01 - that day must be forgotten

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[y/n]'s point of view.

Era, ormai, abitudine per te sederti in quella panchina di legno, al parco pieno di scivoli e altalene. Ti piaceva osservare i bambini che sfrecciavano nell'erba, paonazzi per il fiatone.
Ti faceva un po' pensare alla tua infanzia, a quanto volessi tornare bambina e correre veloce e rotolarti per terra e saltare in braccio al tuo papà.

In quel momento pensavi a come sarebbero potuti diventare grandi, quando non avresti più rivisto più lo stesso bambino che ti salutava ogni giorno, a come saresti potuta essere spettatrice della loro gioventù.
Gioventù che rivolevi indietro per poter cambiare tutto.

Flashback:
Cercavi una via d'uscita da quella maledetta casa. Correvi di stanza in stanza, salivi per tutti i piani ma tutto era già stato progettato: ucciderti.
Non sapevi nemmeno il perchè.
I tuoi capelli [h/c] erano appiccicati alla fronte grondante di sudore, i tuoi occhi [e/c] offuscati dalle lacrime che continuavano a scorrere come un fiume in piena.

I tuoi genitori erano appena stati uccisi davanti ai tuoi occhi e tu, povera quindicenne sventurata, non hai potuto fare niente. Eri solo lì ad assistere al loro cruento omicidio mentre ti imploravano di andartene al più presto o, almeno, trovare una via d'uscita da quel sudicio posto.

Hai visto la tua intera vita scivolare in un millesimo di secondo, ti è mancato il respiro e sei morta insieme a loro. Ma le loro grida erano troppo forti per lasciarti cadere sulle tue ginocchia, quindi hai chiesto loro scusa e hai cominciato a correre, mentre quell'essere spregevole ammazzava coloro che ti avevano dato ció che avevi vissuto fino a dieci minuti prima: una vita perfetta.

Così ti ritrovasti sul tetto di quello schifo di casa che avresti voluto abbandonare al più presto.
Cercavi anche da lì una via di fuga, ma tre piani di casa erano troppo alti per una caduta morbida da cui saresti uscita sana e salva; in quel momento maledicesti il fato di non aver votato a favore per una casa piano terra.

E in poco ritrovasti anche quell'orribile faccia che tanto si definiva perfetta. Cosa potevi saperne tu, così giovane e pura, dell'esistenza di un abominio del genere? Assolutamente nulla.

«Oh, povera [y/n]! Davvero pensavi che mi sarei fatto sfuggire una ragazza piena di vita come te così facilmente? Ti sbagli, i felici, qui, sono i primi a morire» aveva sputato lui. Non potevi sentire la sua voce, tanta era la voglia di massacrarlo come lui aveva fatto coi tuoi genitori.

«Lasciami in pace o giuro che...» non terminasti la frase perché venivi bloccata dalla sua malvagia risata.
«Giuri cosa? Di prendermi a schiaffi? Di buttarmi giù da qui? Di chiamare la polizia? Sei patetica, non puoi niente contro di me e lo sai benissimo» disse per poi continuare a buttare qualche risatina qua e là, fregandosene altamente del tuo stato d'animo distruttivo. Eri indecisa: porre fine alla tua sofferenza causata dall'omicidio dei tuoi genitori, o porre fine all'esistenza di quell'errore umano?

Piangevi e singhiozzavi ed eri vicina all'accasciarti sulle tue ginocchia e quasi implorarlo di ucciderti. Ma qualcosa, qualcosa di forte, ti diceva di andare avanti e provarci.
«E dai, non parli più? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» terminò la frase sobbalzando, sentite le sirene in lontananza. Tu non avevi chiamato niente e nessuno, dato che a disposizione non avevi che il tuo portafoglio ma, in quel momento, l'unica cosa che riuscivi a pensare era che saresti potuta sopravvivere.

«Brutta puttanella...» sussurrò sorridendo. Questa volta, però, il turno di sorridere era il tuo. Quando si scagliò su di te, la voglia di rendere fieri i tuoi genitori, di realizzare i tuoi progetti, di avere una tua famiglia prevalse su tutto e lo schivasti facendolo inciampare. Rimase comunque in piedi, ma le forze dell'ordine erano ormai sotto l'edificio con le armi puntate sul killer. «Jeffrey Alan Woods, sei in arresto!» urlò qualcuno al megafono.

Lui si limitò a scoppiare a ridere e a prendere in giro i poliziotti: «Col cazzo, fighette!» urlò e approfittasti di questo suo momento di distrazione per poterlo spingere giù dal tetto. Oppose resistenza, urlandoti i peggiori insulti, ma qualcosa più forte di tutto prese il possesso di te e lo gettasti come un rifiuto al suolo. Le sue grida erano musica per le tue orecchie.

«Signorina, scenda da lì e ci raggiunga!» disse in un tono forte ma con un leggero tocco di dolcezza l'uomo al megafono. «Non scenderò! La sotto ci sono i miei genitori morti!» urlasti in preda alla rabbia, alle lacrime, alla tristezza, alla depressione. Così un gruppo di agenti entrò nella casa e tu ti aggrappasti come per proteggerti al primo che salì il tetto, che ti portò fino al piano terra dove finalmente apristi i tuoi stanchi occhi, per non vedere i cadaveri.

E non lo avresti mai dovuto fare.
Non sapevi bene se fosse un'allucinazione o quant'altro, ma il suo schifoso volto apparve da dietro alla finestra della cucina mimando un: «non finisce qui» per poi scappare.
Fine Flashback

Si era fatto buio.
Tornasti alla tua casa, nella quale abitavi da sola e cenasti con un panino. Ormai mangiavi poco, dormivi poco e passavi le giornate fuori o in biblioteca.
Erano passati cinque anni dall'accaduto e ti meravigliavi d'esser ancora viva.

Non prendesti la medicina che ti era stata somministrata contro gli attacchi d'ansia. Non te ne facevi niente: quell'espressione rimaneva impressa nella tua mente, tutto l'accaduto e il suo volto, lui che esplicitamente ti aveva detto che, prima o poi, in un modo o nell'altro, ti avrebbe fatto fuori.

Ti lavasti e prendesti il sonnifero che ormai prendevi ogni notte per riuscire a dormire. E ti addormentavi con la speranza di dimenticare tutto, di poter rivivere una nuova vita, di poter rinascere.

Ma fin quando sapeva quale fosse la tua nuova casa, non avresti passato più un giorno tranquilla.


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Burn your soul [Jeff The Killer x Reader]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora