17. Time for murder

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— Cosa vuoi fare giovedì? — chiesi a mio figlio mentre guidavo verso la sua scuola, ignorando qualche cartello stradale.
— Ma è tra due giorni! — rispose lui e io alzai gli occhi al cielo, sospirando.
— Sí, ma starai in vacanza tutta la settimana! Hai voglia di fare qualcosa di divertente? — chiesi nuovamente, storcendo il naso nel vedere come un ritardato mi aveva tagliato la strada.

Non avessi uno gnomo in macchina avrei già tirato giù tutti i santi e gli angeli possibili. E infine trattarlo male.
Ma ehi! Devo essere una mamma modello anche nel linguaggio ed evitare che Colin cresca con un linguaggio sboccato. Non a sei anni, almeno.

— Possiamo andare dai nonni? — chiese lui, muovendo le gambe sul seggiolino.
— Lo sai che mamma e nonna hanno litigato e ora c'è aria di guerra in casa... più avanti magari. — risposi serrando le labbra e svoltando a sinistra, imboccando la via principale delle scuole di Londra.
— No! — esclamò lui, alzando le manine al cielo. Lo sguardo confusa che gli lanciai tramite lo specchietto retrovisore diceva abbastanza della strana situazione in cui ci eravamo messi; — Parlo di nonna Ophelia e nonno Albert! — rispose esasperato, come se fosse normale.
— Come mai? — chiesi confusa, parcheggiando di fronte a scuola e infine mettendo il freno all'auto lasciandola accesa. Infine mi voltai dietro verso di lui, slacciandogli la cintura.
— Non li vediamo da tanto! E poi lo so che ti mancano i nonni, mamma. — rispose lui, prima di prendere il suo zainetto e scendere dall'auto, dal lato che dava nel cortile della scuola. Saltellava come una capra verso i suoi compagni di scuola.

Io mi sistemai nuovamente alla guida, tolsi il freno e mi allontanai dalla sua scuola, dirigendomi verso l'Heavens.
Leggermente confusa dalla sua proposta.
Veramente quel nano malefico sapeva che mi mancavano i miei nonni? Non c'era da immaginarselo, ma mi sorprendeva.
Sempre più convinta che quel piccolo abbia qualche super potere come i veri supereroi.

*

— Dean? — chiamai il proprietario, rientrando dietro al bancone col vassoio pieno di tazze e piatti sporchi di chi aveva appena concluso la colazione.

Un suo grugnito mi richiamò, facendomi pensare per un istante che un cinghiale era entrato nel locale.
Dovetti ricredermi quando subito dopo ne uscí un sospiro sognante e poco dopo la frase:
— Buongiorno Léonor!

Alzai gli occhi al cielo e rinunciai ad avere un dialogo con lui, per poi dedicarmi ad altri clienti e lasciare i due piccioncini da soli a discutere.
Mentre lavavo i bicchieri, una voce mi richiamò.

— Ehi bel culo, me lo fai un caffè? — chiese la voce, sedendosi sullo sgabello e battendo le mani sul bancone.

Mi voltai di scatto, il bicchiere già in mano pronto a scagliarlo contro quando notai l'espressione divertita di mio fratello.
Posai il bicchiere, anche perché avrebbe fatto troppo rumore una volta in frantumi ed era meglio evitare una lavata di testa da Dean e dalla amante Léonor.

Mi avvicinai a lui e una volta appurato che i due si erano appartati a un tavolino sotto una finestra che dava in strada, diedi un pugno a mio fratello. Proprio sul petto.

— Cretino.
— È così che si trattano i clienti? — un tono di voce indignato e una alzata di occhi al cielo da farmi rabbrividire. Pessima imitazione, la mia.
— È così che si trattano le cameriere?
— Ho fatto un gesto di apprezzamento al tuo culo. Che nonostante gli anni è sempre lo stesso. — rispose lui, sospirando e indicando con lo sguardo la macchinetta del caffè.

Finché era seduto qua rimaneva un cliente, tanto valeva trattarlo come tale.
Faceva ridere questa sua doppia personalità riguardante il caffè: lo disprezzava e non lo tollerava durante il giorno, ma la mattina era una mano santa per lui.

OMNIA FERT AETAS || Tom Hiddleston || SOSPESADove le storie prendono vita. Scoprilo ora