06 - burn your soul

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Ti prese i capelli e ti costrinse a fissare i suoi occhi gelidi, pietrificanti. Ti alzò con forza e ti fece sbattere goffamente sul tavolo e ti sentisti crepare. «Se vuoi dell'acqua, bevila dal lavandino» disse freddo. Si era stufato di mantenere un peso morto come te nel suo rifugio.

Provasti ad alzarti, barcollante, cercando di dirigerti verso il bagno. Ti appoggiavi alle prime cose che potevi ché, distrutta, cercavi sostegno in qualsiasi cosa. Volevi reagire, ma eri troppo debole e non l'hai fatto quando avresti dovuto farlo.
Ti maledicesti: stupida, maledetta me.

Alle volte inciampando, ti dirigesti zoppicando al bagno, dove riuscisti a sorseggiare dell'acqua dal rubinetto. Alle volte, invece, ti sciacquavi la bocca e sputavi il liquido freddo sulla ceramica bianca.
Alle volte, bisogna sempre guardarsi le spalle.

Era dietro di te, non appena ti alzasti.
Potevi scorgere subito i suoi occhi, contornati di nero, pieni di follia e odio; potevi, soprattutto, scorgere il suo sguardo demoniaco, non sano.
Ora saresti morta.

Ti afferrò la chioma [h/c] con una mano e con l'altra, che impugnava delle forbici affilate, cominciò a seghettare i tuoi capelli come se fossero quelli di una bambola. Ma poco ti importava dei capelli in quel momento.
«Sai che ho sempre sognato di essere un parrucchiere?» la sua voce sadica, accompagnata da delle risatine isteriche, entrò nella tua testa e non ne uscì più.
Ogni tanto sbatteva la mano all'aria per levarsi di dosso le ciocche fluttuanti dei tuoi capelli, che ora venivano per sempre spezzati.

Tirava sempre di più ed ormai eri costretta a piegarti in sue al contrario, sentendo sempre più dolore. Le due lame che intanto schioccavano facevano quasi eco, tanta era la forza che usava per tagliare.

Non appena ebbe finito, parlò: «Ta-dà! Ti piace il tuo nuovo look?». Erano disordinati, alcune ciocche erano corte, altre più lunghe: non avevano una forma, ma, ormai, chi li avrebbe guardati più?
Annuisti fintamente, abbassando lo sguardo rassegnata. Con lo sguardo, però, cercavi qualcosa per riuscire a distrarlo, mentre ancora giocherellava con la tua chioma.
Lo sguardo ti cadde sulle lame che il killer aveva distrattamente lasciato all'angolo del lavabo ed un'idea malsana ti venne in mente.

Veloce, con tutta l'energia che t'era rimasta, scattasti per riuscire a prendere le forbici. Ti girasti verso di lui e gliele infilzasti, anche tu distratta, al fianco destro.
Eri assordata dalle sue urla continue di dolore, mentre gli strappavi le lame e la portavi con te fuori da quella casa: «Maledetta puttana! Torna subito qui o giuro che... Ah!».

Inciampasti dopo un buon numero di minuti, sperando di essere abbastanza lontana da lui. Lo eri.
Ti accasciasti, stanca, ai piedi di uno degli infiniti alberi che v'erano in quella foresta. E ti addormentasti da stupida, ma i tuoi occhi avevano ceduto. Ignara di quel che ti sarebbe potuto succedere...

Perché infatti ti svegliasti, nel bel mezzo della notte, grondante di sudore e legata strettamente ad una sedia di legno. Avesti un attacco di panico: che t'avesse catturata? Ti avrebbe uccisa? O che fosse un suo collega?

Ti agitasti inutilmente e la seduta dondolava: le tue mani erano legate dietro al suo schienale e i piedi erano immobili, mentre la tua bocca era coperta da nastro nero. Che fosse un incubo? Sì, era l'incubo che credevi di aver terminato, ma, in realtà, doveva proseguire e finire... nel suo modo, peggiore o migliore che fosse stato.

Consumasti fiato, cercando di allentare la presa dell'adesivo che t'ingombrava, che non ti faceva urlare, non ti faceva chiamare aiuto.
Gli occhi erano annebbiati dalle lacrime che, come un torrente, scorrevano lungo le guance arrossate. Il fiatone che avevi ti fece agitare ancora di più.

E le tue pupille a stento intravidero una sagoma avvicinarsi pericolosamente a te, che cominciasti a muoverti sfrenata come se questo potesse aiutarti a liberarti.
«Sei una piccola peste... i tuoi genitori avevano dovuto dirlo spesso, vero? E scommetto che avrebbero continuato, se solo fossero stati ancora vivi. Ah, cocca di mamma e papà.» gelasti.

Illusa, che credevi di averlo seminato, di non aver lasciato tracce! Illusa, che credevi tutto fosse finito!
Stupida, che ti sei addormentata, che non sei fuggita!

Ti strappò con violenza il nastro nero dal muso, ma la tua espressione, il tuo corpo rimase immobile e lo guardavi con quegli occhi pregni di terrore, di paura.
Si sedette sopra di te, sistemò le braccia attorno al tuo flebile collo. Ti fissò le iridi [e/c] e ti ricordasti di quel momento di lucidità, che, ora, avresti preferito non ci fosse stato. Proprio per colpa di quello, l'incubo era continuato.

«I tuoi occhi... erano come i miei» corresse la frase detta qualche ora prima, poi continuò: «Puri e innocenti; pieni di amore, forse? Nemmeno me lo ricordo».
Sorrise con le sue vere labbra.

«E tu sei così pura e innocente... eri così pura e innocente» ti accarezzò dolcemente il volto per varie volte. Ma tu, impietrita, non rispondevi, non facevi alcun gesto.
«Non voglio ucciderti... ma ti voglio al mio fianco. A combattere con me contro questi insulsi esseri umani che disprezzano le persone speciali, come me e te.» eri letteralmente scioccata.
«Allora, ci stai?»

Davvero pensa di essere una persona speciale? Davvero pensa che la gente lo disprezzi e basta?
Davvero pensa che io accetterò?
Davvero pensa che io sia come lui?
Erano queste le domande che più ti balenavano nella mente. Tu... non dovevi farlo, non potevi farlo, non volevi farlo.

«No... no. Non sono come te.» sussurrasti, fissando i suoi occhi delusi.
«Cosa vuol dire che non sei come me? Io non ti piaccio?» disse, ma non fosti in grado di rispondere, paralizzata.
Posò un soffice bacio sulle tue labbra e potesti per un secondo scorgere il sapore metallico del sangue che gli colava dai lati della bocca.

«Io non ci sto. Uccidimi ora e poni fine a tutto questo!» ti sbloccasti e urlasti al suo volto, che, piano, aveva stampato sopra un sorriso sadico.
«Ah, sì?» ripeté questa frase per un'infinità di volte, mentre si rialzava da te e prendeva un bidone di candeggina, rovesciandone poi il contenuto dannosamente su di te, che ti agitavi ancora di più in quel momento.

«Un giorno non sarai più questa. Un giorno morirai crudele, sai perché? Perché brucerò la tua anima come quel fuoco fece con la mia pelle!» urlò, mentre le fiamme, rovinose, ti avvolgevano come una coperta.

E le tue grida non erano che una soave melodia per le sue sporche orecchie. Lì, in mezzo al nulla, chi ti avrebbe salvata, se il killer non ti avesse voluto uccidere?
Crollasti al terreno, ancora legata alla sedia che più di tutto prendeva fuoco, svenendo per il dolore.
E rimanesti ad osservare il buio che ti avvolgeva, come le fiamme stavano facendo in quel momento.

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Buongiorno o buonasera.

Colpo di scena o ve lo aspettavate?

Vostra,
darkvstories.

Burn your soul [Jeff The Killer x Reader]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora