviene uno dei due ragazzi che penso sia Chad. <<Sì, tra qualche mese...>> la mia faccia va a fuoco. <<Che romantico! E come vi siete conosciuti?>> chiede di nuovo Janet ed io mi sento terribilmente a disagio, ma non voglio sembrare maleducata quindi rispondo, <<Alla mia decima festa di compleanno>>. <<No aspetta!>> mi ferma l'altro, Math. <<Vuoi dirmi che tu e il tuo fidanzato state insieme da quando avevi dieci anni?!>>, i suoi occhi sembrano stiano per uscire dalle orbite. <<Sì>> sussurro e ora vorrei davvero che questo interrogatorio finisse. <<La volete finire di tempestarla di domande? La farete scappare a gambe levate>> si intromette Simon e finalmente le domande cessano. Lo guardo e gli sorrido grata. <<Scusaci, non volevamo essere scortesi>>, <<Non c'è problema>> rispondo abbastanza tranquilla, cosa molto rara visto che non mi ero mai ritrovata così tanto al centro dell'attenzione. Ordiniamo da bere e passiamo il resto del pomeriggio a parlare del più e del meno. Alla fine posso affermare che comunque siano ragazzi molto simpatici anche se un po' troppo curiosi. Janet e Simon non si sono più baciati, non che io abbia controllato ogni loro mossa, ma l'ho notato. Come ho notato il modo in cui mi chiedeva se volevo altro da bere o se volessi andare via. Cose a me sconosciute dato che ogni volta che esco è Luca a scegliere per me. Questi ragazzi sono così diversi dalle persone che conosco io...<<Ti sta squillando il cellulare>> dice Simon riscuotendomi dai miei pensieri. Lo prendo e guardo sul display, è mia madre. <<Torno subito>> sussurro e vado in bagno per rispondere in modo tale che non riesca a sentire nessun rumore. Il cuore batte all'impazzata, se scoprisse dove ho trascorso il pomeriggio sarebbe una tragedia. <<Pronto>> rispondo. <<Anna dove sei? A che ore pensi di tornare? Stasera ci saranno Luca ed i suoi genitori a cena>> parla a raffica e già mi viene l'ansia. <<Ok, adesso torno a casa>> e aggancio. Torno al tavolo e mi rivolgo a lui, <<Scusami, era mia madre...io dovrei tornare a casa>>. <<Ok, ti accompagno>> si alza, ma io mi sento terribilmente in colpa per il fatto che lasci lì la sua ragazza per accompagnare me. <<Non ti preoccupare, chiamo un taxi>> lo fermo. <<Non se ne parla>> controbatte e istintivamente sposto lo sguardo su Janet che però continua a parlare tranquillamente con gli altri due. <<Ci vediamo domani>> li saluta lui. <<Certo, ciao Anna è stato un piacere>> risponde lei e gli altri si aggregano a salutare. <<A più tardi amore>> dice poi diretta a Simon, ma sembra che le venga quasi da ridere. Boh non ci capisco niente. Usciamo dal locale e davanti a noi si presenta immediatamente un terribile temporale. <<Cavolo!>> esclama. La macchina è parcheggiata a circa venti metri da dove siamo ora. <<Dobbiamo correre>> mi guarda ed io spalanco gli occhi. Non ho mai corso sotto un temporale, di solito l'autista ci viene a prendere con un ombrello o lo stesso Luca lo fa. Nessuna signora d'alta borghesia farebbe una cosa del genere. <<Anna, ci sei? Hai capito?>> chiede confuso. <<Simon, questa borsa è di Chanel. Non posso correre sotto questo tempo, si rovinerà>> rispondo seriamente, anche se potrei sembrare superficiale, ma sono sincera. <<Dai non ti preoccupare, gliene compreremo un'altra>> risponde serio e quasi la mia bocca non tocca terra. <<Come?!>> sono scioccata. <<Pensi davvero che sia così messo male? So che Chanel non è una tua amica>> e inizia di nuovo a ridere a crepapelle. Quando si calma, prende la mia borsa e se la porta sotto il giacchetto, con l'altra mano afferra la mia e inizia a contare. <<Uno, due...>> e poi corre trascinandomi dietro di lui. Sento i capelli fradici e le scarpe zuppe quando riesco a salire in macchina, mi volto verso di lui che sembra appena uscito dalla doccia e di nuovo quella strana sensazione che mi fa ridere di nuovo come mai avevo fatto prima.

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