Prologo

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Kiwi - Harry Styles

«La prego! Ci dev'essere qualcosa, qualunque cosa, anche quello che le sembra stupido: le garantisco che a me va bene tutto!»

«Le dico di no, signorina...» il funzionario, visibilmente irritato, si interruppe brevemente per sbirciare la carta di identità spiegazzata che teneva tra le mani callose. «Signorina Del Piano, non c'è assolutamente nulla. Tutti gli incarichi sono stati già assegnati da almeno un mese, ma provvederò a contattarla se si libererà qualcosa.»

«Forse non ha capito.» Clelia chiuse le palpebre lasciando che le ciglia si accarezzassero e inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni dell'aria viziata e appena sporcata dal vago sentore di fumo che la permeava. Lasciò andare fuori il fiato lentamente e poi riprese a parlare, cercando di modulare il tono della voce e renderlo quanto di più simile alla squisitezza con cui si parla a un bambino un po' capriccioso e duro d'orecchi e comprendonio – d'altronde era davvero brava in questo, aveva sempre avuto un tasso sorprendentemente alto di riuscita quando si trattava di mettere a disagio le persone. «Io non ho bisogno di qualcosa che si può liberare in futuro, io ho bisogno di qualcosa adesso. Mi capisce?»

«Io la capisco, ma temo sia lei a non capire me. Non la posso assumere per un incarico inesistente.»

Clelia sbatté con un impeto inaspettato la mano sulla scrivania in finto legno scuro, facendo vibrare un foglio dimenticato in quel punto e sussultare appena l'impiegato seduto di fronte a lei.

Al diavolo la respirazione e la ricerca della calma.

Era consapevole del fatto che fosse una reazione esagerata e stesse dando un pelo di matto, ma non le sembrava comunque il caso di darsi un contegno o frenarsi in qualche modo, sia perché non ne vedeva il reale motivo, sia perché si trovava interamente a suo agio immersa in quel sentimento scuotente che le pervadeva ogni singolo capillare. Non era mai stata capace di sensazioni a metà, Clelia, e di tutti gli impulsi che la investivano ogni giorno, la rabbia era di certo il suo preferito.

«Lei è un incompetente, se lo lasci dire. Lo faccia esistere!»

L'uomo posò i gomiti sul piano, intrecciò le dita delle mani davanti ai suoi occhi, depose il mento ricoperto da una lieve peluria ispida su quell'incastro e la fissò intensamente, cercando di intimidirla o comprendere cosa non andasse in lei - Clelia non avrebbe saputo dirlo con certezza - ; con una flemma strascicata, schiuse le labbra e «Non - c'è - nien - te» esalò, scandendo alla perfezione ogni sillaba.

Più di ogni altra cosa pronunciata in precedenza, fu quello a sembrarle un vero e proprio affronto: l'essere trattata come se quella dura di comprendonio, lì, fossi lei.

Totalmente, completamente, follemente assurdo.

«Qualcosa ci - deve - essere» rispose, cantilenando a tono e accompagnando ogni parola con un colpetto dell'indice sulla scrivania.

Rimasero a osservarsi così, fermi, a un palmo di naso, come due cani idrofobi con la bava alla bocca che stanno aspettando il momento giusto per attaccare. Gli leggeva negli occhi la sua stessa determinazione, il suo stesso sconcerto di fronte all'insolenza dell'altro, la stessa spossatezza provata a parlare con qualcuno che proprio non voleva capire come stavano le cose. L'aria si fece statica e cristallizzata, quasi come fosse ambra.

Ma non sarebbe stata lei a gettare la spugna, né in questa vita, tantomeno nella prossima: se l'esperienza le aveva insegnato qualcosa, era proprio la necessità di non cedere di fronte agli imprevisti. Alla fine fu il signore in leggero sovrappeso e visibilmente sudato che aveva di fronte a sbloccare la situazione, ripetendo ostinatamente il suo verdetto.

Il sapore del saleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora