III - Call me, how will you call me?

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Freaks - AboutWayne

In estate nel corso del pomeriggio, salvo qualcuno non decidesse di andare a fare un tuffo e godere dello schiaffo gelido dell'acqua, era quasi impossibile uscire di casa prima delle sei di pomeriggio: la gente si rifaceva una vita all'interno delle proprie quattro mura, cullata dalla carezza del condizionatore e laddove non fosse presente del ventilatore e delle tapparelle interamente abbassate, così da regalare una parvenza di fresco grazie alla confortevole penombra che si depositava su divani, letti e tavole rimaste imbandite da pranzo con le stoviglie tutte accumulate al lato per far posto a caffè e digestivo. Se solo si provava a mettere fuori la punta del naso in orari off limits si rischiava la carbonizzazione totale o la morte per asfissia a causa della calura intensa.

Certi giorni, però, qualche presenza benevola in alto decideva di rinfrescare l'aria, magari grazie a un temporale: in un pomeriggio del genere, uno di quelli rari come un miracolo in cui ci si poteva avventurare all'esterno precocemente, Clelia si decise a esternare il quesito che la corrodeva interiormente dalla prima – e per il momento unica – notte in cui aveva lavorato in clinica.

Una volta ritornata nella sua stanza infatti, dopo aver terminato il suo accurato giro per le stanze e aver piacevolmente riscontrato che tutti sembravano più o meno in salute come nell'ora precedente, Clelia non era più riuscita a riprendere sonno. Ci aveva provato in tutti i modi: contando le pecore, rivedendo mentalmente gli schemi che aveva buttato giù quel pomeriggio, ascoltando musica; aveva persino provato a chiamare Mario sperando fosse sveglio così da poter scambiare due chiacchiere atte a distenderle i nervi che immaginava dritti e solidi come fossero stati intrisi di cemento, ma evidentemente era già tornato a casa e dormiva profondamente – troppo ubriaco da ricordarsi di mandarmi un messaggio per la buonanotte, aveva pensato con una smorfia amara.

Aveva continuato a pensare a Davide. Ci si arrovellava come fosse un qualcosa di cui faticava a capacitarsi, un'equazione che non riusciva a risolvere, un problema a cui le risultava impossibile venire a capo, di quelli con più incognite che dati. Le si era infilato in testa silenziosamente, senza chiedere permesso e soprattutto senza che lei riuscisse a opporvi resistenza alcuna e le aveva stuzzicato la curiosità più di quanto avrebbe mai desiderato accadesse o di quanto ritenesse lecito. Nello specifico la infastidiva un po' il fatto che questo andasse contro anni e anni di disinteresse ben radicato nei confronti di ogni abitante di Braconesi e un po' il fatto che quel tarlo le sembrasse di una natura morbosa troppo simile alla benzina che alimentava i pettegolezzi di paese che lei tanto ripugnava.

Fatto sta che era inutile chiedersi come e perché e altrettanto inutile era prendere mentalmente le distanze da certi pensieri: Davide stava lì e non c'era modo di estirparlo. Dormire le era risultato del tutto impossibile, continuava a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola troppo inamidate come fosse un'anima in pena o un tonno spiaggiato – era indecisa su quale immagine la rappresentasse appieno – , ogni posizione sembrava scomoda a soli cinque minuti dal momento in cui l'aveva assunta e soprattutto soffocava in preda a un caldo atroce che la faceva sudare a mollo, ma tenendo aperta la finestra avrebbe praticamente steso un tappeto rosso alle zanzare.

Alla fine aveva ceduto – a cosa non l'avrebbe saputo dire, se all'insonnia o alla curiosità - e si era ridotta a cercare i profili di Davide su Facebook e Instagram, non riuscendo però a cavare un ragno dal buco: entrambi erano privati, inaccessibili. Di lui poteva scorgere solo l'immagine del profilo, uguale per entrambi i social, in cui era evidente la sua figura tagliata alla vita dal formato della foto. Era lungo disteso in mare, l'acqua stessa pareva verniciarlo, lambirlo, avvolgerlo come se ne fosse innamorata; l'espressione del volto era rilassata, le palpebre abbassate, le labbra schiuse quasi ad aspettare il bacio della salsedine. Bella foto, bello il soggetto, caratteristico lo sfondo, certo, ma niente più. E non era sufficiente.

Il sapore del saleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora