16. Never Again

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Era seduta su un maestoso trono dorato, con l'imbottitura di cuscini più scomoda del mondo. Quando si voltò, per sistemarsi meglio, notò in realtà di essere seduta sul trono di spade.

Ecco perché è così scomodo.

Ora sì che aveva senso. Non che qualcosa ne avesse davvero, arrivata a quel punto.

Si riflesse in una delle lame e notò di avere un enorme cappello da marinaio sulla testa, dello stesso blu e dello stesso modello di quello di Paperino. Era grazioso e le stava bene, peccato fosse così grande da coprirle l'intera faccia. Come facesse a vedere era un mistero che sapeva non avrebbe risolto.

Uno spot da palcoscenico illuminò un corridoio vuoto di fronte a sé, che però non era più tanto vuoto. C'era una figura ammantata di nero che avanzava verso di lei. Lo smoking gli calzava a pennello, la camicia immacolata contrastava in modo sublime con l'incarnato naturalmente abbronzato della sua pelle. Il suo volto era coperto da un casco nero da motociclista.

Le balzò il cuore nel petto, una sequenza infinita di BOOM, BOOM, BOOM, BOOM. Come martellate contro un chiodo troppo piccolo e fragile su muri di spesso vetro.

Era lei a trovarsi all'interno di una muraglia di ghiaccio, se ne rese conto solo in quell'istante, quando vide la barriera cominciare a disegnarsi di preoccupanti ragnatele sulla superficie levigata. Sarebbe esplosa da un momento all'altro, un po' come la sua testa. Ecco perché aveva un cappello tanto grande, per contenere il volume ora mastodontico del suo cranio: doveva stare continuando a ingrossarsi, perché lo sentiva sempre più pesante, sempre più dolente!

La figura misteriosa si avvicinò così tanto che ora riusciva a vederla chiaramente anche al di là delle schegge di vetro che frammentavano la barriera.

Anna si alzò dal trono con membra pensanti come quelle di uno zombie e sollevò una mano fino a poggiarla sulla superficie che li divideva: era bollente invece che gelida come si sarebbe aspettata.

«Chi sei?» domandò, la sua voce un'eco lontana, che rimbombava all'infinito nella caverne della sua mente.

«Chiunque tu vuoi che io sia».

Nonostante la pessima battuta rubata a Ryan di The O.C. (doveva smetterla con tutti quei telefilm), l'accento con cui aveva pronunciato quelle parole era chiaramente spagnolo.

Alex... o Jorge?

Chi voleva che fosse.

Anna gonfiò il petto in un respiro agitato. La figura misteriosa sollevò le mani e afferrò il casco, cominciando a sfilarlo. Lo osservò attentamente ma, prima che potesse catturare la risposta a quella domanda silente, una forza invisibile la scrollò violentemente per le spalle. Il secondo dopo era stata trascinata via, risucchiata in un buco nero di commiserazione.

E mal di testa.

*

Qualcuno la stava gentilmente scuotendo per una spalla. Una voce lontana, che non riusciva ad afferrare, la chiamava da quella che doveva essere un'altra galassia. I colpi continuavano imperterriti a suonare nella sua mente, neanche ci si fosse stabilito Phil Collins nei suoi migliori concerti con i Genesis.

«LORENZO: APRI QUESTA PORTA O LA SFONDO A CALCI, E' L'ULTIMO AVVERTIMENTO CHE TI DO!».

Quella era chiaramente la voce di suo fratello: riuscì a infrangere ogni traccia residua di oscurità e la ferì come un raggio di sole dopo ore di buio.

Anna emise un gemito lamentoso, coprendosi la testa con la coperta che nemmeno sapeva di avere addosso. «Fallo smettere... ti prego...» rantolò disperatamente. Ogni colpo contro la porta era una coltellata nel suo cervello.

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