VI - Eppur mi infetto di te

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La canzone che scrivo per te -
Marlene Kuntz

Davide non era rimasto per nulla stupito dal fatto che nemmeno quella notte fosse stato capace di chiudere occhio e avesse brancolato per l'ennesima volta nel nero della sua insonnia. Ciò era dovuto in parte al fatto che nella sua carriera da lettore seriale – se così vogliamo definirla – aveva capito molto presto che la finzione narrativa si discosta parecchio dalla realtà e che la situazione in cui la persona amata, balsamo per i problemi brucianti, permette finalmente e sorprendentemente al protagonista di dormire sonni tranquilli dopo una quantità considerevole di notti colme di incubi non è altro che pura fantasia; in parte al fatto che Clelia era capace di crearteli, i suddetti problemi brucianti. Altro che sollievo e redenzione.

Clelia ti rimaneva aggrappata alle ciglia, incastrata tra le palpebre, fastidiosa e irritante, impedendoti di trovare riposo.
Clelia era rumore: urlava, scalpitava, correva, erompeva, bussava sulle pareti del cranio e lottava con le unghie e con i denti contro ogni brandello di sonno.
Clelia te li infiammava, i nervi: ci infilava le mani curiose e faceva a modo suo, mescolandoli e intrecciandoli e gettandoci sopra la lava bollente.

Clelia ingombrava, risucchiava lo spazio e non rimaneva posto per nient'altro.
O lei o il sonno.
O lei o la quiete.
O lei o niente.

Aveva avuto un'intera notte per venire a patti con questo: ora il problema era trovare il modo di non farlo capire a Francesco, che da dieci minuti buoni lo stava scrutando attentamente con gli occhi nocciola contornati da occhiaie pesanti - reduci dal divertimento del sabato sera - dal pelo della tazza ricolma di cappuccino fumante . Era andato a riprendere Davide in clinica un po' più tardi del solito per cercare di garantirsi almeno un paio di ore di riposo, che non gli avevano però cancellato sul viso i segni della stanchezza e del divertimento fino a tardi, ed erano direttamente andati a fare colazione da Gattullo, il bar-pasticceria-gelateria migliore del paese – nonché l'unico se non si contava il bar di Gigi. Quello era buono più per bere, giocare a poker e guardare le partite che per mangiare: il cibo esposto nelle teche di vetro di quel locale aveva tutta l'aria di avere la stessa età del proprietario e Gigi era nato nel 1930 circa.

«È che c'hai una faccia diversa» esordì Francesco alla volta di Davide dopo il minuzioso esame, rilassandosi sullo schienale della sedia e distendendo su quello dell'amico il braccio, intanto che si passava il palmo dell'altra mano sulla barba di qualche giorno con fare pensieroso. «Non c'ha una faccia diversa?» chiese conferma al Bocchi, l'ultimo ragazzo seduto al tavolo, schioccandogli le dita davanti per attirare la sua attenzione. Vincenzo Tirabocchi - per tutti "il Bocchi", ché la gente era pigra di fronte ai cognomi troppi lunghi - aveva raggiunto gli altri due amici da poco ed esattamente in quel momento stava cercando di chiudere una canna senza farsi vedere da nessuno: come se in realtà non lo sapessero tutti che quello che fa i tatuaggi in fondo alla piazza non fumasse più di quanto mangiasse. Il ragazzo sollevò distrattamente gli occhi scuri e arrossati verso Davide e gli concesse una rapida e superficiale occhiata, prima di tornare a dedicarsi all'erba.

«A me sembra sempre il solito stronzo.»

«Uno a zero per me, prendi e porta a casa» rise Davide, tirando uno scappellotto sulla nuca di Francesco, che abbassò lo sguardo e riprese a bere il cappuccino borbottando, per nulla convinto. La verità era che Davide aveva quasi sudato freddo per tutto il tempo in cui l'amico gli aveva tenuto gli occhi addosso, temendo che Clelia ingombrasse così tanto all'interno da riuscire a esondare anche all'esterno e gli si potesse leggere in faccia tra un sorriso in più del dovuto e un'allegria inusuale per la domenica mattina, lui che risultava intrattabile solo in quella manciata di ore che seguono il risveglio. Non aveva nessuna intenzione di dire ai suoi amici che lui e la ragazza avevano avuto quella breve chiacchierata perché era... strano.

Il sapore del saleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora